A.N.P.I.
Milano 10 Agosto 2014

Intervento di Roberto Cenati nella ricorrenza del Settantesimo Anniversario 

dell'eccidio di piazzale Loreto

In una testimonianza raccolta nel settembre del 1997, su quella terribile mattina del 

10 agosto 1944, così la partigiana Giannina Cècere Fabello che ci ha lasciato nel 

2010, racconta: “Lavoravo in via Sammartini ed abitando in via Plinio mi recavo 

a piedi sul posto di lavoro passando da piazzale Loreto per viale Brianza. Vidi ad 

un certo momento dei camion fermarsi di fronte alla staccionata situata a lato di 

un'autorimessa in piazzale Loreto. Dei fascisti armati e in divisa scesero per primi dal 

camion, obbligando con i fucili spianati, parecchi uomini, giovani e non, a scendere 

anche loro e a portarsi di fronte alla staccionata tutti in gruppo.

Questa operazione durò pochi minuti, poi una scarica di fucili si abbattè su di loro 

uccidendoli tutti. Cosa feci allora davanti a quei corpi senza vita non lo so – rabbia, 

disperazione, dolore e tanto odio per gli assassini, anche perchè riconobbi tra quei 

poveri corpi un amico a noi caro, Tullio Galimberti. Come si può scordare tanta 

infamia, tanta crudeltà verso i nostri simili ?”

Milano non ha dimenticato quell'orribile eccidio. Piazzale Loreto è rimasto nel cuore, 

di tutti gli antifascisti, dei milanesi che mai dimenticheranno tanta barbara crudeltà.

Il ruolo dei 15 nella Resistenza

Tra i Quindici è rappresentato l’intero arco delle forze che partecipò alla Resistenza: 

azionisti, socialisti, comunisti, cattolici e quasi tutte le categorie sociali. 

Libero Temolo della Pirelli, Umberto Fogagnolo e Giulio Casiraghi della Ercole 

Marelli, Angelo Poletti della Isotta Fraschini sono gli organizzatori degli scioperi 

del marzo 1943 e del 1944. Vittorio Gasparini, attivista cattolico prima nelle 

organizzazioni giovanili e poi nella Fuci, collabora con i servizi segreti del comando 

della V Armata americana, gestendo in piazza Fiume (ora piazza della Repubblica), 

un centro radio clandestino. Domenico Fiorani raccoglie direttamente da Enrico 

Falck i finanziamenti che porta ai raggruppamenti partigiani dislocati in montagna. 

Salvatore Principato contrasta il fascismo sin dalle origini, lavorando prima con 

Turati e Anna Kuliscioff, poi con i fratelli Rosselli.

La Resistenza italiana nel 1944 

I tragici fatti di piazzale Loreto si inquadrano in un anno, il 1944 segnato da 

importanti avvenimenti internazionali e nazionali. Angloamericani e sovietici 

avanzano su ogni fronte e in quell'inizio estate 1944 la macchina bellica nazifascista 

sembra rapidamente approssimarsi al crollo finale. Nel luglio del 1944 si inaugurano 

le repubbliche partigiane dove i CLN costituiscono Giunte popolari. Ma il 1944 è 

segnato soprattutto, in Italia, dall'unico grande sciopero generale svoltosi nell'Europa 

occupata dai nazifascisti. Dall'1 all'8 marzo 1944 a Milano e Provincia i lavoratori 

delle grandi fabbriche, gli impiegati, i tranvieri, i tipografi del Corriere della Sera 

sfidarono il regime nazifascista. A fianco dei lavoratori che pagarono a caro prezzo, 

con la deportazione nel lager di Mauthausen e nei suoi sottocampi, questa loro 

coraggiosa protesta, massiccia è stata la partecipazione delle donne che, pur 

prive del diritto di voto, hanno svolto un ruolo fondamentale nel corso della 

Resistenza. Ad esse va la nostra profonda riconoscenza. 

