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Giugno 16, 2014
Domenico Quirico: «I jihadisti hanno lanciato una sfida all’Occidente: sono capaci di instaurare il califfato islamico. Ma non vogliamo rendercene conto»
di Francesco Amicone
Il giornalista della Stampa dichiara a tempi.it: «I jihadisti, con la loro bandiera nera, seguono gli ordini di un Dio crudele, sanguinario, battagliero. Bisogna rendersi conto di questo»
«È terribile e pericolosa l’avanzata verso Baghdad dei jihadisti dell’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante). Dimostrano di essere realmente capaci di instaurare il califfato islamico, un vero e proprio stato al centro del Medio Oriente», osserva Domenico Quirico, reporter della Stampa. Quirico è stato per 125 giorni nelle mani dei fanatici islamici con la bandiera nera in Siria, gli stessi che, avanzando dal nord dell’Iraq, ora si trovano quasi alle porte della capitale.
A tempi.it spiega che le preoccupazioni dell’Occidente non dovrebbero venire dal «rimescolamento iracheno ma dalla saldatura jihadista tra Siria e Iraq, conseguenza della guerra siriana».
Quirico, lei è convinto che i jihadisti dell’Isil siano realmente in grado di mantenere il controllo del territorio che stanno conquistando a nord dell’Iraq?
Sì. Hanno dimostrato che il loro è un progetto assai serio. Il califfato non è il frutto della visione di un imam svitato che arringa in una moschea, ma una strategia che l’Occidente non riesce a capire. Da una parte è la creazione di un vero e proprio stato fondato sulle regole dell’islam più radicale, dall’altra una base logistica per sfidare gli stati islamici confinanti (che loro definiscono traditori) e poi affrontare l’Occidente. Non hanno paura del confronto militare diretto e confermano di avere anche la capacità di porci una sfida globale.
Sfida globale? Il territorio controllato dai jihadisti è pur sempre uno spicchio di terra.
Esiste un progetto globale che muove l’islam radicale. La sfida è globale perché non è lanciata solo dall’Isil ma da tutti gli affiliati jihadisti in grado di muoversi e combattere dal Sub-Sahara alla Mesopotamia. Sono stati capaci di conquistare Timbuctu, a migliaia di chilometri dall’Iraq. Ora assediano la capitale di uno stato con un esercito regolare, ben equipaggiato.
Si può ancora parlare di terroristi di Al Qaeda?
Ormai siamo di fronte a un pericolo completamente diverso. Non è più l’Al Qaeda di Bin Laden. Quella era una rete di terrorismo sparsa sul pianeta. Bin Laden era sempre ospite di qualche paese, in Afghanistan, in Pakistan. Contrattava con i governi, dipendeva da loro. Il livello di sfida di quella rete terroristica riguardava polizie, questure. La nuova Al Qaeda per così dire ha alzato il livello del confronto e i suoi obiettivi. Non siamo più di fronte a cellule di terroristi, clan, brigate, ma a eserciti che si muovono dal Sahara alla Mesopotamia.
Quando è avvenuta questa trasformazione?
Già due anni fa, nel mio libro sulle primavere arabe, spiegai non come storico o analista, ma come giornalista che ha avuto testimonianze dirette che Al Qaeda fosse pronta a usare le rivoluzioni contro i tiranni per trasformare le proprie strategie. Purtroppo l’Occidente ha ignorato il pericolo, perché sottovaluta i jihadisti.
Li sottovaluta?
Non li capisce. Non riesce a comprendere che loro non hanno interessi economici o politici. A muovere la storia infatti non c’è solo questo: c’è anche la religione. I jihadisti, con la loro bandiera nera, seguono gli ordini di un Dio crudele, sanguinario, battagliero. Bisogna rendersi conto di questo. Purtroppo gli occidentali, e gli americani per primi, non vogliono rendersene conto. Dovunque siano andati, in questi anni, si sono limitati a insediare i loro maggiordomi, senza pensare alle conseguenze. Gli americani si affidano alle persone sbagliate, per calcolo, per interessi, ignorando il disordine che creano. È inevitabile che a quel disordine qualcuno porrà rimedio. E in Iraq ci stanno pensando proprio i jihadisti.