Originale: TeleSUR English
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2 febbraio 2015

Il regno tragico – Riflessioni sull’Arabia Saudita
di Alex Doherty
Traduzione di Maria Chiara Starace

Nell’ottobre 2011 sono andato a Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita per insegnare inglese come lingua straniera agli studenti universitari. Avevo intenzione di rimanere per due anni, ma alla fine sono ripartito dopo un anno e sette mesi. Durante il tempo trascorso in Arabia Saudita ho lavorato all’Università  islamica di Riyadh  Al-Imam Mohammad  Ibn Saud e all’Istituto dell’Amministrazione pubblica nella città costiera di Jeddah. Gli incarichi di insegnamento nel paese sono ben pagati, e come la maggior parte degli insegnanti occidentali, ero in Arabia Saudita per risparmiare dei soldi e saldare il debito universitario. Nella mia prima settimana a Riyadh, un tassista pachistano scherzando mi ha chiesto se ero in città per affari o per piacere. Lo scherzo è che nessuno nella memoria storica ha mai visitato Riyadh con lo scopo di divertirsi. Inevitabilmente, la mia opinione del paese è stata parziale e di parte  per il contesto culturale e i punti di vista politici. Di conseguenza sono stato riluttante a scrivere circa le mie esperienze personali. Tuttavia, molti amici mi hanno incoraggiato a scrivere circa il periodo chi ho trascorso nel Regno Saudita, e la recente scomparsa del Re riformatore” saudita è sembrato aver fornito un’occasione per dare forma scritta ai miei pensieri. Grazie agli sforzi degli attivisti per i diritti umani (uniti alle contraddizioni dell’alleanza sempre più scomoda tra il Regno Saudita e l’Occidente) l’oppressività dello stato saudita è ora ampiamente compresa. Per questa ragione, nelle osservazioni che seguono, ho tentato di limitarmi ad aspetti del  paese che forse non sono così comunemente noti.

Il paese povero più ricco del mondo

Avevo pensato di andare in Arabia Saudita con gli occhi aperti. Ero piuttosto consapevole del carattere repressivo della società saudita, della tremenda condizione di seconda classe delle donne, del trattamento ingiusto nei riguardi della minoranza sciita, e delle tremende condizioni affrontate da molti lavoratori immigrati. La cosa a cui non ero preparato era la povertà del paese e il carattere decrepito da terzo mondo delle sue città. Stupidamente avevo immaginato che l’Arabia Saudita fosse più simile agli Emirati del Golfo dove una lucentezza di superficie di modernità riveste la qualità repressiva della struttura sociale. Tuttavia, per molti aspetti, Riyadh è una città molto tipica del terzo mondo – con sacche di estrema ricchezza circondate da quartieri che cadono a pezzi. La qualità della maggior parte delle case e delle infrastrutture stradali è scarsa, le strade sono piene di immondizia e i mendicanti sono uno spettacolo comune. Sebbene ci sia povertà tra i sauditi, una grande proporzione dei sauditi poveri sono lavoratori immigrati, soprattutto dall’Asia Meridionale.

La popolazione degli immigrati è alla mercé del sistema kafala che richiede che i lavoratori immigrati abbiano uno “sponsor” saudita che è responsabile dei loro visti e del loro status legale nel paese. E’ una cosa comune che i datori di lavoro confischino i passaporti dei loro dipendenti, che tralascino di pagare  una parte del loro salario o  tutto, che li assoggettino a varie forme di violenza, il tutto con scarso timore di ripercussioni. Il sistema è praticamente un invito a sfruttare e trattare male i lavoratori.

Gli apologeti del defunto Re Abdullah sostengono che il patriarca saudita fosse un serio riformatore i cui sforzi di cambiare il Regno sono stati ostacolati dal carattere conservatore della società saudita. Anche se fondamentalmente non sono d’accordo, è forse concepibile fare un difesa del genere in certi casi in cui è particolarmente probabile che la riforma offenda l’establishment religioso. E’ tuttavia estremamente difficile credere che il regime saudita non avrebbe potuto, se lo avesse voluto, smantellare il sistema kafala. Perfino la monarchia assoluta del Bahrein ha, almeno formalmente, posto fine a quella pratica ( il ministro del lavoro del Bahrein ha accuratamente descritto il sistema come simile alla schiavitù). [1] E’ difficile evitare la conclusione che i governanti del Regno non hanno smantellato il sistema, non perché non potevano, ma perché semplicemente non volevano.

L’inadeguatezza degli alloggi pubblici riflette l’indifferenza della classe dirigente saudita verso il destino dei lavoratori immigrati e dei sauditi poveri. In vari gradi questo si può dire di qualsiasi società guastata da estreme divisioni di classe, ma in Arabia Saudita i ricchi, nei loro complessi abitativi protetti da cancelli e nei centri commerciali lussuosi, abitano in un paese molto diverso da quello dove vive la popolazione di immigrati. Le stime migliori indicano che forse un quarto della popolazione saudita vive sotto la soglia di povertà. Il governo saudita non fornisce statistiche sulla povertà, e sollevare l’argomento in dibattiti pubblici è altamente pericoloso. Nel 2011 il blogger Fera Bugnah, è stato arrestato dalle forze di sicurezza. Il suo reato? Produrre un video che documentava i quartieri poveri del distretto Al-Jaroudiya di Riyadh.