Stragi nazifasciste e repressione

Il 1944 fu un anno di speranze, ma anche di feroce repressione da parte dei 

nazifascisti. I tedeschi riusciranno a resistere sulla linea gotica e da giugno a 

settembre del 1944 su tutte le regioni occupate si rendono protagonisti, con la 

collaborazione dei repubblichini, di un'agghiacciante ondata di fucilazioni, incendi e 

stragi come a Marzabotto e a Sant'Anna di Stazzema.

L’eccidio di piazzale Loreto arriva a conclusione di un mese nel quale le esecuzioni 

per mano dei repubblichini si sono succedute l’una dopo l’altra, a Milano e nei 

Comuni della sua Provincia, come a Robecco, dove oltre ad otto fucilazioni i 

nazifascisti deportano 58 abitanti nel lager di Kala, nove dei quali non faranno 

ritorno dalla Germania. Con queste fucilazioni si pensava che la strategia del 

terrore nazifascista potesse isolare i combattenti della Resistenza dalla popolazione. 

L’eccidio di piazzale Loreto ottenne invece l’effetto opposto.

Ruolo della Repubblica di Salò

Una scalata del terrore dunque, alla quale non furono estranei i militi della 

Repubblica di Salò, a dimostrazione del fatto che i repubblichini collaborarono 

attivamente alla denuncia, alla cattura, alla fucilazione di partigiani, ebrei, oppositori 

politici. E questo dato è sempre bene tenerlo presente se pensiamo alla ormai 

dilagante deriva revisionistica da anni in corso e all'ultimo libro di Giampaolo 

Pansa che ha paragonato le azioni di Giovanni Pesce contro i nazifascisti a quella 

terroristica delle Brigate Rosse che causarono la morte del Vicedirettore de “La 

Stampa” Carlo Casalegno. Tutto ciò è vergognoso e inaccettabile. 

Le considerazioni di Antonio Greppi 

Nel discorso tenuto in piazzale Loreto il 10 Agosto 1951, Antonio Greppi, primo 

sindaco della Liberazione, osservava: “Sono tornato qui, tra una così grande folla 

questa sera come gli anni scorsi. Con lo stesso spirito e con la stessa commozione. 

Ma mi accade talvolta di sostare davanti a questo cippo anche da solo e di meditare 

in silenzio. Così penso che facciano anche molti di voi. E questo accade, sopratutto, 

quando ci si sente più amareggiati o delusi. Qui, con i Martiri di piazzale Loreto, si 

pensano le cose più serie e più alte.”

Anche questa sera siamo qui, ma ci sentiamo più soli dell'anno precedente se 

pensiamo ai tanti che ci hanno lasciato, ad Annunziata Cesani, la nostra Ceda di cui 

ricorre l'anniversario della scomparsa, al partigiano Franco Colzani per tanto tempo 

Presidente della Sezione ANPI Gallaratese, a Giovanna Massariello, Vice-Presidente 

della Fondazione Memoria della Deportazione e Consigliere nazionale dell'Aned.

Essere qui, questa sera, davanti alla stele che ricorda i 15 Martiri deve indurci a 

compiere un esame di coscienza sul momento che stiamo vivendo e su come abbiamo 

raccolto l'eredità che i Combattenti per la Libertà ci hanno lasciato. Di fronte a questo 

interrogativo mai ci siamo trovati con animo così turbato come oggi.

La pace in pericolo

Viviamo in una realtà planetaria schiacciata sotto il peso di una complessità dai

drammatici effetti. Un groviglio di questioni gravi e di portata enorme: dalle 

disuguaglianze alle guerre, allo sfruttamento rapace e suicida delle risorse naturali e

dell’ambiente. Ma soprattutto stiamo attraversando un periodo in cui la pace, bene 

prezioso donatoci dalla Resistenza italiana ed europea che furono guerra alla guerra

è messa in serio pericolo. Dall'Iraq alla Siria, alla Libia, al Libano all'Egitto, alla 

