Russia Today
http://znetitaly.altervista.org
11 aprile 2014

Voci dall’Ucraina: “Kiev, il popolo non è bestiame!”
di Andre Vltchek
traduzione di Giuseppe Volpe

Dubito della provenienza delle cifre ufficiali, quelle che dicono che l’Ucraina è divisa in parti uguali tra quelli che sostengono l’occidente e quelli che sentono che la propria identità è fortemente legata alla Russia.

Forse potrebbe essere così nell’Ucraina occidentale, a Lvov, o anche nella capitale, Kiev. Ma l’Ucraina occidentale ha solo poche città chiave. La maggioranza delle persone in questo paese di circa 44 milioni di abitanti è concentrata nel sud, est e sud-est, attorno agli enormi centri minerari e industriali di Donetsk, Dnepropetrovsk e Krivoi Rog.

C’è Odessa a sud, e Kharkov, “la seconda capitale”, a est. E la gente in quelle parti del paese parla prevalentemente russo. E considera quello che è recentemente avvenuto a Kievo come un colpo di stato senza complimenti, orchestrato e appoggiato dall’occidente.

Collasso

L’auto sta affrontando un’autostrada sconnessa a quattro corsie tra Kiev e Odessa. A bordo siamo in tre: il mio interprete, Dmitry, del sito Liva.com, un autista ed io. Avendo lasciato Kiev al mattino stiamo letteralmente volando a 160 all’ora verso Odessa.

In precedenza l’autista mi aveva detto: “O ci atteniamo al limite di velocità o semplicemente tenga a disposizione un fascio di banconote da 100 hryvna (circa nove dollari) così possiamo pagare la mazzetta se la polizia ci ferma.” I vasti campi dell’Ucraina, già noti come il granaio dell’Unione Sovietica, appaiono trascurati in modo deprimente. Alcuni sono bruciati. “Che cosa coltivano qui?” chiedo.

Non lo sa nessuno, ma entrambi i miei amici concordano sul fatto che tutto in Ucraina sta attualmente collassando, dopo la dissoluzione dell’URSS, e ciò comprende sia l’industria sia l’agricoltura. Nemmeno le strade fanno eccezione.

“Negli ultimi decenni hanno costruito solo facciate”, spiega Dmitry. “Il nucleo, l’essenza, sono stati costruiti nell’era sovietica. E oggi tutto sta crollando.”

Prima di raggiungere Odessa lasciamo l’autostrada e ci dirigiamo a nord-est, verso la Moldavia e la sua piccola enclave separatista, chiamata Transnistria.

Qui il fiume Kuchurgan separa la città ucraina di Kuchurgan dalla città transnistiana di Pervomaisc.

Non vedo blindati russi a Pervomaisc, niente artiglieria. Non ci sono assolutamente movimenti militari di alcun genere, nonostante gli innumerevoli servizi dei mass media occidentali che testimoniano (astrattamente) il contrario.

Attraverso il ponte a piedi e chiedo alla guardia transnistriana di confine se ha visto di recente corrispondenti stranieri in arrivo dagli Stati Uniti o dall’Unione Europea nel tentativo di attraversare il confine e verificare i fatti. Mi rivolge uno sguardo sbalordito.

Osservo magnifici uccelli bianchi sulla superficie del fiume e poi ritorno in Ucraina.

Qui due signore che gestiscono il Camelot Bar ci hanno servito il più delizioso festino russo-ucraino fatto di un’enorme zuppa di borsh e pelmeni.

Una stazione televisiva russa spara a raffica e le due donne non riescono a smettere di parlare; sono schiette, orgogliose e impavide. Accendo la mia telecamera, ma a loro non importa.

“Guarda che cosa sta succedendo a Kiev”, esclama Alexandra Tsynganskaya, la proprietaria del ristorante. “Gli USA e l’occidente hanno pianificato questo; lo hanno preparato per mesi, forse per anni! Oggi la gente in Ucraina è molto spaventata, la maggior parte sussurra soltanto. E’ pietrificata. C’è una tale tensione dappertutto che basterebbe accendere un cerino e tutto salterebbe in aria.”

