http://www.lantidiplomatico.it 16/11/2015
L'Occidente e i suoi alleati hanno gravi responsabilità nelle stragi islamiste. di Franco Cardini
"Esistono delle complicità finanziarie e economiche tra il Califfato e alcuni stati alleati dell’Occidente, tra cui Turchia, Arabia Saudita e Qatar"
Nel commentare gli attentati di Parigi, in un post Facebook, Emergency scrive "Vediamo accadere in Europa quello che da anni accade in Afghanistan, in Iraq, in Siria: le nostre scelte di guerra ci stanno presentando il conto di anni di violenza e di distruzione. Diritti, democrazia e libertà sono l'unico modo di spezzare il cerchio della violenza e del terrore".
Dalla strage di Charlie Hebdo ai fatti di Parigi dello scorso venerdì, le responsabilità e le ambiguità dell'Occidente sono innegabili. Come scrive Marcello Foa sul suo blog, Il Cuore del Mondo, "l’Occidente non ha dimostrato una vera determinazione a combattere l’Isis. Anzi, purtroppo, non ha resistito alla tentazione di strumentalizzare la “rivolta” siriana. Fuor di metafora: per troppo tempo i guerriglieri dell’Isis e affini sono stati finanziati e sovente addestrati dal Qatar, dall’Arabia Saudita, dai Turchi, con il beneplacito e in certi frangenti il supporto attivo degli americani, allo scopo di cacciare Assad. Il quale, invece, contrariamente a Gheddafi non è caduto e oggi appare paradossalmente – lui che è un dittatore ma laico – come un indispensabile argine contro il fanatismo religioso dell’Isis. O almeno così appare a Putin. Gli americani sembrano ancora più interessati alla destituzione di Assad che a fermare una volta per tutte l’Isis. Forse la strage di Parigi li indurrà a cambiare linea".
Franco Cardini, Direttore del Centro di Studi sulle Arti e le Culture dell’Oriente dell’Università Internazionale dell’Arte di Firenze e storico di fama mondiale, parlava delle responsabilità occidentali, lo scorso giugno, in un'intervista concessa a L'Espresso.
Assad, che è l’unico ancora in vita, è inviso dall’Occidente perché amico dell’Iran e nemico della Turchia che è membro della Nato. E’ qui il grande problema: paesi come Turchia e Arabia Saudita sono alleati dell’Occidente che però combattono Assad e di conseguenza favoriscono l’Is.
Sia i governi europei che quello americano hanno delle responsabilità non solo recenti, ma che iniziano nel periodo post-coloniale del Medio Oriente. Il peccato originale fu quello di voler fare delle vecchie colonie dei nuovi protettorati economico-finanziari. Gli inglesi soprattutto tentarono di mantenere de facto il controllo di quelle zone, negando l’anima islamica di quel mondo e a seguito di ciò nacquero i primi movimenti islamisti, come i Fratelli musulmani in Egitto. Da allora fino ai nostri giorni le forze occidentali hanno trattato strumentalmente il mondo islamico, facendo i propri interessi. Ancora oggi si pensa che il fondamentalismo sia strumentalizzabile. Gli Stati Uniti, per esempio, favorirono lo stabilirsi degli jihadisti provenienti dallo Yemen e dall’Arabia Saudita in Afghanistan durante la guerra contro l’Unione sovietica, per trasformarla in una guerra santa anti-russa. Essa fu vinta, ma gli jihadisti rimasero e formarono il movimento dei talebani che fino a metà degli anni Novanta fu appoggiato da Washington. Poi i talebani si svincolarono avvicinandosi alla Cina, cosa che ha portato all’11 settembre e a tutte le conseguenze che oggi abbiamo sotto gli occhi.
Esistono delle complicità finanziarie e economiche tra il Califfato e alcuni stati alleati dell’Occidente, tra cui Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Quello che l’Is sta facendo al livello geografico è di ridisegnare il territorio di Iraq e Siria a favore dei paesi citati e a discapito di Assad. Il Califfo però è sempre più forte, tanto da poter porre le condizioni ai propri alleati. Vuole essere l’unico rappresentante dell’Islam radicale e sta tentando di egemonizzare il mondo islamico sotto la sua guida. Nel Medio Oriente sta incontrando difficoltà grazie alle resistenze di Assad e dei curdi, ma sta ottenendo grandi consensi in Africa, dove gli stati sociali sono meno sviluppati se non inesistenti, come in Somalia. Non è un caso che sia in quelle regioni che abbiano origine i flussi migratori che sbarcano sulle nostre coste.
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