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15 dicembre 2014

Arte e decrescita. Un manifesto

«Arte e decrescita» è un Manifesto da leggere e far conoscere ma anche un sito, un spazio che raccoglie «contributi, idee, stimoli culturali per liberare l’arte dell’obbligo di essere “nuova”». Il Manifesto, spiegano i primi firmatari – tra cui Gabriella Arduino, Maurizio Pallante, Ugo Mattei, Alessandro Pertosa, Alessandro Pertosa, Paolo Portoghesi – può essere sottoscritto da chiunque condivida l’esigenza di decolonizzare l’immaginario collettivo «dall’idea che una quantità sempre crescente di merci a disposizione delle persone sia una misura di benessere. Chiunque pensi che l’arte non debba essere più megafono culturale di una economia che pervade ogni aspetto della nostra vita, trasformando l’arte stessa in merce e la merce in arte».

Il testo completo del Manifesto

Cos’è che consente di accrescere la produzione annua di merci e, di conseguenza, incrementa i consumi di risorse naturali e di energia, le emissioni inquinanti, le emissioni climalteranti e i rifiuti? Le innovazioni tecnologiche finalizzate ad accrescere la produttività. I macchinari innovativi che in un dato intervallo di tempo consentono di produrre sempre di più con sempre meno addetti.

Cos’è che riduce progressivamente gli intervalli di tempo in cui le risorse naturali transitano nello stato di merci prima di diventare rifiuti? Le innovazioni tecnologiche ed estetiche finalizzate a rendere obsoleti i prodotti in commercio al fine di accelerare i processi di sostituzione.

Cos’è che induce a progettare in continuazione prodotti tecnologicamente ed esteticamente innovativi, al fine di rendere obsoleti e trasformare in rifiuti in tempi sempre più brevi i prodotti in commercio? La necessità di tenere alta la domanda di merci in modo da assorbire l’offerta crescente di merci attivata dalle innovazioni tecnologiche che accrescono la produttività.

Le innovazioni di processo e di prodotto costituiscono la fisiologia dei sistemi economici finalizzati alla crescita della produzione di merci. Senza innovazioni di processo non potrebbe aumentare l’offerta di merci. Senza innovazioni di prodotto non potrebbe aumentare la domanda di merci. Le innovazioni di processo e di prodotto stanno esaurendo gli stock delle risorse non rinnovabili, hanno fatto crescere il consumo di risorse rinnovabili fino a superare le loro capacità di rigenerazione annua, sono la causa di fondo dell’effetto serra, stanno svuotando gli oceani di molte specie ittiche e li stanno riempiendo di ammassi di rifiuti di plastica grandi come continenti, hanno saturato la biosfera di sostanze tossiche, distrutto in pochi anni la bellezza di paesaggi lentamente antropizzati nel corso di secoli, ridotto la biodiversità e mineralizzato i terreni agricoli, esteso la fame nel mondo e causato le guerre sempre più atroci che da più di un secolo lo insanguinano. Le innovazioni finalizzate alla crescita della produzione e del consumo di merci stanno minacciando la sopravvivenza stessa dell’umanità.

Poiché hanno bisogno delle innovazioni, i sistemi economici e produttivi finalizzati alla crescita della produzione di merci hanno anche bisogno di valorizzare culturalmente l’innovazione in quanto tale. La pietra angolare della cultura su cui modellano l’immaginario collettivo è l’identificazione tra i concetti di innovazione e miglioramento. Nel loro paradigma culturale ogni innovazione è un miglioramento, senza innovazioni non ci sono miglioramenti, la storia è un costante progresso verso il meglio, le tappe di questo progresso sono scandite dalla successione delle innovazioni e la sua velocità dalla velocità con cui le innovazioni successive sostituiscono le precedenti.

La valorizzazione culturale dell’innovazione in sé induce a immaginare il futuro come uno scrigno di inesauribili potenzialità di miglioramento su cui concentrare tutta l’attenzione, a pensare il passato come un deposito di materiali definitivamente inutilizzabili da dimenticare al più presto, a guardare sempre in avanti, come i marinai di vedetta in cima all’albero maestro dei galeoni, per riuscire a vedere prima degli altri le novità che si delineano all’orizzonte, a non girare mai indietro la testa perché se ci si attarda a osservare ciò che è stato non solo non si ricava niente di utile, ma si rischia perdere posizioni nella corsa verso il nuovo e di fare la fine di Orfeo che, per essersi girato a vedere se Euridice continuava a seguirlo nella difficile anabasi dall’al di là, la perse definitivamente.