La sua amica, Evgenia Chernova, è d’accordo: “A Odessa quelli che parlano russo sono arrestati e portati fino a Kiev. Lo stesso sta accadendo a Kharkov, a Donetsk e altrove. La chiamano libertà di espressione! Tutti i canali televisivi russi sono messi al bando. Quello che vedi qui è trasmesso da oltre confine. Trattano la gente come bestiame. Ma la nostra gente non è abituata a questo: si ribellerà, resisterà! E se la spingono all’estremo, sarà terribile!”  

Entrambe le donne sono decisamente d’accordo su una cosa: “Noi diciamo: ‘Non provocate la Russia!’. E’ una grande nazione, nostra alleata storica. Ci ha aiutato per decenni.”

E le stesse cose a Odessa sono persino scritte su grandi striscioni: “Kiev, il popolo non è bestiame!”

Odessa, quel gioiello architettonico, un enorme porto meridionale, è oggi relativamente tranquilla, ma tesa. Parlo con la direttrice dello storico e magnificamente restaurato Hotel Bristol, ma lei è molto attenta nello scegliere le parole. Cito il coinvolgimento occidentale nel colpo di stato, o nella ‘rivoluzione’ come la chiamano molti a Kiev e in Occidente, ma lei si limita ad annuire, neutra.

La città è repressa, come quella famosa Scalinata Potiomkin, nota per una delle scene più memorabili del cinema mondiale, quella del film muto ‘La corazzata Potiomkin’ diretto nel 1925 da Sergey Eisenstein.

Come ha scritto una volta Helen Grace: “Il massacro della scalinata di Odessa nel film condensa in un incidente drammatizzato l’occultamento di ciò che in realtà accadde nella città e questa resta una delle immagini più potenti mai realizzate della violenza politica.”

Si spera soltanto che Odessa non cadrà mai più vittima della sfrenata crudeltà politica, come quella praticata contro il popolo dal regime oppressivo feudale zarista di destra all’inizio del ventesimo secolo.

Disastro demografico

Una babushka appare esausta e domata. Sta lentamente zappando nella terra nera, tutta sola, chiaramente abbandonata.

Ho visto alcune case fatiscenti nel villaggio che abbiamo superato appena pochi minuti prima e ho chiesto all’autista di tornare indietro, ma lui chiaramente non vedeva alcuna urgenza e ha proseguito: “Vedrai molti villaggi come questo”, ha spiegato. Dmitry ha confermato: “Villaggi simili sono dappertutto in Ucraina. Ce ne sono migliaia, letteralmente; li vedi ogni volta che lasci le strade principali.”

Questo, questo villaggio, si chiama Efremovka e il nome della nonnina è Lyubov Mikhailovna.

Siamo da qualche parte tra le città di Nikolayev e Krivoi Rog.  

Tutto attorno a noi ci sono le rovine di proprietà agricole, di piccole fabbriche e di case che appartenevano ai contadini. Dai pali della luce mancano i fili e tutto appare statico, come in un film di fantascienza dell’orrore. Solo Lyubov Mikhailovna sta zappando, testardamente.

Le chiedo come fa a sopravvivere e lei mi risponde che non ce la fa affatto.

“Come si potrebbe sopravvivere qui con solo 1.000 hryvnas al mese (80 dollari)?” si lamenta. “Resistiamo solo grazie a quel che coltiviamo qui: cetrioli, pomodori, patate …”

Le chiedo delle rovine delle case, tutto attorno a quest’area, e lei annuisce per un po’ e solo allora comincia a parlare:

“La gente ha abbandonato le case e i villaggi perché non c’è lavoro. Dopo il collasso dell’Unione Sovietica l’intera Ucraina è andata a pezzi … La gente se ne va e muore. I giovani tentano di andare all’estero … Il governo non ci fornisce più nemmeno gas e acqua potabile. Dobbiamo usare il pozzo locale, ma l’acqua è contaminata dai fertilizzanti … non è pulita.”

