Originale: http://www.counterpunch.org/ http://znetitaly.altervista.org/ 20 novembre 2015
Di notte sento urlare le vittime di Andre Vltchek traduzione di Giuseppe Volpe
A volte capita nel cuore di una notte buia, quando non me l’aspetto, quando penso di star dormendo profondamente ma non è così, o forse dormo ma non completamente. Non lo so . Tutto ciò di cui sono stato testimone e che ho ascoltato segretamente, tutto ciò che pensavo di aver dimenticato ma che non ho potuto dimenticare, tutto ciò che ho cercato così disperatamente di dimenticare ritorna, dapprima in spasmi, poi a piena forza. Penso spesso che l’occidente sia impazzito. Totalmente, irreversibilmente! Si è trasformato in un mostro e continua a fabbricare nuovi bruti, più piccoli ma ugualmente tossici, in tutto il mondo. Avanza come un rullo, schiacciando tutto ciò che gli ostacola il cammino. E non sono sicuro che possa ancora essere fermato. Quelle orride basi militari statunitensi sull’atollo Kwajalein, nelle Isole Marshall … quell’occupazione delle forze israeliane che soffoca le Alture siriane del Golan, quegli elicotteri da combattimento che sparano su veicoli civili a Gaza … villaggi bombardati e bruciati presso Mosul, Iraq … immagini di persone massacrate da terroristi filo-occidentali in Iran … uomini torturati barbaramente e le cui mogli e figlie erano state brutalmente violentare nel Kashmir “amministrato dall’India”, aggrappati disperatamente gli uni agli altri, che sussurrano i loro racconti in qualche villaggio dimenticato da Dio vicino al confine con il Pakistan. Qui, in questo articolo non passerò in rassegna, non posso farlo, l’intero catalogo di orrori che già hanno penetrato il mio cervello, decidendo di restarvi, molto probabilmente, per sempre. La lista è troppo lunga; quasi infinita. Salvo che non è semplicemente una lista, bensì un mosaico di eventi veri occorsi a centinaia di migliaia di essere umani in ogni angolo del mondo, spesso di fronte ai miei stessi occhi. A volte, nel mezzo della notte, sento persone urlare. Cerco di lavorare, scrivere libri e articoli, e girare documentari. Di solito non mi consento il lusso di parlare ad altri di quelle notti. Ma questa volta lo farò. Molti di voi mi hanno chiesto che cosa alimenta il mio scrivere; che cosa mi mantiene attivo. E perché oso fare quello che altri non fanno e andare dove non va quasi nessuno. Fatemi rispondere, una volta per tutte. Lasciate che condivida con i miei lettori almeno alcuni dei miei momenti personali. *** Ho incontrato una bambina siriana in piccolo campo profughi informale, senza nome, nella Valle della Bekaa, in Libano, vicino alla città di Zahlah. Era una profuga, forse di cinque o sei anni. Dapprima era spaventata quando ho cercato di fotografarla, ma poi ha sorriso. Alla fine mi ha mostrato la lingua e l’ha spostata, sfacciatamente, su un lato della bocca. Era lì, in piedi, nel mezzo di un campo anonimo, con la sua sorella più grande. Poi, pochi momenti dopo, mi si è avvicinata cautamente e mi ha toccato la mano. L’inverno si avvicina. Alcuni profughi stanno gelando e la bambina stava soffrendo di malnutrizione. Il suo comportamento naturale, la sua innocenza e il suo evidente oblio della guerra mi hanno toccato enormemente. Qualche settimana più tardi sono tornato con dolci e giocattoli. Ma la bambina se n’era già andata. Mi è stato detto che la sua famiglia l’aveva portata a nord di Aarsal, vicino al confine siriano, dove Hezbollah è bloccato in un’epica battaglia contro l’ISIS. Sì, lo stesso ISIS che è stato in origine addestrato e armato dalla NATO in Turchia e Giordania. Ho stampato la sua foto e l’ho incollata al mio frigorifero. Penso spesso a lei, quasi ogni