Nella valorizzazione culturale dell’innovazione, all’arte è stato assegnato il compito di esplorare i confini più avanzati della modernità, cioè a rincorrere senza sosta il nuovo che, come l’orizzonte si allontana passo dopo passo da chi cerca di avvicinarlo, perché c’è sempre un più nuovo in agguato del nuovo, un più nuovo che al suo apparire trasforma il nuovo in vecchio in attesa di essere trasformato in vecchio dal più nuovo che scalpita alle sue spalle. Nei sistemi economici finalizzati alla crescita della produzione di merci l’arte, in tutte le forme in cui si manifesta, pittura, scultura, musica, poesia, architettura, è stata scacciata di forza dalla sua dimensione universale ed eterna e rinchiusa a forza nella dimensione dell’effimero. Le è stato imposto di essere innovativa per essere sempre contemporanea, di sganciare il nuovo dall’abbraccio troppo stretto con le funzioni economiche e produttive a cui risponde nei sistemi economici finalizzati alla crescita, di cancellare dall’immaginario collettivo la percezione del suo ruolo distruttivo e di accompagnarlo in quella dimensione spirituale, non invischiata nelle miserie quotidiane della vita, in cui nel corso della storia gli esseri umani si sono abituati a collocare le manifestazioni artistiche.

Per risvegliare l’umanità da questo incantesimo che la sta perdendo, occorre liberare l’economia dal vincolo dell’innovazione, che le è stato imposto dalla finalizzazione alla crescita della produzione di merci, e la cultura dal vincolo della valorizzazione dell’innovazione, che le è stato imposto dal sistema economico e produttivo finalizzato alla crescita della produzione di merci.

Accanto e in sintonia con chi si propone di liberare le attività economiche e produttive dal vincolo delle innovazioni finalizzate alla crescita, noi ci proponiamo di liberare tutte le forme dell’espressione artistica dal vincolo di valorizzare culturalmente l’innovazione, da cui è stato dato un contributo essenziale alla formazione di un immaginario collettivo che ha valutato come un progresso la riduzione del lavoro a un fare per fare sempre di più. Per riportarlo alla sua essenza di fare bene finalizzato alla contemplazione di ciò che si è fatto, occorre ridefinire un sistema di valori in cui la bellezza torni ad essere più importante del profitto, perché come si può contemplare ciò che si è fatto se non ha aggiunto bellezza alla bellezza originaria del mondo? Nella ricostruzione di un paradigma culturale con queste caratteristiche dopo più di un secolo di devastazioni, non si può riuscire a liberare le tecnologie dal vincolo dell’innovazione e indirizzarle a imitare, potenziare e regolarizzare i cicli biochimici che presiedono ai processi vitali, senza ricostruire un immaginario collettivo capace non solo di smascherare, irridendoli senza soggezione, i quattro trucchi da imbonitore con cui l’arte contemporanea persegue la valorizzazione culturale dell’innovazione, ma anche di riconoscere il segno dell’arte dovunque i mezzi espressivi con cui si manifesta sappiano suscitare negli esseri umani il desiderio irrazionale di aiutare la bellezza a vincere i limiti dello spazio e del tempo, creando, come ha sempre fatto prima di essere irretita nella tela della modernità, un collegamento ininterrotto tra le generazioni. Perché l’arte, come ha scritto Egon Schiele sul muro della prigione in cui era rinchiuso, non è moderna. L’arte è eterna.

Dicembre 2012

Promotori:

Gabriella Arduino architetto e pittore; Pierpaolo Dal Monte medico e filosofo; Massimo De Maio grafico ed ecologista; Giordano Mancini maestro d’arte, green manager; Giovanna Massobrio architetto e gallerista; Ugo Mattei giurista, studioso di economia e politica dei beni comuni; Maurizio Pallante saggista; Alessandro Pertosa ricercatore in filosofia; Mario Pisani architetto; Paolo Portoghesi architetto.

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