http://nena-news.it/ 10 marzo 2015
Tunisia, il principale esportatore di jihadisti di Sonia Grieco
Nonostante sia considerato da molti analisti l’unico successo delle cosiddette primavere arabe, il Paese ha il maggior numero di cittadini andati a combattere la “guerra santa” in Siria e Iraq. Ma a preoccupare Tunisi è soprattutto il caos nella confinante Libia.
Roma, 10 marzo 2015, Nena News –
Negli ultimi quattro anni la Tunisia ha deposto un autocrate che aveva guidato il Paese per 23 anni, ha scelto per la prima volta nella sua storia un presidente in elezioni libere e si è dotata di una Costituzione considerata tra le più laiche della regione. Eppure, questo Paese considerato da molti l’unico successo delle cosiddette primavere arabe è anche il più grande esportatore di jihadisti. Qui sono addestrati e da qui partono decine di giovani per andare a rimpinguare le file dell’Isis, prima soprattutto in Siria e in Iraq, adesso sempre di più nella vicina Libia. La relativamente tranquilla transizione tunisina è minacciata dal caos libico che preme alle sue frontiere, dagli effetti negativi che ha sulla sua società e sulla sua economia già provate da corruzione, clientelismo e disoccupazione. Stime che risalgono allo scorso ottobre parlano di tremila tunisini unitisi a gruppi di stampo jihadista in Siria e in Iraq. I numeri del governo, invece, sono più piccoli: circa 1.200. Molti di loro erano stati addestrati in Tunisia, nel deserto vicino al confine libico dove l’Isis ha almeno un campo di addestramento che pare attiri numerose giovani reclute. Tunisi ha riferito di avere fermato circa novemila ragazzi diretti al campo. Un grosso bacino di combattenti a due passi dalla Libia che inizia a diventare la meta preferita dei jihadisti tunisini. Secondo Karim Mezran dell’Atlantic Council, ci sarebbero mille combattenti tunisini a Derna e altrettanti nel resto del Paese. Per Andrew Engel, analista al Washington Institute, c’è una “grossa spinta al reclutamento per lo Stato Islamico in Libia” e l’argomento utilizzato è che quello libico è un “jihad più semplice”. In Libia, ha spiegato all’International Business Times, “non ci sono bombardamenti né combattenti coerenti come lo sono i curdi, sostenuti da consulenti stranieri”, invece ci sono armi in abbondanza, cibo e un clima più caldo. Inoltre, per i tunisini è più facile attraversare la porosa frontiera libica che arrivare in Siria, considerato l’aumento dei controlli. Per l’Isis la Libia è una ghiotta occasione, c’è il giusto mix di caos e di disponibilità di armi (gli arsenali di Gheddafi) di cui approfittare per espandersi in un Paese che galleggia su abbondanti risorse, che confina con altri Stati nordafricani ed è vicino all’Europa. In un documento interno all’Isis la Libia è definita un “portale strategico per lo Stato Islamico”. Molti si chiedono perché tanti giovani tunisini si arruolino nei gruppi jihadisti. Il Paese non è nuovo a questo fenomeno -ha esportato combattenti in Afghanistan e in Iraq- che però sembra abbia assunto dimensioni notevoli dalla fine del regime di Ben Ali, nel 2011. La Tunisia può anche “vantare” uno dei primi foreign fighters a unirsi all’Isis, Tareq Bin Al Tahar Bin Al Falih Al ‘Awni Al Harzi, che era addetto proprio al reclutamento di combattenti in Nord Africa e in Europa e al rifornimento di armi dalla Libia. Harzi è stato inserito nella lista dei terroristi dagli Stati Uniti nel 2014. Tra le cause che spingono alcuni verso il jihad c’è sicuramente la pessima situazione economica che colpisce soprattutto i giovani: la disoccupazione e la mancanza di prospettive. Ma non tutti i foreign fighters tunisini vengono dall’indigenza, nel Paese c’è anche una ben organizzata rete di reclutamento attraverso moschee e organizzazioni che hanno presa su giovani delusi, non per forza particolarmente religiosi. E poi qualcuno è sicuramente attratto dall’aspetto “avventuroso” della guerra santa. Quelli che tornano a casa si trovano nel mirino delle autorità che stanno usando il pugno duro con i terroristi o presunti tali, ma la repressione potrebbe rivelarsi un boomerang e le prigioni tunisine potrebbero diventare un altro luogo di reclutamento. Oltre a fronteggiare la questione dei combattenti, la Tunisia deve affrontare al suo interno la presenza di formazioni di stampo jihadista attive da anni che traggono vantaggio dal conflitto libico. La Brigata Okba Ibn Nafaa, attiva nell’area di Mount Chaambi, al confine con l’Algeria, è responsabile di diversi attacchi alle Forze armate tunisine e ai posti di blocco, mentre i qaedisti di Ansar al Shariah sono sospettati di essere dietro l’attentato all’ambasciata Usa nel 2012 e agli omicidi dei due politici e attivisti laici Chokri Belaid (febbraio 2013) e Mohamed Brahmi (luglio 2013). Questi due delitti scatenarono le proteste della popolazione e portarono alla fine del governo del partito islamico moderato Ennahada. Contro questa minaccia interna il governo di Tunisi sta impiegando molte risorse e uomini. A breve le Forze armate saranno dotate di otto nuovi elicotteri da combattimento Black Hawk forniti dagli Stati Uniti, mentre proseguono le retate, gli arresti e i sequestri di carichi di armi lungo il confine con la Libia. Il valico di Ras Jdeir è controllato dalla coalizione Fajr Libia che governa la capitale libica Tripoli, mentre l’esecutivo ritenuto legittimo dalla comunità internazionale si trova a Tobruq. Il traffico di armi prolifera, mentre il commercio legale tra i due Paesi confinanti è stato duramente colpito dal conflitto e questa drastica diminuzione degli scambi sta avendo effetti negativi sull’economia delle già povere aree di confine. Inoltre c’è la minaccia alla sicurezza del Paese. Nella strategia dell’Isis Libia e Tunisia sono collegate, secondo alcuni analisti. Quando è stata sancita l’alleanza tra il califfato di Abu Bakr al Baghdadi e i combattenti di Derna, alla fine dell’anno scorso, è stato poi diffuso un video dal titolo ‘Un messaggio per il popolo tunisino’ in cui miliziani tunisini minacciavano il governo di Tunisi. Per la Tunisia la Libia è dunque una bomba a orologeria, ma da Tunisi hanno espresso parere contrario a un intervento militare internazionale sul suolo libico. Una cura del genere potrebbe rivelarsi peggiore del male per i tunisini. Determinerebbe la fuga in massa della popolazione, come già accaduto nel 2011, e il governo tunisino teme le conseguenze, in termini economici e di sicurezza, di una crisi umanitaria oltreconfine. Nena News |