Palestina: il Medio Oriente è una regione destabilizzata, attraversata da conflitti 

sempre più sanguinosi. Ne è un tragico esempio quanto è avvenuto in Palestina, dove 

rimane sempe più utopico il progetto di due popoli in due stati dopo quanto accaduto 

in queste ultime settimane. Il riaccendersi del conflitto e i massicci bombardamenti 

dell'esercito israeliano che hanno colpito anche ospedali e sedi dell'ONU, hanno 

causato numerosissime vittime tra la popolazione della striscia di Gaza: donne, 

anziani, ma soprattutto bambini. I bambini rappresentano il 30% delle vittime civili e 

quasi tremila sono tra loro i feriti. Lo scrittore israeliano David Grossman osservava 

qualche settimana fa: “Nell'epoca in cui viviamo non ci sono più vittorie 

inequivocabili. Ci sono soltanto “fotogrammi” di vittoria che lasciano il tempo che 

trovano e il cui negativo ci mostra che nelle guerre ci sono unicamente perdenti e non 

esiste una soluzione militare al reale malessere del popolo che abbiamo di fronte. E 

fintanto che il senso di soffocamento della gente di Gaza non si dissiperà, nemmeno 

noi, in Israele, potremo respirare con agio, con entrambi i polmoni.” Ma c'è un altro 

elemento sconvolgente in questa situazione: la latitanza dell'Europa di fronte 

all'eterno massacro che si consuma in Medio Oriente. Nè in questo silenzio 

assordante si è vista traccia di una forte iniziativa italiana che ha assunto la 

Presidenza dell'Unione euroepea. Il vecchio continente è attraversato da tendenze 

autoritarie e rigurgiti fascisti e neofascisti. Antiche ossessioni che pensavamo di 

esserci lasciati alle spalle sulla “purezza del sangue” e della “razza” sembrano tornare 

a galla. Fenomeni e tendenze che sono emerse con forza anche nelle ultime elezioni 

per il rinnovo del Parlamento europeo, nel quale preoccupa la presenza di un 

consistente gruppo di parlamentari antieuropeisti. L'Europa è poi travagliata da una 

delle crisi più gravi del dopoguerra, con la situazione determinatasi in Ucraina, 

dilaniata da un sanguinoso conflitto, con il pericolo di una gravissima crisi nei 

rapporti tra Europa, Russia, Stati Uniti e di uno sfaldamento trasversale di quel 

paese, ' in cui stanno pericolosamente riemergendo forze dichiaratamente antisemite, 

ultranazionalise e xenofobe come Svoboda. 

La crisi recessiva in Italia e in Europa

Ancora una volta, per il nostro Paese, i dati ISTAT sono disastrosi e il quadro, già 

tremendo, tende a peggiorare. L'Italia torna in recessione.Si acuisce il problema della 

disoccupazione, cresce la precarietà, soprattutto aumenta la povertà. Manca una 

adeguata politoca economica in grado di affrontare l'emergenza e la disoccupazione 

che, qualcuno nel governo, vorrebbe affrontare abolendo l'articolo 18 dello Statuto 

dei Lavoratori. La sensazione che si avverte è quella di una generale rassegnazione 

al peggio, di una abitudine alla disuguaglianza sociale,alla mancanza di equità, alla 

negazione di tutti i princìpi enunciati dalla Costituzione. 

Fra mille problemi, quelli delle riforme Costituzionali sembrano, a tanti, ben poca 

cosa, di cui è giusto che si occupi chi ha il dovere di farlo. Ma non si comprende che 

proprio questo è il guaio, perché i cittadini non possono consentire di essere privati di 

una parte della propria sovranità e permettere radicali cambiamenti della Costituzione 

che, secondo il pensiero dominante dovrebbe essere adeguata alle necessità del 

mercato e della competitività.