giorno. Non so perché. In un certo modo la sua immagine, quella di una semplice bambina, una piccola in piedi nel mezzo di un orrido campo profughi vicino a una zona di guerra, è un simbolo della follia del mondo in cui siamo costretti a vivere. In un certo modo lei è il simbolo della resistenza contro la barbarie dell’Impero, un simbolo del desiderio di qualcosa di normale, del desiderio di buonsenso in mezzo alla follia. Il conflitto, la guerra nel suo paese, la Siria, è così “superfluo”, così abnorme, così evidentemente scatenato dall’occidente e dai suoi vili alleati e interessi. Attraverso la sua giovinezza e i suoi occhi pieni di curiosità e di speranza, la vita stava tentando di prevalere sulla morte e sul tenebroso nichilismo distruttivo. Ma quanto a lungo potrà durare? A Zahlah la bambina stava già vincendo, con il suo sorriso e la sua determinazione a vivere, a restare viva. Ma ora è ad Aarsal, dove la guerra si estende, impietosamente. Sono preoccupato per lei. Sono tanto preoccupato per lei. E maledico l’Impero. *** Naturalmente ho visto una quantità di cose che non poteva essere permesso apparissero nemmeno sulle pagine di pubblicazioni con un pubblico “duro”, temprato. Alcune cose erano così orribili che avrebbero spezzato in due anche qualcuno forte come un toro; cose che non dovrebbero essere viste da nessuno, e specialmente non dovrebbero succedere a nessuno. Immaginate un “campo profughi” vicino a Goma, Kivu Est, nella Repubblica Democratica del Congo (DRC), dove una milizia folle, strafatta, armata e appoggiata da due dei più stretti alleati dell’occidente nella regione – Ruanda e Uganda – aveva già violentato quasi tutte le donne del paese, dalle bambine piccole alle vecchie nonne. Immaginate coltan e uranio e diamante contrabbandati dalla DRC, svergognatamente, sotto la supervisione diretta dei soldati dell’ONU, i cosiddetti “garanti della pace”. Immaginate di visitare numerosi villaggi in Iraq, vicino a Mosul, villaggi che erano stati prima attaccati dall’ISIL e poi bombardati, spietatamente, dall’aviazione statunitense. Immaginate di avere fotografie, così come aveva fotografie di quei villaggi saccheggiati e brutalizzati di Timor Est due decenni fa ma, francamente, non gliene frega niente a nessuno. E vivete con tutto questo, giorno e notte. Diciamo che avete visto numerosi palestinesi dopo che soldati israeliani avevano sparato loro nei testicoli. Avete anche quelle immagini, dall’ospedale Shifa di Gaza. Avete una quantità di cose così, nei vostri dischetti e nella vostra testa. Persone senza più la faccia, persone bruciate tanto da essere irriconoscibili, ancora vive, che ancora si muovono, che ancora si aggrappano alla vita. E’ un assortimento di tutti gli orrori e la miseria che “uno può digerire”, portati a voi dal capitalismo globale, dall’imperialismo occidentale, dal fondamentalismo cristiano! Allora che cosa fate con questo, di notte? Quando siete molto giovani e vedete tutta questa merda per la prima volta, desiderate semplicemente vomitare. E vomitate, di fatto. Più avanti smettete di vomitare e se avete palle o ovaie combattete! Col passar del tempo e con la maggior parte delle battaglie che diventano “in salita”, desiderate disperatamente di essere in grado di fidarvi della gente, o almeno di una persona, una che in precedenza è venuta a voi offrendosi di “condividere tutto questo e di lottare al tuo fianco, per sempre”. Ma il vostro coraggio, e la vostra dedizione, indignazione, zelo, disperazione e desiderio non vi guadagnano nulla, davvero. Siete traditi, in continuazione, forse perché la posta in gioco è troppo alta, il fardello troppo pesante, o semplicemente perché la vostra vita è in effetti