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lunedì 15 dicembre 2014

Bill Gates e i numeri incredibili dell’urbanizzazione cinese
di Luca Marchesini

I numeri, in poco spazio, dicono molte cose. Anche Bill Gates, il fondatore della Microsoft, è affascinato dalla forza delle cifre, perché sono capaci di descrivere in modo sostanzialmente oggettivo alcune caratteristiche salienti della realtà contemporanea.

In giugno, sul suo blog, commentando il libro “Making the modern world: Materials and Dematerialization" dello storico Vaclav Smil, scriveva:
La macchina che guido è composta di circa 1300 chili di acciaio, 400 chili di plastica e 200 chili di leghe di metalli leggeri. Lo spostamento da casa al mio ufficio si estende su un percorso di sei chilometri di strade, il che significa che mi muovo su qualcosa come 15mila tonnellate di asfalto ogni giorno. Una volta arrivato in ufficio, di solito apro una lattina di Coca Light. Nel corso della giornata, ne bevo tre o quattro. Tutte queste lattine, nell'arco di un anno, fanno circa 17 o 18 chili di alluminio”.

Al di là di ogni considerazione sulla macchina di Bill Gates, non proprio leggerissima, il discorso è chiaro: per svolgere le nostre attività quotidiane, anche le più semplici, siamo partecipi di un sistema industriale e produttivo altamente complesso e inevitabilmente dispendioso a livello ambientale.

Alcuni giorni fa Bill Gates ha pubblicato sul suo profilo Twitter alcune cifre che non ha esitato a definire mind-blowing (strabilianti): “La Cina ha usato più cemento negli ultimi 3 anni che gli Stati Uniti nel corso di tutto il XX secolo”.

Pur tenendo in debita considerazione le differenze demografiche tra i due paesi, con il primo che si avvia a superare il miliardo e 400 milioni di abitanti ed il secondo che arriva “appena” a 316 milioni, i numeri rilanciati da Gates fanno impressione e suggeriscono diverse considerazioni rilevanti. Anzitutto, attengono all'enorme fenomeno di urbanizzazione che sta interessando il gigante asiatico da ormai qualche decennio. La Cina rurale sta scomparendo, cedendo velocemente il passo ad un paese composto di megalopoli e campagne semi-abbandonate. Pechino ha quasi 21 milioni di abitanti, ma il dato che stupisce maggiormente è un altro: sono oltre 100 le città che hanno superato la quota del milione. Una crescita inarrestabile del tessuto urbano che si alimenta con il nuovo fiume giallo del cemento, che attraversa ogni città allargando progressivamente il proprio letto.

C'è poi il fenomeno della speculazione edilizia. La crescita del Pil cinese, che ormai sopravanza quello degli Stati Uniti in termini assoluti, è alimentata dalla spinta della speculazione immobiliare. Spesso in assenza di una qualunque pianificazione urbanistica, molti profitti vengono reinvestiti nell'edilizia. In alcune province, come quella di Ordos, nel nord del Paese, sono sorte vere e proprie città fantasma, dove enormi palazzi vuoti si susseguono come tessere del domino. Sotto il cappello di un'amministrazione centralizzata, i profitti dell'industria e delle miniere vengono reinvestiti nella costruzione di interi quartieri che nessuno abiterà mai. Case di lusso e complessi residenziali, progettati per ospitare migliaia di persone, restano invenduti e la densità abitativa, in questi non-luoghi desolati, si mantiene sui livelli delle realtà rurali, con 18-20 abitanti per chilometro quadrato (Roma, per capirci, ne ha 2,228).

Alcuni analisti prevedono che la bolla immobiliare cinese sia destinata ad esplodere, nel breve o nel medio periodo, facendo precipitare l'economia globale in una nuova crisi dalle conseguenze imprevedibili. Sul fronte ambientale gli effetti dell'urbanizzazione cinese sono già evidenti, con elevati livelli di emissioni di gas serra e città avvelenate dall'inquinamento atmosferico.

Il problema, non solo per Bill Gates, è trovare il modo di conciliare lo sviluppo cinese ed asiatico con le esigenze della sostenibilità ambientale. Il summit ONU sul clima tenutosi a Lima nei giorni scorsi si è concluso con un accordo che molti già considerano insufficiente. Il testo approvato chiede ai governi impegni “quantificabili ed equi” sulla riduzione delle emissioni; una base di partenza per il prossimo summit di Parigi, in programma nel 2015, da cui dovrebbe scaturire un nuovo protocollo ambientale che andrà a sostituire quello di Kyoto, approvato 17 anni fa.

I paesi in via di sviluppo, che oggi contribuiscono in modo massiccio all'inquinamento e quelli più industrializzati, che portano addosso molte delle responsabilità dell'attuale emergenza ambientale, dovranno trovare una road map condivisa per scongiurare un innalzamento delle temperature globali superiore ai due gradi centigradi, individuati dall'ONU come il limite critico non superabile.

Per Bill Gates la soluzione passa anche dalla riduzione del consumo di cellulosa. La Cina da sola, nel 2011, ha consumato il 25% della carta utilizzata nel mondo, contribuendo fortemente ai processi di disboscamento. Il futuro, secondo l'uomo più ricco dexl pianeta, è il paperless office, cioè la digitalizzazione di tutti i documenti cartacei. Sarà un caso, ma la Microsoft, in prima linea nel progetto, potrebbe beneficiarne almeno quanto i nostri polmoni.

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