“Era meglio prima?” chiedo.

“Neanche da chiederlo! Sotto l’Unione Sovietica tutto era meglio, molto meglio! Avevamo tutti un lavoro e c’erano salari decenti, pensioni … Avevamo tutto ciò di cui avevamo bisogno”, risponde.

Guardandomi attorno mi rendo rapidamente conto che l’Ucraina è un assoluto disastro demografico: persino secondo le statistiche e i censimenti ufficiali il numero delle persone che vivono in questo paese è crollato dai 48.457.102 del 2001 ai 44.573.205 del 2013. Gli anni dopo la sua ‘indipendenza’, e specialmente quelli tra il 1999 e il 2001, sono spesso descritti come una delle peggiori crisi demografiche della storia mondiale moderna. Nel 1991 la popolazione dell’Ucraina era di più di 51,6 milioni!

Solo i paesi devastati da brutali guerre civili stanno vivendo un simile declino della popolazione.

‘Per che cosa combattono?’

Krivoi Rog, o Kryvyi Rih come è nota in lingua ucraina, è verosimilmente la città siderurgica più importante dell’Europa Orientale e un centro metallurgico d’importanza globale di quella che è nota come la regione mineraria del ferro di Kryvbas.

Qui la Krivorozstahl, una delle più importanti fabbriche siderurgiche del mondo, ha vissuto vergognosi scandali di corruzione nel corso della prima ondata di privatizzazioni. Durante la seconda fase di privatizzazione nel 2005, la mastodontica fabbrica è stata rilevata dalla gigantesca multinazionale indiana Mittal Steel (che ha pagato 4,81 miliardi di dollari) ed è stata ribattezzata Arcelor Mittal Kryvyi Rih. Dopo di allora la produzione è scesa considerevolmente e migliaia di lavoratori sono stati licenziati senza complimenti.

Secondo i bollettini informativi della Arcelor Mittal (2007 e 2008) la produzione di acciaio è diminuita da 8,1 milioni di tonnellate del 2007 a 6,2 milioni di tonnellate nel 2008. Nel 2011 i dipendenti sono scesi da 55.000 a 37.000 e la direzione sta tuttora sperando di riuscire a negoziare tali ancor più drammatici (fino a 15.000 unità).

Nel tardo pomeriggio siamo arrivati al cancello principale della fabbrica. Centinaia di persone ci passavano accanto; la maggior parte di esse era esausta, scoraggiata e non desiderosa di partecipare ad alcuna conversazione.

Alcuni hanno gridato slogan contro il colpo di stato ma non hanno voluto dire il loro nome o essere registrati.  

Alla fine un gruppo di siderurgici dall’aspetto tosto si è fermato e ha cominciato a discutere appassionatamente con noi della situazione.

“Ti rendi conto di quanto poco guadagniamo qui? In questo impianto, a seconda del grado, le persone portano a casa solo 180 dollari, 260 dollari o al massimo 450 dollari il mese. Oltre il confine, in Russia, nella città di Chelyabinsk i salari sono da due a tre volte più alti!”

Il suo amico è totalmente caricato e urla: “Siamo pronti! Andremo! La gente è arrivata al limite!”

E’ difficile ricavare un qualche senso politico dal gruppo, ma è chiaro che le opinioni sono divise: mentre alcuni vogliono più investimenti stranieri, altri chiedono l’immediata nazionalizzazione. Non ci sono assolutamente dispute con la Russia, ma alcuni appoggiano il colpo di stato a Kiev mentre altri sono contro di esso.

E’ chiaro che, più che l’ideologia, queste persone vogliono qualche miglioramento concreto nelle loro vite e nella vita della loro città.

