Originale: teleSUR English

Fonte: http://zcomm.org/

http://znetitaly.altervista.org/

7 maggio 2015

 

L’Arabia Saudita affronta la ribellione di un servo

di Pervez Hoodbhoy

docente di fisica a Lahore e a Islamabad

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Galleggiando si un oceano di petrolio i reali del Golfo sono i più ricchi tra gli Arabi ricchi. Cinque famiglie estese possiedono lo sconcertante 60%  delle riserve di petrolio del mondo, e i Sauditi sono proprio al punto più alto. Forniscono copertura finanziaria alle industrie statunitensi ed europee per la difesa con acquisti di armi per molti miliardi di dollari, possiedono isole idilliache e aerei di linea privati, viaggino in gruppo per cacciare uccelli rari con armi potenti guidate da radar, e trasgrediscono liberamente le locali leggi ambientali dei paesi che visitano. Inoltre, cosa più  pericolosa, esportano ecclesiastici tossici ed estremismo religioso in tutto il mondo. Se i sauditi pensano di possedere il mondo, forse si sbagliano, ma non di troppo. La loro fantastica ricchezza significa anche che a ogni loro ordine si obbedisca incondizionatamente e che ogni loro desiderio venga soddisfatto.

E’ stato quindi difficile per i sauditi credere ai loro occhi quando il mese scorso, il Pakistan obbediente e ossequioso ha scelto di rifiutare il loro ordine. I partiti del Parlamento pakistano normalmente insofferenti e perennemente in guerra, hanno rifiutato unanimemente di inviare truppe pakistane in Yemen , come era stato richiesto dal Regno dell’Arabia Saudita e da altri paesi del  Consiglio di Cooperazione dei paesi del Golfo (GCC). Di fatto, il parlamento rifletteva lo stato d’animo generale. Logorato da un’insorgenza interna di talebani che è costata oltre 50.000 vite, e distrutto da una serie di uccisioni mirate e da bombardamenti delle moschee sciite, il paese no n ha il coraggio per un’avventura all’estero potenzialmente disastrosa per combattere un nemico il cui nome ( Houthi) la maggior parte dei pakistani hanno sentito ora per la prima volta.

La conseguente rabbia dei sauditi è in parte comprensibile. Il Primo Ministro Nawaz Sharif  e il suo governo avevano dato agli Arabi del GCC l’impressione che il Pakistan è a loro completa disposizione. Sharif ha  viziato  gli ego dei despoti del petrolio e nel marzo 2014 ha accettato con gratitudine i loro favori, compreso un misterioso “dono” di un miliardo e mezzo di dollari. Non doveva esserci nessuno scambio? Poi altri leader pakistani hanno accresciuto ulteriormente le aspettative degli arabi con sonore dichiarazioni che promettevano di “spargere ogni goccia del nostro sangue” per la difesa della Santa Haram-ul-Sharafein (la Grande Moschea della Mecca), quando, di fatto, nessun luogo sacro musulmano è stato mai minacciato. Però, quando si è trattato di inviare truppe di  terra   in quella che sarebbe stata una lunga guerra civile sanguinosa, si sono tirati indietro.

Come ci si doveva aspettare, gli Arabi del GCC non sono affatto dell’umore per ascoltare deboli scuse da parte di un paese a loro subordinato. Impiegati nei paesi del Golfo soprattutto come domestici,  salariati, operai edili, impiegati in ristoranti, milioni di pakistani, indiani, bengalesi, nepalesi e filippini, sostengono le loro famiglie in patria, economizzando e risparmiando i loro preziosi riyal.  Il ministro degli Affari Esteri degli Emirati Arabi Uniti, Dottor Anwar Mohammad Gargash, è rimasto stupefatto: come ha potuto  un paese così osare davvero di scegliere la neutralità in uno “scontro esistenziale” con l’Iran. Il Pakistan, ha detto minacciosamente, avrebbe “pagato il prezzo.”

E così, profondamente preoccupati, due settimane fa, le figure più importanti e più potenti del Pakistan che ha le armi nucleari – il Primo Ministro, il Capo di stato maggiore, il Ministro della Difesa, il Ministro degli Esteri e un insieme di funzionari – sono andati nella capitale del mondo del petrolio, Riyadh. Speravano che le loro espressioni contrite potessero in qualche modo placare un monarca settuagenario irritato e i suoi principi irati. Ma la loro promessa di “salvaguardare l’integrità territoriale dell’Arabia Saudita e dei Luoghi Santi” non è riuscita a rabbonire i reali che sanno bene – come tutti gli altri – che la minaccia al territorio dell’Arabia Saudita e ai suoi luoghi sacri è stata inventata. Il vero problema, invece, nel conflitto in Yemen è la sopravvivenza a lungo termine della Casa di Saud, che l’Iran sta mettendo a rischio.

Oggi l’Iran sta sfidando l’egemonia saudita in Medio Oriente. E’ un potere ribelle, rivoluzionario, mentre l’Arabia Saudita vuole lo status quo. I mullah dell’Iran chiedono apertamente il rovesciamento di tutte le monarchie. Nel suo modello politico, il clero iraniano tiene le redini del potere, con un po’ di spazio marginale assegnato per l’espressione dell’opinione popolare. Ma qualsiasi libertà politica, non importa quanto  piccola, è un anatema per il Regno. E’ profondamente allarmato che

l’appoggio dell’Iran ai Palestinesi, e la sua ferma opposizione alle guerre condotte

dagli Stati Uniti in Medio Oriente, abbiano colpito l’opinione pubblica araba anche nei paesi a maggioranza sunnita.