Prima di andare a vivere nel Regno saudita, ho passato un po’di anni a insegnare nella Corea del Sud. Il contrasto di traiettoria economica dei due paesi, governati per decenni da leader autoritari, è piuttosto straordinaria. Immediatamente dopo la Seconda Guerra mondiale, la Corea era povera come la Nigeria in quel tempo. Al contrario dell’Arabia Saudita, la Corea non aveva risorse significative ed è riuscita a svilupparsi rapidamente costruendo un’economia altamente protezionista che ha coltivato le nascenti industrie coreane fino a quando sono state pronte a competere a livello globale. La Corea del Sud si è industrializzata a una velocità tripla di quella del Regno Unito e ora è un centro economico importante. Il regime Saudita avrebbe potuto, naturalmente dirottare gran parte della sua ricchezza petrolifera per sviluppare nuove industrie. Il paese resta invece in grande maggioranza dipendente dall’industria petrolifera, e c’è poca ragione di credere che diversificherà con successo la sua economia prima che il petrolio si esaurisca (o piuttosto che diventi troppo costoso da  estrarre). Gran parte della ricchezza petrolifera è stata dirottata nelle mani della famiglia governante e delle elite con questa associate. Molto altro viene investito negli Stati Uniti e nell’Europa Occidentale – in parte per mantenere la sua influenza e il suo appoggio nelle capitali straniere. In più di un’occasione dei giovani studenti sauditi mi hanno chiesto: Guardi Riyadh e mi dica: dove è denaro del  petrolio’? E’ una bella domanda da fare; forse un giorno i governanti del Regno saranno chiamati a fornire una spiegazione appropriata.

L’ipocrisia dell’istruzione

Anche se non è stato remotamente così sconvolgente come l’incontrare la povertà saudita, ero impreparato anche per le realtà del sistema educativo saudita.  In Arabia Saudita, è largamente noto che nulla, tranne l’establishment repressivo della sicurezza, funziona con efficienza. Il mio periodo di lavoro all’Università  islamica di Riyadh Al-Imam Mohammad Ibn Saud (e, in misura minore, all’Istituto dell’Amministrazione pubblica a Jeddah) me lo hanno confermato. L’aspetto più notevole dell’università era quanto poco lavoro vi si svolgeva. Questo succedeva riguardo agli insegnanti e agli studenti di inglese. (Non posso fare osservazioni riguardo ad altre materie ma sono stati portato a credere che la sia situazione non sia enormemente diversa).

Un semestre è iniziato con  5 settimane intere di ritardo perché l’amministrazione  (di un’università ben finanziata) non era riuscita a presentare un programma. Le lezioni venivano spesso annullate senza alcuna ragione apparente; gli insegnanti non si presentavano a una lezione e alcuni studenti non so vedevano mai a lezione fino agli esami finali. Per lo più,  gli studenti erano piacevoli, ma notevolmente immaturi per la loro età. All’epoca la mia personale teoria era che lo stato di subordinazione delle donne e il diffuso impiego di servitù nelle case ha forse aiutato a rendere infantili i giovani uomini sauditi.

Una delle caratteristiche della situazione dell’università era che gli studenti spesso avevano più autorità degli insegnanti. La vasta maggioranza dei professori non erano sauditi, ma piuttosto lavoratori immigrati da altri stati arabi. La maggiore proporzione di questi insegnanti viene dall’Egitto (il maltrattamento di lavoratori egiziani ha causato proteste all’ambasciata saudita del Cairo). La superiorità dei sauditi significava che soltanto i ranghi superiori dell’amministrazione, essi stessi sauditi, potevano esercitare qualsiasi controllo sugli studenti. L’effetto più visibile dell’impotenza della facoltà era il diffuso, sfacciato imbrogliare sia in classe che durante gli esami. In una occasione ho osservato uno studente affrontare fisicamente un insegnante che aveva avuto la temerarietà di ostacolare i suoi tentativi di imbrogliare durante un esame di matematica.