Tutto quello che ci siamo sentiti dire negli ultimi vent’anni è che le cose miglioreranno”, spiega il primo siderurgico. “Ma guarda che cosa sta succedendo nella realtà. La Mittal periodicamente non paga il dovuto. Ad esempio io dovrei prendere 5.700 hryvnas il mese, ma ne prendo meno di 5.000. E la tecnologia dell’impianto è vecchia, sorpassata. I profitti che la Mittal sta realizzando qui … se almeno una parte restasse qui e andasse alla costruzione di strade o a migliorare la fornitura dell’acqua … Ma si portano via tutto fuori dal paese.”

Il giorno dopo, a Kharkhov, Sergei Kirichuk, leader del movimento di sinistra Borotba (Lotta), mi ha detto: “In tutto il mondo si lotta contro il cosiddetto ‘libero mercato’, ma in Ucraina portarlo qui è stata la principale ragione della ‘rivoluzione’. E’ davvero difficile da credersi.”

Stato di guerra

Il confine tra l’Ucraina e la Russia, presso la cittadina di Zhuravlevka, tra l’ucraina Kharkov e la città russa di Belgorod, è tranquillo. Bel tempo, vasti campi e un paesaggio quasi piatto garantiscono buona visibilità per molti chilometri. Il 28 marzo, quando i mass media occidentali e ucraini strillavano a proposito di un’enorme contingente militare russo proprio sul confine, ho visto solo alcuni uccelli frustrati e una torre di guardia apparentemente priva di addetti.

Il traffico al confine era leggera, ma fluido e diverse auto private stavano passando dalla Russia all’Ucraina.

Quelli che ho visto, tuttavia, sono stati numerosi carri armati ucraini lungo l’autostrada M-20/E-105, giusto a un tiro di sasso dal confine. C’erano carri armati e blindati e un considerevole movimento di soldati ucraini.

Una vecchia auto sovietica marca Zaporozhets con targa ucraina con a bordo un’intera famiglia, apparentemente dalla Russia, si è fermata vicino a uno dei carri armati. Un uomo, sua moglie e i loro due bambini hanno cominciato a gridare qualcosa ai soldati. La famiglia ha riso per un po’ e poi la loro vecchia berlina è ripartita lentamente per Kharkov.

La stampa locale, tuttavia, non era altrettanto divertente.

“Stato di guerra!” strillava il titolo del Kyiv Post. “Abbiamo fatto decollare 100 caccia da combattimento per spaventare Mosca” dichiarava il giornale Today.

Democrazia

La realtà sul terreno era molto diversa dalle ‘favole’, pagate e diffuse dai canali mediatici occidentali e dalla ‘stampa libera ucraina’.

A est di Kharkov, bandiere sovietiche sventolavano al vento accanto a molte bandiere russe. Migliaia di persone erano riunite di fronte alla gigantesca statua di Lenin nei quei giorni ventosi del 28 e 29 marzo.

Ci sono stati discorsi focosi e ovazioni. La folla indignata ha accolto con forti grida di “Russia, Russia!” le dichiarazioni che le potenze occidentali avevano istigato il ‘colpo di stato fascista’ a Kiev.

Vecchie, leader comunisti e il mio amico Sergei Kirichuk, il leader di sinistra di Borotba, e persone di organizzazioni internazionali di solidarietà hanno tenuto focosi discorsi. Apparentemente il governo di Kiev aveva già cominciato a tagliare alcuni dei pochi sussidi sociali che erano rimasti, tra cui l’assistenza sanitaria gratuita. Diversi ospedali stavano per essere presto chiusi.  

La gente era pronta a battersi; per difendersi da quelle odiate politiche neoliberiste per le quali (o contro le quali) nessuno a nessuno era stato permesso di votare.

