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http://www.theatlantic.com La nuova mappa del Medio Oriente Perché dovremmo combattere l'inevitabile disgregazione dell'Iraq? Quindi, come dicevo .... Quasi sette anni fa, ho scritto una storia di copertina per questa rivista, sull’imminente crollo della mappa post-guerra mondiale in Medio Oriente. Ho condotto il reportage, che alla fine abbiamo chiamato "Dopo l'Iraq: a cosa somiglierà il Medio Oriente", nell'autunno del 2007, pre-Obama, pre-Primavera araba, pre-un sacco di cose, ma anche tornando indietro ad allora, era abbastanza ovvio che l'era della stabilità in Medio Oriente (relativamente parlando) stava volgendo al termine. La mappa che vedete qui sopra, era la figura principale di quell’articolo, che è apparso nel numero di gennaio/febbraio 2008. Introdussi la presunzione della storia in questo modo: Di solito la domanda sul Medio Oriente con la più vasta portata di inventiva era questa: Quanti stati, uno o due, di Israele o di uno Stato palestinese, o entrambi esisteranno un giorno sul pezzo di terra tra il Mar Mediterraneo e il fiume Giordano? Oggi la domanda sembra banale se confrontata con questa: Quanti stati ci saranno un giorno tra il Mediterraneo e il fiume Eufrate? Tre? Quattro? Cinque? Sei? E perché fermarsi alla riva occidentale dell'Eufrate? Perché non andare fino in fondo al fiume Indus? Tra il Mediterraneo e l'Indo oggi si trovano Israele e i territori palestinesi, Libano, Siria e Giordania, Iraq, Iran, Afghanistan e Pakistan. L’instabilità a lungo termine potrebbe portare alla rottura di molti di questi stati. Ho anche fatto un paio di previsioni, informato da vari esperti: Una delle ragioni che non trovo eccessivamente esercitate dall’apparente collasso dell'Iraq, e una delle ragioni per cui non credo che sarebbe saggio per gli Stati Uniti correre in Iraq per sistemarla, è che non ho creduto per un solo istante che esostesse una colla capace di tenere insieme il paese. Questo è un caso in cui la naturale prudenza del presidente Obama, e il suo comprensibile desiderio di evitare dei macelli in Medio Oriente, è una buona cosa. E sono d'accordo con Colin Kahl che Obama non perderà l'Iraq, anche se ancora mi auguro che fosse andato nei primi mesi a sostenere quella che allora era una ribellione siriana più moderato. Sono anche fermamente con il campo nazionalista curdo, per interposta persona, ovviamente. La causa dell'indipendenza curda è una sola, che è un altro modo per dire che la negazione del diritto all’autodeterminazione dei curdi, il più grande popolo apolide del mondo, nel corso degli ultimi 100 anni è stata una terribile ingiustizia. Il Kurdistan iracheno, come rilevo in quell’articolo, era già funzionalmente indipendente; lo è molto di più oggi. Sarebbe una buona cosa se un Kurdistan veramente indipendente emergesse dal caos attuale, liberato una volta per tutte dalla dominazione arabo-irachena. Quando stavamo preparando la mappa che accompagnava l'articolo, abbiamo sbagliato sul lato della fantasia, e dell’esagerazione. Tuttavia, nel guardarla oggi, non sembra del tutto fantasiosa. Abbiamo previsto lo smembramento del Sudan in due paesi, anche se abbiamo chiamato quello che oggi è conosciuto come Sud Sudan "Nuovo Sudan". Abbiamo creato un’Hezbollahstan, in una parte del Libano, e questo certamente esiste, de facto. A nord di Hezbollahstan è "La Repubblica alawita", lungo l'attuale costa mediterranea della Siria. Questa è una conseguenza semi plausibile a breve termine della distruzione diretto della Siria da parte di Assad. Sulla nostra mappa, la Siria perde anche il territorio del "Druzistan" che tocca il confine settentrionale della "Grande Giordania". L'Iraq è, naturalmente, diviso in tre stati, e lo stato curdo prende anche una parte di territorio curdo attualmente governato dalla Turchia. Un'aggiunta semi perspicace alla mappa, la Zona Beduina Autonoma, ciò che poteva esser sviluppata nella penisola del Sinai prima del più recente colpo di stato militare egiziano, e del piano di militare per reimpossessarsi Sinai sottraendolo alcontrollo delle tribù jihadiste. Nell'articolo, ero molto critico dell'arroganza imperiale che motivò la divisione Sykes-Picot del Medio Oriente da parte di inglesi e francesi. Ma ho animato l'argomento secondo cui l'accordo Sykes-Picot era, in un certo senso, inavvertitamente progressivo. I creatori del moderno Medio Oriente fissano insieme popoli di diverse etnie e fedi, o flussi della stessa fede, con l’intenzione di renderli moderni, multiculturali, e multi-confessionali. Si tratta di un eufemismo per dire che il Medio Oriente non è il tipo di posto in cui è stato dimostrato che questo tipo di esperimento possa funzionare. Sto pensando a voi, tra l'altro, che siete per un unico stato tra Israele e Palestina. Non credo che, per mantenere l'Iraq uno stato unitario, valga la pena spendere il denaro americano, ne certamente vite americane. Si tratta, ovviamente, di investire in progetti che anticipino la creazione di rifugi sicuri permanenti per i jihadisti, e su questo gli Stati Uniti dovrebbero essere vigili, più vigili di quanto siano stati. Ma l’ossessività Westfaliana, che l’Iraq debba stare insieme perché deve stare insieme, proprio non mi sembra saggia. Scriverò ancora su tutto questo più tardi, ma vi lascio con una citazione dalla storia che mi ha colpito durante la rilettura, in parte perché può rappresentare quello che il presidente Obama sente segretamente sul Medio Oriente. A un certo punto, ho chiesto a David Fromkin, autore di Una Pace per Porre Fine a Tutte le Paci; il conto definitivo della realizzazione del Medio Oriente moderno, se avesse speculato sul futuro della regione. Questo è ciò che disse nel 2007: “Il Medio Oriente non ha futuro" http://www.theatlantic.com The New Map of the Middle East Why should we fight the inevitable break-up of Iraq? So as I was saying…. The map you see above, and also embedded below, was the main illustration for the piece, which appeared in the January/February 2008 issue. I introduced the conceit of the story this way: As America approaches the fifth anniversary