The Washington Post 6/11/2015
I pericoli del secolarismo in Medio Oriente di Yasmine Bahrani professoressa di giornalismo presso l’American University di Dubai. Traduzione e sintesi di Alice Bondì
Agli occhi dei mediorientali, la parola 'secolarismo' appare come un termine assai complesso
Recentemente a Vienna, il segretario di Stato americano, John Kerry, e i suoi omologhi dell’Iran, della Arabia Saudita e di più di un dozzina di altri paesi, hanno annunciato il loro sostegno per una Siria unita e secolare. “L’unità della Siria, la sua indipendenza, la sua integrità territoriale e la sua indole secolare sono fondamentali”, hanno sostenuto in un comunicato. Vogliono una nuova Costituzione e delle elezioni supervisionate a livello internazionale. Noi tutti auspichiamo il meglio, ovviamente, ma dal Golfo Persico la questione sul futuro della Siria sembra un po’ più complessa. Stranamente, è probabile che soltanto pochi occidentali si soffermino sulla parte di quella frase che suscita non poca agitazione fra molte persone in Medio Oriente: la parola ‘secolare’. Ad un orecchio occidentale, la parola può apparire innocua, può sembrare semplicemente un sinonimo di ‘moderno’. Ma per i musulmani, in questa parte del mondo, la parola ‘secolare’ è un termine complesso. Molti di coloro che rifiutano il secolarismo, naturalmente, lo fanno perché credono che tutti debbano vivere così come ha vissuto il profeta Muhammad. Per questa cerchia di persone, tale incapacità corrisponde a praticare l’ateismo. Ovviamente, non tutti i musulmani attribuiscono lo stesso significato alle parole ‘secolare’ e ‘ateo’, ma, secondo Al-Qaeda e altri tradizionalisti, il rapporto tra il secolarismo e l’apostasia è chiaro, ed è un fatto grave. Un altro problema, forse meno familiare, è sia politico che sociale: nella regione, molti diffidano del secolarismo perché lo associano alla repressione. I movimenti nazionalisti e socialisti del XX secolo hanno negato alle popolazioni di numerosi paesi del Medio Oriente il diritto di indossare il velo, di farsi crescere la barba e di praticare il culto islamico. Il caso della soppressione dell’islam da parte di Mustafa Kemal Ataturk in Turchia è ben noto, ma ci sono molti altri esempi. Quando l’occidentalizzante leader tunisino, Habib Bourguiba, ha scoraggiato il digiuno del Ramadan, per esempio, e ha respinto l’uso del hijab, definendolo un “odioso straccetto”, anche molti di coloro che sostenevano la modernizzazione si sono sentiti offesi. Il principio secolare in Medio Oriente è un argomento complesso, che coinvolge i diritti delle donne, le questioni relative alla custodia dei figli e molti altri argomenti difficili. Ma quando se ne discute nella mia classe, io e i miei studenti concordiamo che, a livello base, vietare il velo e la barba è sbagliato tanto quanto la loro stesso obbligo. Deve essere sempre una scelta se una donna musulmana indossa il velo o un uomo musulmano vuole farsi cresce la barba. In ogni caso, gli estremisti la vedono a modo loro e spesso rispondono con reazioni violente contro chi la pensa diversamente. E questo è, dopo tutto, un aspetto essenziale della guerra islamista contro il secolare – e incredibilmente brutale – regime siriano. Il problema è che la battaglia sui valori secolari spesso può essere un sanguinaria, anche senza una guerra. Recentemente, quattro case editrici sono state attaccate in Bangladesh per aver stampato dei testi di critica all’estremismo religioso: Faisal Arefin Dipan è morto per le ferite riportate. Al-Qaeda nel subcontinente indiano ne ha rivendicato la responsabilità. Tali attacchi inviano un messaggio spaventoso ai pensatori musulmani e agli scrittori in qualunque parte del mondo, compresi anche i miei studenti. Dopo tutto, non dobbiamo dimenticare che il più famoso di tutti gli scrittori arabi, il premio Nobel egiziano Naguib Mahfouz, è stato accoltellato da un estremista musulmano nel 1994, presumibilmente per la sua narrativa “blasfema”. Lui sopravvisse, ma, per esempio, Farag Fouda – anch’egli scrittore egiziano accusato di blasfemia – non ci riuscì. Io, di solito, incoraggio i miei studenti a scrivere tutto quello che vogliono. Dico loro che tutti i pareri sono i ben accetti, che nulla è proibito. Quando ho chiesto ai miei studenti che cosa dovrebbero dovuto fare gli scrittori di fronte a una minaccia di tal genere, quasi tutti hanno risposto che avrebbero dovuto smettere di scrivere. Due hanno detto che avrebbero lasciato il Paese. Solo un ragazzo ha detto che avrebbe continuato a scrivere. Ho replicato alla mia classe sarebbe triste consentire gli assassini di mettere a tacere le voci dei giovani. “La verità è – ha detto una studentessa avvolta in bel foulard – che sto morendo di paura”.
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