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http://nena-news.it Arresti e scontri nell’anniversario della primavera bahreinita In Bahrein continuano le proteste iniziate tre anni fa, nel solco delle rivolte arabe, ma la risposta della dinastia al Khalifa è sempre la repressione. Il dialogo nazionale è al palo e l’opposizione ha proclamato tre giorni di manifestazioni
Roma, 14 febbraio 2014, Nena News Scontri e una raffica di arresti hanno segnato l’inizio del terzo anniversario della rivolta in Bahrein. Una sollevazione popolare che non si è mai fermata, ma di cui si parla poco nonostante le denunce delle organizzazioni per di diritti umani. Ieri almeno 29 persone sono state arrestate dalla polizia, alcune mentre tentavano di raggiungere piazza della Perla, il luogo simbolo della primavera bahreinita, dove tre anni fa si radunarono migliaia di manifestanti per chiedere democrazia e diritti. La risposta della casa reale sunnita al Khalifa, che guida il regno da quasi duecento anni, è stata la repressione, ma le proteste non sono mai finite e hanno assunto un carattere settario, con la maggioranza sciita che lamenta discriminazioni e vassazioni. Lo scorso dicembre ci sono state quasi 750 manifestazioni nel regno, di solito fermate con la forza. La polizia ha usato il gas lacrimogeno contro la gente scesa in strada in diversi villaggi vicino alla capitale Manama. In alcuni quartieri i manifestanti hanno innalzato barricate e la risposta delle autorità è stata dura: sgomberi, scontri e arresti. Una mobilitazione di tre giorni è stata indetta ieri dalla coalizione ‘Giovani del 14 febbraio’, movimento sciita che ha esortato i dimostranti a occupare piazza della Perla, come tre anni fa. Quella grande e inusuale manifestazione popolare fu fermata dall’intervento delle forze di sicurezza bahreinite coadiuvate dai soldati inviati dal Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), sorta di Nato dei Paesi della aenisola arabica dominato dall’Arabia Saudita. L’attacco ai manifestanti in presidio da settimane nella piazza iniziò il 14 marzo del 2011 e fece decine di morti. Intanto, il re Hamad bin Isa Al Khalifa proclamava la legge marziale e il governo imponeva la chiusura del quotidiano Al Wasat, colpevole di avere criticato l’esecutivo. Da allora si sono susseguite le denunce di abusi e maltrattamenti e il governo di Manama ha imposto nuove leggi liberticide che hanno portato in carcere molti minorenni, blogger, giornalisti, avvocati, attivisti per i diritti umani e persino i medici che avevano soccorso i dimostranti feriti. Una commissione d’inchiesta (la Bahrain Independent Commission of Inquiry-BICI) nominata dallo stesso sovrano ha stabilito che in quel mese di repressione, dalla metà di febbraio alla metà di marzo del 2011, c’è stata una sistematica violazione dei diritti dei manifestanti e contro gli arrestati è stata usata la tortura fisica e psicologica, ma non sono stati fatti i nomi dei colpevoli. “L’implacabile repressione del dissenso prosegue senza sosta, con un uso eccessivo della forza da parte della polizia per fermare le proteste”, ha detto Said Boumedouha, vicedirettore Medio Oriente e Africa di Amnesty International, “nell’ultimo anno dozzine di persone, inclusi minorenni, sono state incarcerate per avere partecipato a manifestazioni pacifiche e molte di loro sono state torturate in carcere”. Il Bahrein è in fermento, ma la mobilitazione popolare resta quasi del tutto ignorata dalla stampa internazionale, mentre basta poco per finire in manette. Il piccolo arcipelago che si affaccia sul golfo Persico è di rilevanza strategica per gli alleati occidentali, in particolare per gli Stati Uniti che qui hanno la loro V flotta, quella impegnata nel conflitto in Afghanistan. Inoltre, il regno dominato dai Khalifa è da sempre segnato da tensioni religiose ed è al centro del confronto tra due potenze regionali: l’Iran sciita e il regno sunnita dei Saud. Le stesse proteste hanno ormai uno stampo settario: la comunità sciita denuncia vessazioni da parte della casa reale, mentre il governo accusa l’opposizione, rappresentata soprattutto dal blocco sciita Wefaq (i partiti sono vietati), di essere una pedina nelle mani di Teheran e i manifestanti di essere terroristi. Un anno fa si è aperta una fase di dialogo tra il governo e l’opposizione, segnata però da continui stop dovuti alla stretta repressiva di Manama. Sul tavolo della trattativa ci sono le riforme istituzionali per garantire una maggiore rappresentanza e partecipazione ai cittadini del regno, diventato una monarchia costituzionale nel 2002. Ma la fine del sultanato e una serie di riforme calate dall’alto non hanno intaccato l’oligarchia sunnita né il potere assoluto del monarca che ha sempre l’ultima parola su tutto: il re nomina il Consiglio della Shura che ha diritto di veto sulla Camera bassa che è invece eletta. Nena News
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