of the invasion of Iraq, the list of the war’s unintended consequences is without end (as opposed to the list of intended consequences, which is, so far, vanishingly brief). The list includes, notably, the likelihood that the Kurds will achieve their independence and that Iraq will go the way of Gaul and be divided into three partsbut it also includes much more than that. Across the Middle East, and into south-central Asia, the intrinsically artificial qualities of several states have been brought into focus by the omnivorous American response to the attacks of 9/11; it is not just Iraq and Afghanistan that appear to be incoherent amalgamations of disparate tribes and territories. The precariousness of such states as Lebanon and Pakistan, of course, predates the invasion of Iraq. But the wars against al-Qaeda, the Taliban, and especially Saddam Hussein have made the durability of the modern Middle East state system an open question in ways that it wasn’t a mere seven years ago. It used to be that the most far-reaching and inventive question one could ask about the Middle East was this: How many states, one or twoIsrael or a Palestinian state, or bothwill one day exist on the slip of land between the Mediterranean Sea and the Jordan River? Today, that question seems trivial when compared with this one: How many states will there one day be between the Mediterranean and the Euphrates River? Three? Four? Five? Six? And why stop at the western bank of the Euphrates? Why not go all the way to the Indus River? Between the Mediterranean and the Indus today lie Israel and the Palestinian territories, Lebanon, Syria and Jordan, Iraq, Iran, Afghanistan, and Pakistan. Long-term instability could lead to the breakup of many of these states. I also made a couple of predictions, informed by various experts: The most important first-order consequence of the Iraq invasion, envisioned by many of those I spoke to is the possibility of a regional conflict between Sunnis and Shiites for theological and political supremacy in the Middle East. This is a war that could be fought by proxies of Saudi Arabia, the Sunni flag-bearer, against Iranor perhaps by Iran and Saudi Arabia themselveson battlefields across Iraq, in Lebanon and Syria, and in Saudi Arabia’s largely Shiite Eastern Province, under which most of the kingdom’s oil lies. One of the reasons I don’t find myself overly exercised by the apparent collapse of Iraq (and one of the reasons I don’t think it would be wise for the U.S. to rush into Iraq in order to “fix” it) is that I’ve believed for a while that no glue could possibly hold the place together. This is a case in which President Obama’s natural caution, and his understandable desire to steer clear of Middle Eastern slaughterhouses, is a good thing. And I agree with Colin Kahl that Obama did not “lose” Iraq (though I still wish that he had come in early in support of what was then a more moderate Syrian rebellion). I’m also firmly in the Kurdish nationalist camp (vicariously, of course). The cause of Kurdish independence is a just one, which is another way of saying that the denial of the right of self-determination to the Kurdsthe world’s largest stateless peopleover the past 100 years has been a terrible injustice. Iraqi Kurdistan, as I note in the piece, was already functionally independent; it is much more so today. It would be a very good thing if a truly independent Kurdistan emerges from the current chaos, liberated once and for all from Iraqi Arab domination. When we were preparing the map that accompanied the article, we erred on the side of whimsy, and exaggeration. However, in looking it over today, it doesn’t seem entirely fanciful. We predicted the break-up of Sudan into two countries (although we called what is today known as South Sudan “New Sudan”). We created a “Hezbollahstan” in part of Lebanon, and this certainly exists, de facto. North of Hezbollahstan is “The Alawite Republic,” along what is now Syria’s Mediterranean coast. This is a semi-plausible near-term consequence of Syria’s Assad-directed destruction. Syria also loses territory, on our map, to a “Druzistan” that touches the northern border of “Greater Jordan.” Iraq is, of course, divided into three states, and the Kurdish state even takes in parts of Turkish-ruled Kurdish territory. One semi-perspicacious addition to the mapthe Bedouin Autonomous Zoneis what could have developed in the Sinai Peninsula before the most recent Egyptian military coup, and the Egyptian military’s re-energized plan to seize Sinai back from jihadist tribesmen. In the article, I was very critical of the imperial hubris that motivated the Sykes-Picot division of the Middle East by the British and French. But I’ve warmed to the argument that the Sykes-Picot arrangement was, in one sense, inadvertently progressive. The makers of the modern Middle East roped together peoples of different ethnicities and faiths (or streams of the same faith) in what were meant to be modern, multicultural, and multi-confessional states. It is an understatement to say that the Middle East isn’t the sort of place where this kind of experiment has been shown to work. (I’m thinking of you, one-staters, by the way.) I don’t think it is worth American money, or certainly American lives, to keep Iraq a unitary state. It is, of course, important to invest in plans that forestall the creation of permanent jihadist safe havens, and about this the U.S. should be vigilant, more vigilant than it has been. But Westphalian obsessivenessIraq must stay together because it must stay togetherjust doesn’t seem wise. More on all this later, but I’ll leave you with one quote from the story that struck me on re-reading, in part because it may represent what President Obama secretly feels about the Middle East. At one point, I asked David Fromkin, the author of A Peace to End all Peace, the definitive account of the making of the modern Middle East, whether he would speculate about the region’s future. This is what he said in 2007: “The Middle East has no future.”
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