Arrèxini
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4 luglio 2014

L’isola del segreto militare
di Michele Atzori
Cìrculu Indipendentista Hugo Chavez, Casteddu Biddanoa

Acque cristalline, spiagge di madreperla e un entroterra che ragala straordinari gioielli solo a chi mostra di saperli apprezzare. Andate in Sardegna, magari evitando il mese di agosto, è meraviglioso. Eppure dovete sapere che chi vive qui non subisce solo le offese di un turismo quasi sempre irresponsabile ma quelle, ben più avvelenate, di una vera e propria occupazione militare. È impossibile sapere cosa, come e per quanto tempo è stato usato, sperimentato e testato per decenni nei poligoni presenti sull’isola. Oltre al segreto militare che vieta di fatto la conoscenza delle misure da prendere per proteggere la popolazione ed effettuare bonifiche, si aggiunge quello delle industrie belliche che a Quirra, per 50.000 euro l’ora (che incassa il ministero italiano), possono sperimentare ogni arma letale libere da qualsiasi vincolo nei confronti di territorio e popolazione

L’attuale occupazione militare della Sardegna scaturisce (in parte) dal ruolo fondamentale attribuito all’isola nello scacchiere internazionale nel dopoguerra.

La Sardegna, pur non essendo in guerra con nessun popolo al mondo, è la terra più militarizzata d’Europa: con 37374 ettari di territorio sotto controllo militare (23766 di demanio militare e 13608 di servitù militare) ospita, suo malgrado, i due terzi circa delle servitù militari presenti nello stato italiano. A questi vanno aggiunti gli spazi aerei e marittimi sottoposti a schiavitù militare che sono di fatto incommensurabili: solo l’immenso tratto di mare annesso al poligono Salto di Quirra con i suoi 2.840.000 ettari supera la superficie dell’intera Sardegna (kmq 23.821). Sull’Isola ci sono poligoni missilistici (Perdasdefogu), per esercitazioni a fuoco (Capo Teulada), poligoni per esercitazioni aeree (Capo Frasca), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi di carburanti (nel cuore di Cagliari) alimentati da una condotta che attraversa la città, oltre a numerose caserme e sedi di comandi militari (di Esercito, Aeronautica e Marina). Si tratta di diverse decine di strutture e infrastrutture al servizio delle forze armate italiane o della Nato.

La Sardegna è usata da 60 anni da tutti i Paesi Nato come campo di guerra permanente dove la gente, gli animali e perfino i militari in breve addestramento contraggono malattie, leucemie, generano bambini malformati e uccidono gli abitanti delle zone interessate.

In Sardegna dal 2001 si documenta e si denuncia la “Sindrome di Quirra”, l’espressione include le popolazioni decimate dalle stesse patologie, esposte ai veleni dei poligoni di Capo Teulada, Capo Frasca e della ex base nucleare US Navy di La Maddalena. In barba alla costituzione ed alle leggi internazionali.

In barba anche alla stessa Nato: i regolamenti Nato impongono la bonifica subito dopo ogni esercitazione, in Sardegna non sono mai stati applicati, la bonifica non è mai stata fatta.

Tre generali comandanti del Pisq sono rinviati a giudizio con l’accusa di omicidio plurimo volontario, disastro ambientale e numerosi altri reati. Tre responsabili di due indagini “scientifiche” gestite da Nato e ministero della Difesa sono accusati di falso ideologico e collusione d’interessi.

Il nocciolo del problema: l’incompatibilità in uno stesso luogo tra attività della popolazione e attività di guerra.

Allo stato attuale è impossibile sapere cosa, come e per quanto tempo è stato usato, sperimentato e testato per decenni nei poligoni presenti in Sardegna. Oltre al segreto militare che impedisce di fatto qualsiasi conoscenza delle misure da adottarsi, degli strumenti per proteggere la popolazione, delle bonifiche da effettuare, si aggiunge il segreto militare delle industrie belliche che a Quirra, per 50.000 euro all’ora (che incassa il Ministero italiano) di fatto possono sperimentare qualsiasi arma letale in una zona della Sardegna che è il caso di definire una vera e propria zona franca, libera (per eserciti e industrie) da qualsiasi vincolo nei confronti di territorio e popolazione.

Allo stesso modo è sotto gli occhi di tutti la mancata decontaminazione dell’area, usata per 35 anni dalla US Navy come base nucleare, situata nel cuore del Parco Nazionale Arcipelago della Maddalena e dei parchi internazionali Bocche di Bonifacio e Santuario dei Cetacei.