eccessivamente intensa e totalmente diversa dalla vita degli altri. Quanto più si è soli, tanto più si diventa decisi. Non c’è marcia indietro. Il mondo è in fiamme. Lo sapete. Non molti altri se ne rendono conto. Capite come funzionano le cose. Dovete combattere; è vostro dovere e obbligo. E combattete. Ma ci sono quelle notti … Potete essere duri come la pietra nel mezzo di terribili campi di battaglia e di altre situazioni tra le più orrende, ma di notte siete totalmente vulnerabile e più probabilmente soli. *** Quando sono arrivato al porto eritreo di Massawa, quasi un anno fa, mi sentito totalmente esausto, stremato. A malapena riuscivo a muovermi, dopo aver lavorato alcuni giorni a soli pochi chilometri da Mosul, Iraq, e subito dopo in Libano. Mi sentivo confuso dopo aver avuto uno scontro ed essere stato insultato da qualcuno di cui mi fidavo e su cui contavo completamente. I miei ospiti eritrei mi avevano procurato una camera in un albergo vecchio e terribilmente cadente. Poi, quasi a mezzanotte, il generatore dell’elettricità ha tirato le cuoia per il resto della notte. Non c’era nessun altro nel mio piano. Mi sono reso chiaramente conto che avevo davanti un vero inferno. Per due ore ho usato lo schermo del mio Mac Book Pro. Dopo che si è spento, il mio cellulare è durato ancora un po’. Poi erano circa le tre e mezza e c’era buio pesto. E’ cominciata la “processione”. Ho già descritto queste situazioni in quello che sarà, un giorno, il romanzo di mille pagine. Ma nel mio libro le vittime passano, una notte dopo l’altra, attraverso il valico confinario secondario coperto da neve profonda, in alto sulle montagne, tra Argentina e Cile. Passano a bordo di vecchi camion e al mattino, solo buche profonde nella neve vergine, buche create da rivoli di sangue caldo, potevano restare le protagoniste principali degli eventi della notte precedente. In Eritrea le vittime dell’Impero passavano solo attraverso la mia mente, i miei ricordi. Passavano una a una. Vittime peruviane, vittime colombiane; vittime dell’Indonesia, del Kashmir, dello Shri Lanka, delle Filippine, della DRC, del Ruanda, dell’Uganda, del Kenya, della Somalia, dell’Iraq, del Libano, della Siria, della Palestina, della Turchia, della Costa d’Avorio, dell’Ucraina, della Serbia, del Nicaragua, dell’Honduras … vittime di dozzine di altri paesi, prevalentemente donne, perché sono sempre le donne quelle che soffrono di più. Morti non necessarie, persone perite per nessun motivo particolare; solo perché l’Impero non poteva smettere di saccheggiare, assassinare, mirare al controllo assoluto del mondo. A un certo punto mi sono arreso; ho aperto gli occhi, fissando il buio, i pugni chiusi. Tutto era immobile nella stanza. Solo la mia memoria era viva. Questo era il prezzo di sapere. Ero disposto a pagare qualsiasi prezzo; non sono mai stato noto come uno taccagno. Nessun prezzo era troppo alto per me. *** Lottare contro l’Impero, denunciarne la barbarie, apprendere circa i suoi atti, è tutto terribilmente costoso. Poiché l’Impero è malato, poiché la cultura occidentale si è trasformata tanto tempo fa in una patologia, perché troppi esseri umani muoiono o hanno la vita rovinata solto perché siano soddisfatti bisogni e appetiti eccessivi dei reggitori del mondo, del loro regime globale. Alcuni mesi dopo quella notte spaventosa sulla costa dell’Eritrea sono stato invitato a parlare al Quattordicesimo Simposio Internazionale sui Contributi della Psicologia alla Pace, a Johannesburg e Pretoria, in Sudafrica. Poche ore dopo aver tenuto la mia presentazione sul tema della distruzione assoluta del continente africano ad opera dell’imperialismo occidentale, mi sono trovato di fronte