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10/09/2014

Per combattere lo Stato islamico. Obama sceglie i sauditi, il Vaticano sceglie l'Onu
di Bernardo Cervellera
direttore di Asia News

Il presidente Usa lancia il programma di lotta contro le milizie del califfato. Nell'alleanza da lui costruita vi sono gli Stati che hanno sostenuto l'Isis dal punto di vista economico e ideologico. Sono esclusi la Siria, l'Iran e la Russia. Il papa, il card. Sandri, mons. Tomasi, osservatore vaticano all'Onu, chiedono che ci si muova con l'Onu. Sarebbe una garanzia di maggior efficacia.

Non sembra vi sia molta intesa fra la Chiesa cattolica e Barack Obama su da farsi in Iraq. Mentre il presidente Usa sta per lanciare il suo programma di lotta allo Stato islamico (SI), con un'alleanza di 40 Stati, capeggiata da Washington, alcune personalità vaticane - dopo papa Francesco e mons. Tomasi - sottolineano l'importanza di far passare ogni iniziativa attraverso l'Onu.

A poche ore dall'annuncio di Obama (questa sera alle 19, ora di Washington), il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione vaticana per le Chiese orientali, incontrando i vescovi statunitensi ha chiesto loro, "come cittadini americani", di "sostenere il ruolo delle Nazioni Unite, presenti in particolare a New York, quale organo appropriato per le decisioni e gli interventi concreti in materie che riguardano le preoccupazioni generali e internazionali".

Il card. Sandri era a Washington per ringraziare la Chiesa degli Usa per il sostegno umanitario e sociale che essa dà alle comunità cristiane della Terra Santa e soprattutto dell'Iraq e della Siria.

Agli inizi di settembre, anche mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra, ha sottolineato l'urgenza di un impegno internazionale di "protezione" verso le minoranze offese dell'Iraq assunto "in buona fede", nel quadro del diritto internazionale e del diritto umanitario.

Vincendo la resistenza di una discreta parte del suo elettorato, che lo ha votato per far finire gli interventi militari in Iraq e Afghanistan, Obama farà oggi un specie di discorso alla nazione. Non si conoscono i dettagli, ma si pensa che pur escludendo "truppe di terra", egli approverà maggiori raid aerei nell'Iraq e forse perfino in Siria, per bombardare i luoghi di rifugio dell'ex Isis. E' anche probabile che diversi Paesi europei e Nato diano anche loro man forte nei raid aerei oltre che nell'offrire consiglio e addestramento militare.

In un'intervista data alcuni giorni fa, Obama ha preannunciato che "ridurremo via via le loro capacità; restringeremo il territorio che essi [lo SI] controllano; e infine li vinceremo".

Il piano prevede anche un controllo delle frontiere internazionali per fermare l'arruolamento di giovani occidentali nelle file dei miliziani jihadisti; la condivisione delle informazioni fra gli Stati; un aiuto economico e militare alle milizie islamiche che combattono Assad e che nell'ultimo anno sono stati sempre più emarginati e vinti dall'Isis.

All'alleanza contro lo SI partecipano i Paesi Nato (compresa la Turchia), e un buon gruppo di Paesi arabi: sauditi, Bahrain, Emirati, Kuwait. Il Qatar rimane ambiguo. Il motivo: esso è fra i maggiori finanziatori dello SI, pur essendo un alleato degli Usa e permettendo ad essi l'uso della base aerea di Udeid. Il punto è che tale ambiguità si estende a tutti i Paesi arabi che nella lotta contro Bashar Assad hanno finanziato le milizie islamiche, foraggiato il jihad, aiutato i miliziani ad addestrarsi nelle loro frontiere (Turchia). Per non parlare delle armi vendute da Usa, Gran Bretagna, Francia, Germania ai sauditi, al Qatar e agli emirati, passati poi nelle mani dell'opposizione islamica in Siria e quindi nelle mani dello SI.

Da questo punto di vista, il piano di Obama rischia di essere inefficace: anzitutto perché escludendo truppe di terra, è molto difficile vincere una guerra contro i miliziani solo con dei raid aerei. In secondo luogo, è difficile combattere contro un esercito islamico avendo come alleati proprio i suoi finanziatori economici ed ideologici. Infine, non si comprende perché in questa lotta contro la crudele egemonia dello SI si devono escludere Stati che hanno molti motivi per contrastare la sua diffusione: la Siria, l'Iran, la Russia e forse la Cina.

Certo, Assad è un dittatore, ma la sua statura morale non è né migliore né peggiore dei re sauditi, o del Kuwait, o dell'emiro del Bahrain. Lo stesso si può dire dell'Iran il cui atteggiamento verso i cristiani è 1000 volte più tollerante di quello dell'Arabia saudita.

Tali contraddizioni ed esclusioni fanno temere che questa alleanza dietro agli Usa servirà solo a confermare gli interessi particolari dei partner arabi: emarginazione dell'Iran, sovvertimento di Assad, sbriciolamento dell'Iraq e del Medio oriente. Il tutto avendo come sicario gli Stati Uniti d'America e mettendo la liberazione di Mosul e Qaraqosh all'ultimo posto delle loro priorità.

Far passare attraverso l'Onu un intervento - doveroso - contro l'ex Isis potrebbe invece aprire una collaborazione ancora maggiore nella comunità internazionale: perfino l'Egitto ha fatto sapere ad Obama che il loro impegno militare è assicurato solo con l'Onu.

I consigli del papa, del card. Sandri, di mons. Tomasi non sono delle osservazioni o esortazioni spirituali, ma buona politica internazionale per una guerra che non produca più disastri, ma fermi davvero l'aggressore e metta le basi per la pace in Medio Oriente.

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