http://www.repubblica.it
26 marzo 2014

Aereo fantasma, i satelliti inglesi sapevano.
 Il sistema Inmarsat localizzò subito il Boeing. 
L’ira di Pechino, e ora è guerra di Spie.
di Giampaolo Visetti

La Cina non crede che il Boeing 777 della Malaysian Airlines, scomparso dall’8 marzo con 239 persone a bordo, sia precipitato nella parte meridionale dell’Oceano Indiano, come affermato dal premier malese Najib Razak. Pechino accusa Kuala Lumpur di «irresponsabilità» e ha inviato in Malesia il viceministro degli Esteri per «entrare in possesso delle prove» che avrebbero spinto Razak, dopo 17 giorni, a comunicare con un sms che «tutti coloro che viaggiavano sul volo MH370 sono morti».

Guerra senza precedenti tra spie, governi e apparati militari, che vede la Malesia accusata di «nascondere la verità» per inconfessabili «interessi economici, bellici e strategici». A scatenare la rabbia di Pechino — dove ieri i parenti dei dispersi hanno potuto dare d’assalto all’ambasciata malese al grido di «assassini» — il fatto che le informazioni sul luogo dove il Boeing sarebbe precipitato sono giunte da Londra, in collaborazione con Australia e Stati Uniti. Il mondo ha così appreso che l’intelligence della Gran Bretagna controlla ancora il Pacifico meglio di quella cinese, prima potenza dell’Oriente.

La svolta al mistero è giunta infatti dai dati captati dalla società londinese Inmarsat, a cui si appoggia la statale “Air Accidents Investigation Branch”. Per la prima volta i satelliti militari di ultima generazione sono stati sintonizzati sugli impulsi emessi dai velivoli civili anche dopo lo spegnimento volontario degli strumenti di bordo che segnalano le coordinate di ogni aereo. Inmarsat ha così potuto seguire il volo invisibile MH370 tra l’1.21 dell’8 marzo, ora dell’ultimo messaggio del co-pilota, e le 8.11 dello stesso giorno, attimo in cui il Boeing si è inabissato nell’oceano, 2500 chilometri al largo di Perth.

I satelliti hanno captato ogni ora i “ping” del jet malese dirottato, per sei volte, localizzando i due corridoi che poteva seguire per sfuggire ai radar: uno a nord, verso Thailandia e Asia centrale, e uno a sud, in direzione di Indonesia e Australia. Calcoli complessi hanno permesso ai tecnici britannici di escludere la rotta nord, delimitando un’“area di caduta” vasta quanto il Texas, nel cuore dell’Oceano Indiano. La variazione della lunghezza d’onda dei segnali non può rilevare velocità e direzione di un velivolo e neppure la sua esatta posizione. Definisce però la zona in cui si trova e lo spostamento tra un segnale e l’altro, permette di ricavare rotta e rapidità.

Grazie a dati riservati, che fino a ieri non si sapeva fossero rilevabili, la società britannica ha stabilito che a quasi 7 ore dal dirottamento, il Boeing 777 volava a circa 450 nodi, in direzione sud-ovest, in mezzo all’oceano, troppo distante da qualsiasi spazio di atterraggio in rapporto al carburante disponibile. Di qui la conclusione: l’aereo è precipitato in mare,

tutte le persone a bordo sono morte. Il mistero da chiarire, oltre a chi e perché ha diretto il jet verso una trappola mortale ancora ignota, è ciò che è successo dopo che Inmarsat ha captato l’ultimo “ping”.

A Londra tutto era chiaro già la mattina di sabato 8 marzo. I servizi segreti malesi sono stati però informati solo mercoledì 12, ci sono voluti altri tre giorni prima che la pista fosse condivisa con gli altri 25 Paesi impegnati nelle indagini e solo martedì 18 l’Australia ha reso pubblico che le ricerche si concentravano a sud dell’Oceano Indiano. Kuala Lumpur ha infine dato l’annuncio lunedì 24, con

17 giorni di ritardo: e ieri, dopo che il maltempo ha costretto a sospendere le perlustrazioni, il governo australiano ha detto che «prima di cercare l’ago in un pagliaio, bisogna trovare il pagliaio». Ritardi, reticenze e depistaggi inquietanti, tali da scatenare la “guerra della verità” tra Cina e Malesia: e da indurre gli Stati Uniti a inviare sul posto localizzatori di scatole nere e droni subacquei fino ad oggi tenuti gelosamente segreti.

top