In Crimea la gente ha votato, in misura schiacciante, per tornare alla Russia”, ha detto Aleksey, uno studente. “L’occidente definisce incostituzionale e antidemocratico questo. Nella stessa Ucraina, il governo democraticamente eletto è stato rovesciato e ci sono fatte ingoiare politiche che nessuno realmente vuole. E … questa la chiamano democrazia!”

In un appartamento del movimento Borotba una giovane leader e studentessa di storia, Irina Drazman, ha parlato del modo in cui l’occidente ha distrutto l’Ucraina. Mi ha ricordato una leader studentesca cilena e oggi parlamentare, Camila Vallejo. Irina ha solo vent’anni ma è coerente e tagliente come un rasoio.

“C’è grande nostalgia per l’Unione Sovietica”, dice. “Se solo potesse essere riplasmata e l’idea migliorata, la maggior parte del popolo ucraino sarebbe lieto di farne di nuovo parte.” Ed è esattamente questo che l’occidente sta tentando di prevenire: un paese potente e unito, in grado di difendere gli interessi del proprio popolo.

Di fronte a un cordone di polizia a Kharkov, Aleksandr Oleinik, un analista politico ucraino, dice: “L’essenza di ciò che sta oggi accadendo è basata sulla dottrina degli Stati Uniti che hanno un obiettivo chiave: cancellare dal globo prima l’Unione Sovietica e poi la Russia, indipendentemente dalla sua forma, socialista o capitalista … Come è ben noto, questi obiettivi furono già definiti nei primi anni ’80, da Zbigniew Brzezinski, nel suo rapporto al Dipartimento di Stato intitolato: “Piano di gioco: quadro geostrategico per la condotta della partita USA-Sovietici.”

La partita ucraina

Per l’occidente quello che sta succedendo in Ucraina può essere un gioco: un gioco geopolitico. Lo stesso gioco che sta giocando in Venezuela, in Siria, in Zimbabwe, a Cuba e in Cina, per citare solo alcuni luoghi. La vittoria consisterebbe nel dominio totale del pianeta.

Quelle vite di persone comuni, di quei miliardi di “plebei”, non contano nulla. Nella Maidan di Kiev, la piazza principale dove ha avuto luogo la ‘rivoluzione’ o il colpo di stato, assembramenti di sostenitori della destra vagabondano senza meta. Alcuni uomini e donne sono frustrati. Molti sentono addirittura di essere stati ingannati.

A migliaia sono stati pagati per partecipare a ciò che si pensava avrebbe portato almeno un po’ di giustizia sociale. Ma il governo provvisorio ha cominciato a ricevere i suoi ordini, quasi immediatamente: dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e da istituzioni quali il FMI e la Banca Mondiale.

Oggi migliaia di ‘rivoluzionari’ scontenti si sentono frustrati. Invece di salvare il paese, hanno svenduto tutti i loro ideali e tradito il loro stesso popolo. E le loro vite sono andate di male in peggio.

La tensione sta crescendo e l’Ucraina è all’estremo. C’è una grave deriva interna, dentro i movimenti di destra, specialmente dopo diversi omicidi politici recenti. Ci sono crescenti tensioni, anche scontri, tra le forze conservatrici oppressive e quelle progressiste. C’è tensione tra quelli che parlano russo e quelli che insistono sull’uso sola lingua ucraina in tutto il paese.

Ci sono omicidi politici; ci sono paura e incertezza riguardo al futuro.

C’è sempre più un ruolo negativo giocato dalle religioni, da quella protestante a quella ortodossa.

Nessuno sa che cosa seguirà al colpo di stato. La confusione e la frustrazione, così come il collasso sociale, possono facilmente causare una brutale guerra civile.


Le affermazioni, idee e opinioni espresse in questo articolo sono unicamente dell’autore e non rappresentano necessariamente quelle di Russia Today.


Andre Vltchek è un romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Si è occupato di guerre e conflitti in dozzine di paesi.


Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale: http://rt.com/op-edge/divided-ukraine-coup-supported-west-936/

top