Siamo un Paese anomalo, dove il Presidente di un Partito, Silvio Berlusconi, 

condannato con sentenza definitiva, decaduto da Senatore, agisce tranquillamente 

sullo scenario politico, sottoscrive patti ed è ancora una volta determinante 

nell'approvazione in Senato, l'8 agosto 2014, delle modifiche Costituzionali. La 

condanna definitiva che in qualsiasi Paese europeo avrebbe significato il suo 

allontanamento dalla scena politica, viene quasi considerata secondaria, adducendo la 

motivazione che, comunque, Berlusconi rappresenta una grossa fetta dell'elettorato. 

La drammatica crisi recessiva si intreccia con una delicatissima crisi istituzionale, 

con la messa in discussione dei principi della legalità repubblicana, con la caduta 

senza precedenti dell’etica pubblica. 

La politica come servizio al bene comune

La conseguenza inevitabile della deriva etica è costituita da una perdita di fiducia 

forse irreversibile da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della politica. 

La questione morale fa tutt'uno con una concezione distorta della politica, 

intesa come strumento al servizio di interessi personali. Occorrono radicali 

cambiamenti di prassi, di costume, di modo di essere dei singoli, ma soprattutto 

occorre un forte sussulto delle coscienze, una vera e propria rivolta morale, alla 

quale ci chiamano i Combattenti per la Libertà. I partigiani, gli oppositori politici, i 

lavoratori, i militari italiani deportati nei lager nazisti, lottarono per liberare l'Italia 

dal nazifascismo in modo disinteressato, senza nulla chiedere in cambio e posero a 

fondamento della loro azione la questione della rigenerazione e della rinascita etica 

della società. Nostro compito è di raccogliere quella preziosa eredità, rilanciando 

nella realtà in cui viviamo la cultura della legalità, il richiamo alla Costituzione 

repubblicana, alla politica intesa come servizio alla collettività, per tentare di 

contrastare il preoccuante fenomeno dell'astensionismo in occasione delle tornate 

elettorali, che può rappresentare un pericolo per la tenuta delle stesse istituzioni 

democratiche nate dalla Resistenza.

La battaglia contro i rigurgiti neofascisti

Ricordare per noi è un dovere, soprattutto in questi tempi, in cui la tentazione 

di cancellare la memoria è ricorrente, spesso mascherata dalla strumentale 

necessità di una pacificazione universale mediante l’azzeramento del passato, il suo 

stravolgimento e la sua cancellazione, comprese le iniquità e le infamie del fascismo 

e della Repubblica di Salò, la cui storia e i cui simboli vengono ripresi e rivalutati 

da rinascenti movimenti neofascisti e neonazisti. Manifestiamo la nostra più viva 

indignazione per la comparsa a Roma, Sabato 9 agosto 2014, di manifesti antisemiti 

riportanti un elenco di 50 negozianti ebrei da boicottare. E' questo un ulteriore 

preoccupante e ignobile segnale del riemergere di movimenti che si pongono in 

aperto contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana.

Il ruolo delle istituzioni

Certo, contro i movimenti neofascisti va sviluppata una ampia e intensa azione a 

livello culturale e storico per denunciare, a un'opinione pubblica troppo passiva e 

indifferente, il vero volto del fascismo, sconfitto militarmente il 25 apile 1945, ma 

non idealmente e culturalmente. Ma come si può pensare, d'altra parte, che in 

Italia ci sia una decisa azione contro le ideologie e i movimenti neonazisti e 

neofascisti se, nell'intervento di insediamento degli ultimi tre Presidenti del 

Consiglio, è mancato un cenno alla Resistenza e non è mai stata pronunciata la 

parola antifascismo per noi indissolubilmente legata al concetto di democrazia ? 

Dobbiamo utilizzare, per contrastare i fenomeni neofascisti tutti gli strumenti a nostra 

disposizione, come la pressione sulle istituzioni e sulle autorità competenti. A Milano 

abbiamo presentato il 30 maggio scorso una denuncia alla Procura della 

Repubblica per apologia di fascismo e istigazione a delinquere nei confronti degli 

organizzatori della manifestazione del 29 aprile 2014 che, strumentalizzando il 

ricordo della morte di Ramelli e Pedenovi, si trasforma, ogni anno in aperta apologia 

di fascismo. La nostra iniziativa, preceduta da un esposto al Questore e alla 

successiva diffida da parte delle autorità agli organizzatori della manifestazione, non 

è stata ininfluente. Il pubblico ministero del reparto antiterrorismo ha infatti chiesto il 

rinvio a giudizio di 16 appartenenti all'ultradestra per violazione della legge Scelba. 