A questo aggiungiamo l’avvenuto smaltimento della spazzatura bellica Italia-Nato, sia in discariche fuorilegge, sia con i brillamenti fuorilegge, e conseguente contaminazione di aria, suolo, acque; le emissioni radar; il torio radioattivo sparso dai missili, accumulato e conservato nelle povere ossa degli uccisi.

Il Governo italiano ha l’obbligo impellente di sospendere subito le attività dei poligoni che devastano la Sardegna, non solo in base al principio di precauzione, ma anche in osservanza degli atti parlamentari d’indirizzo per l’Esecutivo, datati 23/2/2011, che gli hanno impartito la direttiva di chiudere i poligoni “ove emergessero oggettive situazioni di rischio” o “qualora risultasse un collegamento con l’alta incidenza dei tumori registrata”.

Le due mozioni complementari del centrodestra e del centrosinistra, approvate dal Senato all’unanimità, sono ad un punto fermo.

Aggiungiamo a ciò il fatto, inaccettabile, che questi poligoni vengono utilizzati per programmare guerre in giro per il mondo. Un esempio su tutti: fin dal 2005 è operativo uno scellerato accordo di “cooperazione militare”, economica e scientifica tra il nostro Paese ed Israele. Un accordo che non è stato scalfito neppure dall’ “Operazione piombo fuso” del dicembre 2008 – gennaio 2009, che ha visto Israele colpire con il suo “potere aereo” la popolazione palestinese civile inerme (1400 uccisi, di cui circa 400 bambini). Un’ azione militare brutale, senza giustificazioni, nella quale sono state usate anche armi sconosciute o già vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito) e nella quale Israele ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità (come documentato dall’ ONU nel “Rapporto Goldstone”). Israele ogni anno si esercita nei poligoni sardi. Le stesse armi vengono testate nei poligoni sardi.

La beffa degli “indennizzi”:

Quando si parla di indennizzi ai comuni interessati non si conosce spesso l’entità delle cifre. Si tratta di complessivi 15,1 milioni di indennizzo riferiti a 5 anni, attengono 24.000 ettari di demanio (il 91% è adibito a poligono) e circa 11.000 di servitù. A questi andrebbero sommate le sterminate zone classificate “Interdette o Pericolose per la navigazione aerea e marittima”, solo uno dei 4 tratti di mare annesso al poligono Salto di Quirra con i suoi 2.840.000 hm supera la superficie della Sardegna. Per semplificare arrotondiamo, con forte ribasso, a 3.000.000 hm di mare e terra.

Risulta che il prezzo del servaggio militare si aggira su 0,083 centesimi di euro al mese ad ettaro. Se invece si considera solo la terra si arriva alla “vertiginosa” somma di € 7,14 mese-ettaro.

La beffa delle “Bonifiche”

Nella finanziaria 2007, grazie soprattutto all’impegno dell’allora senatore Bulgarelli, si strappò lo stanziamento di 25 milioni per tre anni, una goccia, ma il governo successivo (2008, Berlusconi) dirottò anche la goccia su altre “priorità”.

Sono cifre comunque molto lontane dalla realtà. A proposito si può prendere in esame uno studio del CNR di Ancona del 2005 titolato “Studio per la riduzione dei vincoli permanenti nell’area marina di Teulada”, commissionato dal ministero della Difesa, con diverse indicazioni su tempi e modalità d’intervento per la rimozione dei residuati bellici, dell’esploso e inesploso. Lo studio prevede un tempo di circa trenta anni per portare a termine l’operazione e la stima non si discosta da quella standard dei centri studi delle forze armate degli Stati Uniti per casi simili. Un caso assimilabile alla Sardegna è infatti quello di Vieques, Portorico. Il poligono caraibico, dismesso nel 2003, per tipo di attività e dimensioni (kmq 55) può considerarsi il gemello minore di quello di Capo Teulada (kmq 72), per estensione è poco più di un terzo del Poligono di Quirra. A Vieques è stato ufficialmente ammesso l’utilizzo di “alcune”munizioni all’uranio. La bonifica ha avuto inizio nel 2002, stando al programma terminerà nel 2022. Finora però è stato ripulito solo un terzo. Il budget standard degli Usa per la bonifica di siti militari è stato presto sforato rendendo necessario istituire un “Superfund”, finora sono stati investiti 486 milioni di dollari.

