The Huffington Post
16/12/2014
Buon Natale dal Medio Oriente
di Reverendo Andrew Write, Cappellano nella Chiesa anglicana di St. George a Baghdad.
Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.
Un vicario spiega cosa significa per un cristiano passare il Natale a Baghdad
È il periodo più bello dell’anno. Un momento in cui si concentrano luci, cibo, feste, divertimento e regali. Non dobbiamo dimenticare quanto sia importante per i bambini. L’altro giorno ero a Toronto. C’erano bambini ovunque intorno a me. C’era neve per terra e un caminetto con la legna che bruciava. C’era tutto quanto si possa immaginare nel periodo di Natale. Malgrado si fosse in Chiesa, uno dei genitori ha detto al figlio: “Se non fai il buono, Natale non ci sarà”. Così il bambino, che non aveva più di sei anni, ha risposto: “Ma come, se non facciamo i buoni Gesù non nascerà?”. I genitori non hanno osato rispondere.
Il fatto è che Natale ha una solo ragione di esistere, ossia la nascita di Gesù. A partire dalla tradizione ebraica in poi c’è sempre stata la profonda credenza che un giorno il Messia sarebbe nato e che avrebbe guidato il proprio popolo verso Dio. Che avrebbe cambiato per sempre l’approccio dei popoli a Dio. Che sarebbe stato conosciuto come il Re tra i Re.
Però è nato da una madre non sposata che era una rifugiata e che ha dato luce a suo figlio in una stalla squallida in uno squallido paesino a poca distanza da Gerusalemme chiamato Betlemme. Non un grandissimo inizio per chi era destinato a cambiare la Storia. Dal giorno in cui è nato la storia è stata divisa in A.C. e D.C. Coloro che hanno seguito questo figlio rifugiato si chiamano cristiani.
Natale è anche il momento in cui si ripensa a ciò che è successo durate l’anno passato. Per me quest’anno è stato molto difficile perché non sono un vicario in una parrocchia in mezzo al verde nell’Hampshire/Surrey dove vive la mia famiglia. La mia parrocchia è a Baghdad, in Iraq. La nazione da cui centinaia di migliaia di cristiani sono stati cacciati dalle loro case. Sono fuggiti in massa nel Nord dell’Iraq per mettersi in salvo dagli orrori del Daish. Lì la mia comunità ha dato da mangiare e da vestire, nonché fornito materassi e culle ai rifugiati.
Qui in questo campo di rifugiati i cristiani che non possono avere un Natale come noi occidentali hanno installato una tenda per Gesù.
Questo Natale, nel celebrare ciò che abbiamo, non dimentichiamoci che anche noi festeggiamo la nascita di un rifugiato che non aveva niente ma che ci dà tutto. Nel diletto che proviamo nell’offrire doni agli altri in questo Natale non dimentichiamoci che cosa realmente significa il Natale per noi: il momento in cui questo bambino rifugiato viene da tutti noi come colui che ci guida verso Dio e che ci offre il più grande regalo che ci possa essere per Natale.
Non mi scorderò mai il giorno a Baghdad in cui abbiamo avuto dei visitatori. Erano venuti a vedere cosa significasse veramente essere cristiani in Iraq e sono tutti rimasti stupiti da quanto fossero felici le migliaia di persone nella nostra congregazione: “Come fate ad essere così felici malgrado siate circondati da attacchi suicidi, missili e violenza?”, ci hanno chiesto. Uno dei nostri giovani ha risposto: “Vedi, quando hai perso tutto, Gesù è tutto ciò che ti rimane”.
Tutto ciò che rimane è l’amore di quel bambino rifugiato. Questo nel Medio Oriente è tutto ciò che importa, per noi, in questo Natale. Il terrorismo si è così inasprito che son dovuto partire per andare a Betlemme, il posto in cui 2000 anni dopo che Cristo è comparso qui per la prima volta, la gente ancora lo ritiene fonte di sostegno e di supporto.
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