http://www.eastonline.eu Kobane: la Stalingrado dello Stato Islamico? Era il 6 Ottobre 2014 quando un gruppo di guerriglieri dell’esercito del califfo Al-Baghdadi, che assediava già da settimane la città di Kobanê, terza città curda siriana, piantava la bandiera nera dello Stato Islamico sulla collina di Mishtenur, che domina la città a Sud. Quella foto, scattata dal fotografo dell’AFP Aris Messinis dal villaggio turco di Mürșitpinar, dall’altro lato della frontiera, aveva fatto il giro del mondo. Kobanê sembrava dovesse cadere da un momento all’altro mentre in città infuriava la battaglia e le orde dello Stato Islamico occupavano progressivamente i quartieri a Sud a ad Est grazie ad una potenza di fuoco maggiore e avvalendosi di armi e tank confiscati all’esercito iracheno. Dall’altro lato le forze curde dell’YPG/YPJ (Unità di difesa del popolo curdo) difendevano la città, casa per casa, immolandosi in una battaglia disperata pur di non far cadere Kobanê nelle mani del nemico. La Collina di Arin Mirxan Oggi, su quella stessa collina di Mishtenur che era stata testimone dell’avanzare inesorabile delle forze di Al Baghdadi, è stata piazzata una bandiera curda di 75 metri e la città di Kobanê, dopo 134 giorni di eroica resistenza e migliaia di morti (1.800 di cui 1.000 nei ranghi dell’Isis secondo le stime dell’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani) è stata finalmente liberata dalle forze curde. La gente di Kobanê già vuole rinominare quella collina ‘Girê Arin Mirxan’ (la collina de Arin Mirxan), in onore della guerrigliera Arin Mirxan che con il suo sacrificio (accerchiata, si è fatta esplodere uccidendo molti nemici) è riuscita a bloccare l’avanzata dell’Isis sulla collina proprio all’inizio dell’offensiva. Guerrigliere curde: forza militare e simbolica Il gesto di Arin Mirxan è di grande forza simbolica soprattutto se si calcola che tra i fanatici soldati del califfo ce ne sono molti che addirittura temono di perdere il paradiso e di precipitare nelle fiamme dell’inferno se uccisi da una donna. E le donne, le guerrigliere dell’YPJ (Unità di protezione delle donne curde) come Arin Mirxan sono state grandi protagoniste sia dal punto di vista militare che simbolico ed iconografico. Le loro immagini sui tank, armate di kalashnikov, assiepate dietro sacchi o mura bucherellate dai colpi di artiglieria, sorridenti con la mano che riproduce il gesto della vittoria mentre combattono contro orde di barbuti sono circolate sui media, sui social, accrescendo la consapevolezza del pubblico occidentale che a Kobanê si stessero affrontato due forze opposte e che in ballo ci fosse una battaglia anche di civiltà. Da un lato un popolo che lotta e muore pur difendere la propria terra contando su un esercito composto anche di donne, una società basata su un ‘contratto sociale’ (la Carta del Contratto Sociale del Rojava-Siria) che in linea teorica respinge sia l’autoritarismo sia l’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica ed è basato sulla pacifica convivenza fra tutti gli strati della società. A questa carta hanno aderito le regioni autonome di Afrin, Cizre e la stessa Kobanê, ovvero una confederazione composta da curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni. Dall’altro c'è una multinazionale del terrore che sembra provenire dagli evi più bui, che si è macchiata di crimini contro l’umanità, che lotta per accaparrarsi un territorio sempre più vasto, che vuole imporre la sharia su tutti i territori conquistati e che s’immola in nome di un dio cieco ed invisibile. I curdi dunque non hanno solo vinto sul campo, hanno anche vinto anche questa battaglia di simboli. Vita contro morte. Vinta una battaglia non la guerra La conquista di Kobanê dal punto di vista simbolico più che militare costituisce quasi una sorta di Stalingrado (prima vittoria degli Alleati contro il regime nazista). Per la maniera in cui è giunta, per la solidarietà creatasi nel mondo, per l’onta che ha fatto subire al nemico che aveva dichiarato che la città sarebbe caduta in poche settimane e che ora deve rivedere al ribasso le sue mira espansionistiche ed il suo desiderio di costruire il califfato universale. Dal punto di vista militare pero’, sottolineano diversi esperti, cambia poco. La guerra non è finita, lo Stato Islamico è lungi dall’essere battuto, i guerriglieri di Al-Baghdadi si sono asserragliati nei villaggi vicini ed accerchiano ancora la città. Tra le fila dei jihadisti ritrovati morti nella città di Kobanê il numero di ‘foreign fighters’ è estremamente alto e cio’ vuol dire che l’esercito del califfo puo’ contare sempre su nuove reclute. Ma è pur vero che lo Stato Islamico nelle ultime settimane ha cessato di espandersi perdendo diversi territori come ad esempio la provincia di Diyala, a Nord Est di Baghdad, riconquistata dalle milizie sciite spalleggiate direttamente da Teheran. Festeggiamenti nelle città curde ed in tutto il mondo Per la prima volta dopo mesi di guerra la gente di Kobanê è scesa per strada ed ha festeggiato la liberazione, migliaia di persone si sono ammassate al confine della città gemella Suruç in Turchia con l'intenzione di passare il confine e raggiungere Kobanê ma la polizia turca ha respinto i manifestanti. Celebrazioni ci sono state in tutte le città curde ma anche nel resto del mondo. A Parigi, centinaia di persone si sono radunate a Place de la République accendendo fumogeni e sparando fuochi d’artificio per festeggiare la riconquista della città diventata simbolo della resistenza curda. Turchia teme zona curda autonoma in Siria La Turchia, dal canto suo, non ha preso molto bene la vittoria curda a Kobanê. Essa teme infatti la creazione in Siria di un zona curda autonoma alla stregua di quella creata in Iraq che costituirebbe, secondo lo stesso presidente Erdogan, “fonte di grandi problemi per l’avvenire”. Sin dall’inizio la Turchia ha adottato una posizione ambigua ed ha rifiutato di partecipare alla coalizione internazionale e di aiutare i curdi di Siria definendo il principale partito curdo di Siria (PYD) - gemello siriano del turco Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) - come ‘terrorista'. Soltanto dopo lunghe pressioni ha autorizzato il passaggio di un contingente simbolico di peshmerga (curdi iracheni) per rafforzare la difesa di Kobanê. La Turchia resta fortemente ostile sia ad Assad che al governo di cantoni autonomi curdi del Rojava e spinge per la creazione di una zona frontaliera di sicurezza. Teme infatti l’effetto a catena ovvero le velleità d’indipendenza del Kurdistan turco.
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