La disobbedienza del Pakistan potrebbe essere stata più scusabile in un’altra epoca. E’  invece avvenuta in un momento particolare quando i Sauditi erano già furiosi per l’azione del loro alleato di lunga data, gli Stati Uniti. Un accordo preliminare per i nucleare tra Iran e Stati Uniti, è stato già firmato. Sebbene i Repubblicani nel Congresso degli Stati Uniti che sono fermamente anti-Iran e pro-Israele programmino di mettercela tutta per bloccarlo, è probabile che il Presidente Obama riuscirà a far approvare la versione finale alla fine di giugno. L’incubo dei sauditi è che un riavvicinamento tra Iran e Stati Uniti accetterà l’Iran come stato alla soglia del nucleare  e porrà fine alle sanzioni imposte dagli Stati Uniti. L’Iran apparirebbe come il vincitore, dando un grosso colpo alla coalizione sunnita guidata dai sauditi, della quale Israele è membro onorario. L’ecclesiastico saudita Muhammed al Arifi ha semplicemente richiesto un’alleanza: “Israele non è nostro nemico, ma gli Sciiti sì.”

Il Pakistan non è però entusiasta di peggiorare le sue relazioni già tese, con il confinante Iran, specialmente dato che spera in un gasdotto dall’Iran al Pakistan che potrebbe molto ridurre il suo grave deficit di energia. Inoltre, con un 20-30% della popolazione costituito da Sciiti, non può permettersi altre uccisioni compiute da gruppi sunniti appoggiati dai sauditi.

E quindi, quanto dovrebbe essere preoccupato il Pakistan? Gli Arabi del Golfo chiederanno  davvero una punizione per  il Pakistan per la sua disobbedienza? Penso che la realpolitik limiti fortemente le opzioni saudite.

Primo, cacciare via i pakistani non è un’opzione. Senza un’adeguata  “scorta” di servi operosi e sottopagati, ogni nazione petrolifera si bloccherebbe. I cittadini di tutti i paesi del Golfo sono estremamente scarsi in abilità e abitudine a lavorare. Vivendo in uno stato sociale dove non si lavora e  dove ogni necessità  viene soddisfatta, non hanno fretta di cambiare.

C’è un secondo motivo. Il Pakistan è l’unico paese che può, con breve preavviso, fornire potenzialmente al Regno armi nucleari o un ombrello nucleare. Naturalmente il Pakistan dovrebbe avere il buon senso di non considerare questa possibilità. Ma il fatto è che non ci sono altri venditori di nucleare in giro e i sauditi lo sanno.

Il Pakistan sta decisamente anche  in mezzo alle strade che potrebbero portare a una capacità finale di armi nucleari  saudite locali  che il Regno desidera così fortemente. In marzo ha firmato tranquillamente un accordo con la Corea del sud per importare due reattori nucleari. Secondo l’Associazione Nucleare Mondiale il regno programma di costruire reattori a energia nucleare nei prossimi 20 anni al costo di più di 80 miliardi di dollari; il promo reattore sarà  pronto  nel 2022. Finora non ha accolto le richieste degli Stati Uniti, e insiste (al contrario degli Emirati Arabi Uniti) ad avere un ciclo completo di combustibile nucleare. Questo lascia aperta la possibilità di riprocessare il plutonio che si adopera per fare le armi dalle scorie nucleari, cosa che soltanto i pakistani possono segretamente aiutare a fare.

Il Pakistan povero e devastato dalla guerra, con leader politici timorosi che sono profondamente grati al club dei ricchi arabi del GCC, ha fatto inaspettatamente bene a rifiutare di essere il loro buttafuori. Ma è certamente ora che i paesi potenti del mondo la smettano di ricompensare i sostenitori dell’estremismo violento  in tutto il mondo e, in particolare, in Medio Oriente.

Ansiosi di accontentare Israele, e continuando a raccogliere  la  manna  di petrolio durata  di 50 anni, gli Stati Uniti e l’Europa hanno chiuso gli occhi davanti ai crimini sauditi. Mentre l’Arabia Saudita è formalmente in guerra con Al-Qaida e il Da’ish (lo Stato Islamico), la filosofia di questa classe  governante che è sventuratamente corrotta e rabbiosamente religiosa, è ugualmente barbara. Nessun paese ha nulla che rassomigli alla piazza di Riyadh, comunemente chiamata Piazza Taglia-Taglia da chi vive all’estero, e dove gli arti e le teste vengono tagliate pubblicamente.  Alle donne è proibito guidare  e gli omosessuali vengono giustiziati. Mentre i gruppi jihadisti sono vietati in patria, i governi del GCC e i singoli cittadini danno denaro a palate  per le tangenti  a questi gruppi all’estero.

Dato che la ricchezza di petrolio che diffonde in modo esplosivo l’odio  nel globo, il mondo è proprio avviato verso un sanguinoso scontro di civiltà e verso uno scontro ancora più sanguino all’interno della civiltà musulmana. Questo, infatti, è il tipo di scontro finale, che l’ideologia  saudita, di estrema “takfiri”  (empietà) cerca di provocare. http://it.wikipedia.org/wiki/Takfir. I progressisti di tutto il mondo  devono chiedere che l’Occidente tronchi i suoi rapporti commerciali con le forze più retrograde che esistono oggi sulla terra.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/saudi-arabia-facing-a-serf-revolt

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