La causa di questo problema è proprio la struttura della società saudita. L’indolenza è una risposta molto razionale alla irrazionalità del sistema educativo. L’Arabia Saudita rimane  una società tribale e i quanto tale è tormentata dal clientelismo. Nel Regno saudita  l’impegno duro nel lavoro e l’intelligenza sono soltanto molto marginalmente collegati al successo. Quello che è più importante è ciò che è noto in arabo come ‘wasta’- i collegamenti con persone influenti che possono ottenere che si facciano le cose. Dato quel contesto, non ha molto senso lavorare sodo se non si hanno i wasta, poiché non si può avere successo soltanto lavorando duramente. Analogamente, non ha senso lavorare sodo se uno ha i wasta, dato che è probabile riuscire indipendentemente dal darsi da fare oppure no. Un giorno uno studente mi ha illuminato sull’importanza dei wasta in Arabia Saudita. Mi ha detto che vari anni prima aveva incontrato per caso un vecchio yemenita in macchina. L’uomo aveva perso l’uso di entrambe le gambe e ora usa una sedia a rotelle. Lo studente mi ha detto, con un sorrisetto, che sebbene fosse stato condannato  50 frustate e a pochi mesi di carcere, suo padre era stato in grado di usare i sui wasta per far sì che la condanna “scomparisse.”

Mantenere buoni rapporti con l’amministrazione dell’università dipendeva dall’adattarsi all’assurdità della situazione. Questo voleva dire non costringere gli studenti a lavorare – un modo sicuro di provocare rimostranze da parte degli studenti e un probabile licenziamento. Una volta arrivato al  mio secondo semestre, mi ero adattato completamente a questa strana situazione. Tuttavia, un nuovo collega di nome Eric non c’era riuscito. Il mio amico insisteva a prendere sul serio il suo lavoro e provocava la collera dei suoi studenti  interferendo nelle loro conversazioni e quando navigavano in internet con i loro smartphone durante la lezione. Un giorno il capo del dipartimento mi ha chiamato nel suo ufficio per chiedere il mio consiglio su “che cosa fare con Eric?” Si è congratulato con me perché ero “un insegnante eccellente” che era “benvoluto” dagli studenti, mentre criticava il “brutto atteggiamento” di Eric. In questo sistema capovolto Eric provocava scandalo cercando di fare il suo lavoro, mentre io venivo lodato perché davo piena libertà agli studenti.

Fuori dal tempo

Molti dei sauditi più anziani che ho incontrato sembravano rassegnati a, en in alcuni casi, orgogliosi del conservatorismo della società saudita. Tuttavia spesso i miei studenti esprimevano il loro malcontento per l’atmosfera sociale oppressiva e per la mancanza delle libertà  più essenziali. Criticavano apertamente l’oppressione in cui vivono le donne, deploravano la mancanza di democrazia nel paese ed erano critici rispetto alla censura dei media. Ci sono pochissimi posti dove i giovani sauditi possono passare del tempo insieme in pubblico. Naturalmente non ci sono bar, e tutti i ristoranti e i caffè sono divisi nelle sezioni ‘famiglia’ e ‘uomini soli’. Questa assurdità si estende anche alle zone ristorazione  dei centri commerciali. I banconi di McDonalds e di Subway hanno dei divisori di plastica per proteggere la virtù delle donne saudite. Non ci sono cinema nel paese e internet è censurato. [2] In assenza di qualsiasi luogo dove gli uomini e le donne saudite possono riunirsi, i sauditi fanno sforzi straordinari per incontrarsi. Per esempio, a Riyadh certi supermercati aperti per 24 ore sono ben noti come posti dove si cercano le ragazze dove i giovani uomini e donne saudite vanno   per osservarsi a vicenda.   Naturalmente le donne saudite sono sempre completamente vestite con il velo e l’abaya (un lungo camice nero che copre tutto il corpo, tranne la testa le mani i  piedi (n.d.t.) Conformarsi alle nozioni saudite di modestia nel vestire aiuta le donne a sfuggire alle spiacevoli attenzioni del “Comitato per la promozione della virtù e per la prevenzione del Vizio’ – l’ampolloso appellativo della odiata polizia religiosa.

A parte gli studenti più devoti, il riconoscimento dello strano carattere del moderno stato saudita sembra essere comune ai più giovani uomini sauditi. Non avendo avuto l’occasione di parlare con loro, non posso dire in che modo le donne saudite considerano il loro paese. L’atmosfera del paese è simile a quelli che immagino  devono essere stati gli ultimi anni della Repubblica Democratica Tedesca.

C’è una sensazione palpabile delle croniche ingiustizie della società, il riconoscimento che i media nazionali sono una falsità completa, e la diffusa comprensione che abbondano le alternative al sistema attuale. Nonostante la repressione di stato e il  saldo appoggio dell’Occidente, è difficile credere che una società del genere possa resistere per molto tempo ancora.  a lungo. Una delle società più repressive della terra forse ha i giorni contati.

Note :

[1] La parola chiave qui è ‘formalmente’; in effetti il sistema persiste in Bahrein e trattare male i lavoratori migranti è molto comune.

[2] La censura di Internet ha poche conseguenze  dal momento che i giovani sauditi esperti di tecnologia possono facilmente sfuggire a queste limitazioni usando dei server proxy.


Alex Doherty è cofondatore del New Left Project ed è dottorando presso il Dipartimento di  Studi sulla guerra al King’s College di Londra. Ha scritto per  Z Magazine e  per Open Democracy,  e per altre   pubblicazioni.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/tragic-kingdom-reflections-on-saudi-arabia

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