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16 sett 2014

Isis, il grande assente è l’Iran. Mogherini: faremo dialogare i vicini dell’Iraq
di Lorenzo Biondi

Per ora nessuna collaborazione tra Iran e Stati Uniti, ma l'America lascia aperta la porta. L'Italia conferma l'invio di due carichi di armi, ma l'impegno principale sarà sul fronte diplomatico

Un deja-vu che è anche un cattivo presagio: alla conferenza di Parigi sulle contromisure da prendere contro l’autoproclamato Stato islamico mancava uno solo dei grandi attori regionali, l’Iran. Proprio come alla conferenza di Ginevra sulla guerra civile siriana, non più di sei mesi fa. In quell’occasione furono gli americani a non volere la partecipazione degli iraniani. Stavolta il no definitivo alla collaborazione tra Stati Uniti e Iran l’ha annunciato l’ayatollah Ali Khamenei, dopo che Barack Obama aveva chiuso all’ipotesi di un coordinamento con la Siria di Bashar al Assad nella guerra contro l’Isis. Nel primo caso l’assenza dell’Iran fu all’origine del fallimento della conferenza. Nel secondo, si vedrà.

«Abbiamo insistito affinché l’Iran fosse presente. Non siamo stati noi a decidere», diceva ieri il ministro degli esteri iracheno Ibrahim al Jaafari. In realtà gli Stati Uniti non hanno escluso del tutto una qualche forma di collaborazione con Teheran, che già sta dando sostegno logistico e di intelligence all’esercito di Bagdad. «Ci potrebbe essere un’ulteriore possibilità di dialogo», faceva sapere ieri il dipartimento di stato. In quella che si preannuncia una lunga guerra, ogni contributo può essere cruciale. Tanto più il contributo del più ingombrante vicino dell’Iraq.

Anche perché un altro vicino di Bagdad, la Turchia, ieri ha confermato che non metterà a disposizione le sue basi per le operazioni contro l’Isis. E perché almeno due dei dieci paesi arabi che hanno aderito alla coalizione contro lo Stato islamico per ora si sono limitati alle promesse: «Francamente il Qatar e il Kuwait dovrebbero fare molto di più», ha commentato Jen Psaki, portavoce di Kerry, al termine del vertice di Parigi.

Non sarà facile il lavoro di Kerry per ottenere la collaborazione di questi alleati “riluttanti”. Ma ieri ciascuno ha concesso qualcosa. Dalla Turchia è arrivata la promessa che mai e poi mai le aziende turche compreranno petrolio dall’Isis. Dalle monarchie sunnite del Golfo il sostegno – non scontato – al governo iracheno a guida sunnita.

Pure tra gli stati europei, del resto, rimangono ancora diversi dubbi su come agire contro l’Isis. La Francia ieri ha annunciato che ha lanciato i primi voli di perlustrazione sull’Iraq, d’accordo con Bagdad. La Gran Bretagna – reduce dallo shock della decapitazione di David Haines – ha promesso di svolgere «un ruolo di guida» nelle operazioni, ma non ha ancora chiarito se parteciperà ai bombardamenti aerei.

Federica Mogherini, dopo aver confermato che due carichi di armi italiane sono stati inviati a Erbil, ha aggiunto: «L’Italia ha buone relazioni con tutti i paesi della regione» e per questo può aiutare a «mettere sempre di più in sintonia i paesi che confinano con l’Iraq». Se davvero l’America vuole bombardare le posizioni dell’Isis in Siria, avrà bisogno di una solida base di diritto internazionale. O del via libera della Siria stessa, e dell’Iran. Il consensus building sarà un’arma preziosa quanto aerei e fucili.


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