a numerosi psicologi eminenti di ogni parte del mondo: “Cosa fai per sopravvivere a tutto ciò che hai appena descritto, psicologicamente e fisicamente?” Ho detto loro che non faccio assolutamente nulla, ma non ho scelta. Qualcuno deve fare quello che io sto facendo. Altrimenti non potrebbe arrivare nessuna notizia alternativa, vera. Mi hanno chiesto di prendermi una pausa, di riposare, per almeno diversi mesi. Ho annuito. Poi abbiamo cominciato tutti a ridere. Gli psicologi sono noti per avere un forte senso dell’umorismo. “Sono totalmente distrutto” mi aveva detto un paio di mesi prima, mentre stavamo attraversando il suo stato, il Kerala, il mio caro amico Binu Matthew, un leggendario direttore del più importante sito giornalistico di sinistra indiano, Countercurrents. “Faccio i conti con tutti quegli orrori che l’imperialismo sta diffondendo in tutto il mondo. Passa tutto attraverso me. Soffro a causa di ogni servizio di terribili informazioni che è pubblicato sul sito. Mi sottopone a una tensione psicologica enorme”. *** Quando le cose si fanno dure, immagino alcune persone: uomini, donne e bambini da ogni angolo del mondo; persone che mi hanno toccato, che hanno sofferto immensamente e che con tutta probabilità sono tuttora in pericolo. I loro volti, le loro lacrime, persino le loro grida mi motivano a continuare a lavorare. La bambina siriana di un campo profughi nella valle della Bekaa è una di loro. Non ho il diritto di fermarmi, di cedere e di tradirla. E’ una vergogna, una disgrazia enorme, il fondo del fondo che la nostra civiltà è riuscita a toccare; profitti prima delle persone, dogmi di superiorità, e soprattutto il fascismo occidentale. Ma la battaglia è scatenata. Il mio romanzo di 1.000 pagine è stato, per un certo tempo, rimandato, ma ho inserito molti dei suoi racconti nel mio enorme libro di 820 pagine Exposing Lies of the Empire [Denuncia delle menzogne dell’Impero]. Un giorno, sperabilmente presto, l’umanesimo vincerà il tetro nichilismo; le persone vivranno per altre persone e non per qualche gelido profitto, dogma religioso e “valore occidentale”. L’imperialismo sarà sconfitto una volta per tutte. Un giorno costruiremo enormi monumenti a quelli che sono scomparsi, a quelli che hanno sofferto immensamente, alle “non persone” le cui lacrima la maggior parte di noi nemmeno vede, le cui urla di orrore e di dolore sono imbavagliate da orrende menzogne, musica pop demenziale e colonne sonore cinematografiche, da media di massa prostituiti, e da un’istruzione formale che è distribuita a tutti come un veleno, come sedativo, come uno strumento che fa sì che la maggior parte delle persone di questa sfregiata scompaia dalla nostra coscienza.
Andre Vltchek è un filosofo, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha seguito guerre e conflitti in dozzine di paesi. I suoi libri più recenti sono “Exposing Lies of the Empire” [Smascheramento delle menzogne dell’Impero] e “Fighting Against Western Imperialism” [Lotta contro l’imperialismo occidentale]. La sua discussione con Noam Chomsky “On Western Terrorism” [Sul terrorismo occidentale]. Point of No Return [Punto di non ritorno] è il suo romanzo politico acclamato dalla critica. Oceania – un libro sull’imperialismo occidentale nel Pacifico meridionale. Il suo libro provocatorio sull’Indonesia: “Indonesia – The Archipelago of Fear” [Indonesia, l’arcipelago della paura]. Andre realizza documentari per teleSUR e Press TV. Dopo aver vissuto per molti anni in America Latina e in Oceania, Vltchek attualmente risiede e lavora in Asia Orientale e in Medio Oriente. Può essere raggiunto sul suo sito web o su Twitter. Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org |