Al-Arabiy al-Jadeed

27/08/2015

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31 agosto 2015

 

La politica araba e la fine del mondo

di Karim Barakat

professore di filosofia presso l’Università Americana di Beirut.

Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo

 

Perché le politiche arabe progrediscano, bisogna eliminare l'elemento religioso

 

Le narrative religiose non hanno smesso di influenzare il corso della politica araba. Questo concetto è stato chiarito soprattutto negli ultimi decenni, con la resurrezione dell’islamismo. Ma quando più di un attore politico inizia a promuovere questa o quella versione della fine del mondo, ci si chiede come questo possa tradursi in politica.

La fede nell’escatologia, cioè credere che una serie di eventi tragici porteranno alla fine del mondo, ha iniziato ad occupare un ruolo fondamentale nel processo politico e decisionale di oggi. Tuttavia, questo fenomeno non è nuovo, né per la politica né per la regione. Nella storia, questa fede ha giocato un ruolo chiave nel motivare le scelte politiche che hanno accentuato la spaccatura tra musulmani sunniti e sciiti.

Nell’Europa medievale, l’escatologia ha alimentato dibattiti e conflitti, ma il continente è riuscito a deviare da queste convinzioni con l’introduzione di idee politiche alternative, come quelle di Machiavelli e Hobbes, aprendo la strada alla sfera della politica indipendente. La politica non era più concepita per prepararsi al Giorno del Giudizio, portando invece avanti le idee di Stato e di diritti dei cittadini.

Come applicare una transizione simile all’interno delle politiche arabe e islamiche? È possibile capire la politica in termini di diritti in opposizione alle dottrine religiose?

Hezbollah ha fatto progressi in questo senso con l’adozione di obiettivi non settari. Dal 2006, infatti, il movimento ha adottato politiche che non sono né limitate ai musulmani sciiti, né coinvolgono solo loro. Posizioni simili sono state notate in Iran, dove la politica ha iniziato a muoversi su un terreno più diplomatico, non esclusivamente legato alle dottrine dell’islam sciita.

I movimenti sunniti, invece, non hanno adottato posizioni simili. Dalla parte dei moderati, la Fratellanza Musulmana in Egitto, per esempio, ha intensificato la sua retorica religiosa dopo l’elezione di Mohammed Morsi come presidente, nel 2012, e ha continuato a farlo anche dopo la sua deposizione.

Agli estremi, invece, Al-Qaeda e Daesh (ISIS) sono del tutto devoti all’escatologia politica. La fedeltà assicurata da Ayman al-Zawahiri a Mullah Akhtar Mansour, il nuovo leader talebano, è indicativo del continuo tentativo di ristabilire il califfato musulmano. Daesh, che ha già proclamato il suo califfato, aspetta che si avverino le profezie sulla battaglia finale che verrà il trionfo dei veri credenti e che aprirà la strada alla fine del mondo.

La diffusione di Daesh e di altri movimenti fondamentalisti violenti ha fatto sì che i regimi secolari perdessero la loro influenza. E quando nel processo decisionale non ci si preoccupa del benessere dei cittadini, non dovrebbe sorprendere che la violenza diventi la risposta. Questo accade quando la propria causa diventa sacra, mentre le altre vengono demonizzate. L’avvento di Daesh, dunque, è il prodotto del vuoto creato da una mancanza di ragione politica e di secolarismo.

Finché lo Stato non sarà capace di sviluppare la propria sfera di razionalità politica, non influenzata dalla religione, produrrà solo modelli di tirannia religiosa. Un problema grave, soprattutto se si tiene in conto la totale assenza di una qualsiasi infrastruttura sulla quale costruire questa coscienza politica.

 

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