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giovedì 4 dicembre 2014

L'Italia va alla guerra?
Comunicato del coordinamento nazionale per la pace in Siria

Il governo italiano ha deciso di aderire alla coalizione contro l’Isis creata dagli Stati Uniti. Con questo atto, il nostro paese, dopo aver sanzionato pesantemente la Siria (con esiti devastanti sulla popolazione civile) ed aver rotto i rapporti diplomatici, accetta senza problemi di far parte di una coalizione nella quale sono presenti proprio quei paesi che hanno supportato Isis.

La decisione è stata presa quasi in sordina, con scarso rilievo da parte dei media ma meritava maggiore attenzione: si tratta infatti di un atto preso in spregio alla Costituzione italiana, che recita che l’Italia ripudia la guerra, e senza passare per il Parlamento, in spregio ai principi fondanti della democrazia.

Si inizia con alcuni Tornado, partono con un 'asset bellico' limitato, come 'ricognitori': vedremo come andrà a finire, dal momento che la guerra, metteva in guardia Giovanni Paolo II, è 'avventura senza ritorno'.

E' una decisione grave, dal momento che, oltre al vulnus inferto allo Stato di diritto, trascina l’Italia in un’avventura militare dai contorni ambigui, dal momento che il Califfato è nato ed è cresciuto fino a diventare l’attuale mostro che minaccia il mondo nell’ambito di un progetto di rovesciamento del governo siriano, che segue quello analogo avvenuto in Libia, altro Paese divenuto fucina dello jihadismo internazionale. Armi e soldi provenienti dai Paesi del Golfo e dagli Stati Uniti sono affluiti copiosi in questi anni nella regione tra Iraq e Siria, finanziando il reclutamento di quelle milizie mercenarie che stanno portando il terrore nella regione e minacciano il mondo occidentale.

Ancora oggi è impossibile che il Califfato possa reggersi con mezzi propri: se è vero che ha conquistato risorse energetiche irachene e siriane e le vende di contrabbando grazie alla connivenza di alcuni degli Stati che compongono l’attuale coalizione contro l’Is (vedi Turchia e la cosiddetta regione autonoma curda irachena), è pur vero che le guerre costano tanto (ne sanno qualcosa gli Stati Uniti che stanno dissanguando il loro bilancio), ben più di quanto l’Is incassa con il contrabbando del petrolio. L’accusa mossa ai Paesi del Golfo di continuare a sostenere il Califfato in funzione anti-sciita e anti-Iran, nonostante l’adesione alla coalizione internazionale voluta da Obama, rimbalza su tutti i media, si arricchisce di dettagli e informazioni di giorno in giorno, senza che le autorità di questi Paesi siano mai state chiamate a renderne ragione.

Né si capisce, o forse si capisce fin troppo bene, il ribadito sostegno degli Stati Uniti ai cosiddetti ribelli siriani in funzione anti-Assad: a questi continuano ad affluire armi e soldi Usa nonostante sia cosa risaputa la loro convergenza con l’Is e con Al Nusra (altra funesta banda di tagliagole che insanguina la Siria, legata ad al Qaeda e sostenuta anche dalla Turchia), sia sul piano politico che militare.

Si è già provato a risolvere asseriti problemi internazionali a suon di bombe: lo si è fatto in Iraq, per contrastare la fantomatica minaccia delle armi di distruzione di massa di Saddam; lo si è fatto in Libia, per deporre il Colonnello Gheddafi, prima ospite di riguardo delle cancellerie internazionali poi accusato di essere un tiranno sanguinario. Il risultato è stato la nascita dell’attuale follia jihadista.

Questo approccio si sta ripetendo in Siria e Iraq: senza prendere in considerazione i tragici errori del recente passato. In realtà sarebbe facile eliminare le fonti di sostentamento del Califfato: anzitutto contrastando il traffico illegale di petrolio, ma soprattutto eliminando altre munifiche forme di finanziamento che sembra davvero impossibile possano sfuggire a servizi segreti tanto efficienti quali quelli americani e occidentali in genere (e di Israele)..Il fatto che l’Onu non sia stato minimamente coinvolto in questa opera di contrasto del Califfato getta un’ulteriore ombra sulla vicenda e pone domande sui suoi reali obiettivi.

Tante domande, insomma, su questa spedizione militare. E, purtroppo, tante certezze. La nostra voce è poca cosa, ma si unisce (e ci conforta) alle tante, molto più autorevoli, provenienti dai Paesi martoriati dalla follia del Califfato che più volte hanno messo in guardia l’Occidente dal proseguire su questa tragica strada. Nondimeno non possiamo restare in silenzio, né possiamo accettare che il Parlamento italiano, che dovrebbe quantomeno interrogarsi sulla vicenda, abbia più a cuore i disegni geopolitici altrui che le sorti di interi popoli (e quella dei cittadini italiani).

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