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25/06/2014

Gran Mufti iracheno: "Questa è una rivoluzione popolare"

Durante un'intervista rilasciata ad Asharq Al-Awsat, la massima autorità religiosa sunnita afferma che sono 15 le fazioni armate che hanno preso parte alla rivoluzione contro il governo centrale, accusato di crimini contro i sunniti iracheni. Rafi Al-Rifa'i: "Il nostro unico obiettivo è quello di porre fine all'ingiustizia di Maliki e dei suoi seguaci che hanno distrutto il paese, rubato la sua ricchezza, ucciso la propria gente e distrutto i luoghi santi".

Baghdad (AsiaNews/Agenzie) - Il Gran Mufti iracheno Rafi Al-Rifa'i, massima autorità sunnita del Paese, ha descritto ciò che sta accadendo in Iraq come una "rivoluzione popolare", sostenendo che il governo centrale esagera quando si riferisce alla presenza e con la minaccia dell'organizzazione militare dello stato islamico dell'Iraq e della Siria (Isis).

Al-Rifa'i ha dichiarato: "I rivoluzionari tribali si stanno muovendo per cambiare completamente il processo politico in Iraq, 15 fazioni armate hanno preso parte alla rivoluzione contro il governo, reagendo all'ingiustizia alla quale sono stati sottoposti i sunniti iracheni. Questa è una rivoluzione popolare alla quale tutti gli iracheni stanno partecipando, combattendo a fianco di questi gruppi armati. Il nostro unico obiettivo è quello di porre fine all'ingiustizia di Maliki e dei suoi seguaci che hanno distrutto il paese, rubato la sua ricchezza, ucciso la propria gente e distrutto i luoghi santi".

Rifa'i è attualmente in Erbil. Egli è stato molto critico nei confronti del primo ministro sciita, e all'inizio dell'anno lo ha accusato di genocidio contro i sunniti in Iraq.

Il religioso iracheno ha invitato la gente del sud dell'Iraq a "sollevarsi contro Maliki", ma ha negato di essere un rappresentante dei ribelli anti-governativi.

Il Gran Muftì, inoltre ha negato che l'Isis fosse diretto verso i santuari di Mosul: "Incidenti come questo non dovrebbero accadere. Non siamo venuti per distruggere le statue o per stabilire un modello speciale. Vogliamo che la gente viva in sicurezza. Noi non siamo responsabili per quello che l'Isis sta facendo, poiché non è degno di uno Stato. Siamo venuti a cambiare un regime, non delle statue".

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