E' questo un risultato significativo. Ma ciò non è ancora sufficiente.Occorre che le 

istituzioni cittadine prendano una posizione netta e decisa. Chiediamo al Sindaco di 

Milano una sua autorevole pubblica presa di posizione in cui si ribadisca che da oggi 

ad almeno tutta la durata del 70° anniversario della Liberazione, Milano, Città 

Medaglia d'Oro della Resistenza non venga invasa e oltraggiata da simboli e 

manifestazioni neonaziste e neofasciste che offendono la memoria dei Caduti per la 

Libertà. 

L'eredità della Resistenza

Il momento è delicatissimo. C'è però un faro che deve illuminare il nostro cammino, 

costituito dalla preziosa eredità lasciataci dalla Resistenza. La Resistenza non fu solo 

quel grande moto unitario di partiti e di popolo, di uomini e di donne che lottarono 

per liberazione del nostro Paese dal nazifascismo. Fu anche anelito per la costruzione 

di un nuovo stato e di una nuova società. Fu aspirazione ad un mondo di pace

finalmente risanato dalla piaga del nazionalismo esasperato, all'origine della Prima e 

della Seconda Guerra Mondiale. Dalla Resistenza discende oggi la scelta europeista, 

teorizzata da Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene, di un’Europa politicamente 

e socialmente unita non in nome dell'austerità, ma che deve guardare ai bisogni e 

alle sofferenze della gente, stella polare dell'Italia repubblicana insieme alla Carta 

Costituzionale. 

Costituzione repubblicana: faro della democrazia

E' oggi in corso una forte tendenza, in diversi Paesi, a restringere le libertà anziché 

a renderle effettive. In un momento critico della storia recente il cancelliere Willy 

Brandt così disse, il 28 ottobre 1969: “Quel che vogliamo è osare più democrazia” e 

promise metodi di governo “più aperti ai bisogni di critica e informazione” espressi 

dalla società, “più discussioni in Parlamento” e una permanente “concertazione con 

i gruppi rappresentativi del popolo, in modo che ogni cittadino abbia la possibilità di 

contribuire attivamente alla riforma dello Stato e della società”. Questo è il momento 

di rafforzare la democrazia non di indebolirla; questo è il momento di assicurare più 

partecipazione e più diritti ai cittadini, perché facciano sentire non solo la loro voce, 

ma la forte esigenza di rappresentanza e di sovranità. Nel nostro Paese il rischio è che 

possano saltare gli equilibri costituzionali e ridursi gli spazi di democrazia diretta, 

con un sistema fortemente maggioritario, con un ampio premio di maggioranza 

e un'elevata soglia di sbarramento, previsti dalla legge elettorale approvata alla 

Camera e con una sola Camera politica. La nostra Costituzione va oggi difesa e 

conservata nella sua impalcatura fondamentale rappresentata dall'equilibrio dei tre 

poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) che sono alla base della democrazia 

repubblicana, senza nessun sbilanciamento a favore dell'esecutivo. Nel disegno di 

legge costituzionale approvato in prima lettura dal Senato, si prevede che “il governo 

può chiedere alla Camera dei Deputati che un disegno di legge sia iscritto con priorità 

all'ordine del giorno e sottoposto alla votazione finale entro 60 giorni”. Tutto ciò, se 

realizzato, rappresenterebbe un primo passo avanti nella direzione del rafforzamento 

del potere esecutivo e della riduzione al minimo del legislativo. 