È evidente quindi che prima di stanziare dei soldi si deve sapere cosa è da bonificare, da cosa e come bonificare (e se; non è da escludere che esistano aree che vadano interdette permanentemente).

La beffa del “Monitoraggi”

Forze Armate, ministero della Difesa e Nato si sono arrogati e mantengono saldo il doppio ruolo, scandalosamente inossidabile, di controllore e controllato, giudice e parte in causa.

Loro hanno predisposto e gestiscono il Piano di Monitoraggio, di fatto un piano d’acquisto di strumentazioni e connessi servizi di esame ambientale, un esame che non può dare risposte alla “sindrome Quirra-Escalaplano” come ammettono le stesse forze armate e le cinque ditte che si sono aggiudicate l’appalto Nato . Leggiamo testualmente.

L’obiettivo è stato esplicitato con incredibile candore o tracotanza: “Tranquillizzare (alias sedare, narcotizzare) la popolazione locale, nonché il personale del Pisq (..) acquisire la Certificazione ambientale”

Per salvare le apparenze si è assegnato il ruolo di controllore di facciata a una Commissione Tecnica Mista di Esperti, nominata a cose fatte, senza possibilità d’intervento sostanziale su metodologie e tecniche disposte dai contratti appaltati. La componente civile (cinque persone prive dell’indispensabile strumentazione tecnica e di supporti finanziari) ha rifiutato il ruolo di notaio compiacente e ha respinto al mittente l’incarico di validazione di servizi e forniture delle cinque ditte. La patata bollente è passata alla riluttante ARPAS, l’agglomerato di pezzi e funzionari delle ASL responsabili di 50 anni di mancati controlli, sponsor delle più cervellotiche teorie “scientifiche” salva-basimilitari: dall’asineria dell’arsenico killer di Quirra (Asl 8) alle alghe insaziabili mangiatrici del torio radioattivo, rigorosamente “naturale”, che abbonda nell’arcipelago maddalenino, base atomica Usa fino al 2008 (Asl 1).

La beffa di Cagliari porto nucleare

Nel febbraio del 2000 “il Manifesto” dà notizia che 11 città italiane, all’insaputa del Parlamento e della cittadinanza, sono classificate “porto a rischio nucleare”, condannate ad accogliere unità militari straniere a propulsione e armamento nucleare. Cagliari è tra queste (la nuclearizzazione di La Maddalena è nota da sempre).Conferma il Governo incalzato dai parlamentari di tutti gli schieramenti politici e dalle città/regioni coinvolte (i parlamentari sardi, come sempre, tacciono, tace la Regione Sardegna e tace il Comune). Conferma il Prefetto di Cagliari incalzato dalle richieste di associazioni di base di rendere noto il Piano di Emergenza nucleare come impone la normativa europea recepita con il dl 230/1990. Da allora nessuna novità in merito.

Il ruolo della Regione Sardegna

Gli interventi che la Regione può fare, limitata dalla dipendenza dallo stato italiano in materia di poligoni militari, possono esser sintetizzati così:

La Regione apra una vertenza forte con lo Stato Italiano sulla questione basi e faccia valere in tutte le sedi e con tutti gli strumenti di sua competenza:

1. una richiesta ferma allo stato italiano di cessazione delle “iniziative ostili” del ministero della Difesa e delle FF.AA.; chiusura di Quirra, teulada, Capo Frasca, di tutte le esercitazioni militari in base anche alle leggi citate sopra.

2. istituzione di una commissione scientifica internazionale indipendente nominata dalla Regione Sardegna che abbia libero accesso ai siti e faccia uno studio su: attività pericolose presenti inquinamento del suolo aria ed acqua e conseguenti misure da mettere in atto per bonificare o chiudere i territori

3. istituzione di una commissione di studio internazionale che, recepiti i dati e le sintesi della commissione scientifica, calcoli il danno economico subito per decenni per la presenza delle basi ed il costo delle bonifiche.

4. quindi apertura di una vertenza con lo stato italiano per l’inizio delle bonifiche a carico dei responsabili e per il pagamento del danno economico.

5. la Regione si costituisca (seriamente, non con i goffi tentativi fatti dagli avvocati della giunta Cappellacci) parte civile nel processo in corso a Lanusei. A giugno verrà stabilito se si andrà a rinvio a giudizio o meno, ed in quel caso è ancora possibile costituirsi parte civile.

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