No al Presidenzialismo

La nostra Repubblica è stata concepita come parlamentare dall'Assemblea Costituente 

e non deve essere trasformata in repubblica presidenziale.Siamo fermamente 

contrari ad ogni ipotesi di repubblica presidenziale o semipresidenziale che, 

secondo autorevoli esponenti del governo, potrebbe essere messa all'ordine 

del giorno, dopo le modfiche costituzionali di ben 40 articoli della nostra Carta, 

approvati dal Senato nella seduta dell'8 agosto. Abbiamo anche manifestato la nostra 

contrarietà ad una troppo rapida e non meditata modifica di parti fondamentali della 

Costituzione, come la riforma del Senato, che, a nostro parere, dovrebbe essere 

eletto direttamente dai cittadini e trasformato in una vera Camera Alta. Rimane poi 

il problema di fondo rappresentato dalla burocrazia ministeriale.Il Parlamento ha 

approvato 750 leggi durante i Governi Monti, Letta e Renzi che però non sono entrate 

in vigore perchè mancano i regolamenti attuativi che dovrebbero essere studiati dalla 

burocrazia ministeriale. Si vuole riformare il Senato per snellire il potere legislativo, 

si parla di balletti fra le due Camere ma il monocameralismo non farà diminuire i 

tempi nemmeno di un giorno se la burocrazia ministeriale, in gran parte in mano al 

Consiglio di Stato, resta quella che è. Il Paese va cambiato, l'economia deve ripartire, 

magari tagliando spese inutili come quelle per gli F35, e affrontare soprattutto il 

drammatico problema della disoccupazione non solo giovanile. Per far questo non 

occorre modernizzare la Costituzione. Il Paese lo si può cambiare attuando 

pienamente la Costituzione nei suoi principi e valori fondamentali.

Il monito dei Quindici 

I Quindici Martiri di piazzale Loreto sono stati l’anima di una Milano che 

opponendosi al fascismo lottava per la libertà, la democrazia e un mondo migliore. 

Antonio Greppi concludeva il suo discorso del 10 agosto 1951 con queste parole: 

“Vorrei che il 10 agosto segnasse la data della definitiva rivincita dei valori ai quali 

i nostri migliori fratelli si sono immolati. E' necessario in una parola che l'Italia e 

Milano siano restituite alle forze del 25 aprile.”

A Milano i simboli visibili che ricordano le battaglie dei milanesi durante la 

Resistenza sono rappresentati dalle oltre 500 lapidi dedicate ai combattenti per 

la Libertà, al monumento di piazzale Loreto che versa da tempo in condizioni 

critiche e per il quale chiediamo al Comune un urgente intervento di restauro per 

il 70° Anniversario della Liberazione. I nomi dei 15 Martiri sono anche scolpiti 

sotto la Loggia dei Mercanti, insieme a quelli dei partigiani, degli oppositori 

politici, degli ebrei, dei lavoratori milanesi deportati nei lager nazisti. Per la 

riqualificazione della Loggia tempo ci stiamo battendo, insieme all' ANED, alla 

FIAP, ai Partigiani Cristiani, ai Sindacati, alla Comunità ebraica milanese, al mondo 

dell'Associazionismo e non ci stancheremo mai di incalzare l'Amministrazione 

Comunale di Milano, perchè questo simbolo della Resistenza sia definitivamente 

sottratto al degrado e diventi il luogo della memoria e della storia della nostra 

città. La memoria della Resistenza passa attraverso questi simboli visibili, ma 

soprattutto attraverso inziative che sappiano richiamare i valori della Resistenza. 

Non possiamo limitarci a ricordare, come un fatto distaccato e lontano, l’inizio della 

lotta di liberazione poiché la nostra Repubblica è nata dalla Resistenza. Questo 

spirito è più che mai fondamentale per le impegnative battaglie e scadenze che ci

attendono nei prossimi mesi. La Resistenza - come disse Aldo Aniasi in occasione 

del trentesimo anniversario della Liberazione - non è un pezzo da museo, non 

deve essere mummificata, appartiene alla nostra vita, deve essere un elemento 

dell'impegno civile di ogni giorno”.

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