http://znetitaly.altervista.org Il sogno di pace del Sudan meridionale è ancora alla sua portata
Mentre i media mondiali focalizzavano la loro attenzione sui conflitti in Terra Santa e in Ucraina, la sofferenza spaventosa del popolo del Sudan meridionale non viene praticamente riferita Diecimila persone uccise negli scorsi sette mesi. Un milione e mezzo costrette a fuggire dalle loro case. Un paese sull’orlo della carestia. Questa settimana la gente del Sudan meridionale aspetterà semplicemente che cominci di nuovo una conversazione che possa portare il loro paese fuori da mesi di estreme sofferenze o forse no. Si è stabilito che i colloqui di pace riprendano nella capitale dell’Etiopa, Adis Abeba, ospitati dall’organismo regionale dell’Africa orientale, cioè l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (IGAD). Malgrado un accordo per il cessate il fuoco, il Presidente Salva Kiir e il suo ex vice presidente e rivale, Riek Machar, sono stati in silenzio per settimane mentre il conflitto ha continuato a infuriare. Ai capi delle fazioni in guerra sono rimasti soltanto dieci giorni per formulare un piano per un governo di transizione di unità nazionale, prima della prossima scadenza dell’IGAD, dieci giorni per preparare una via d’uscita alla sofferenza e all’infelicità del loro popolo. Sette mesi fa, in seguito a un bisticcio politico tra Kiir e Machar, la violenza ha travolto la nazione da poco indipendente. Le conseguenze sono state profondamente brutali. L’etnicità è stata mobilitata per motivi politici e militari, mettendo le comunità l’una contro l’altra e facendo a pezzi il tessuto sociale del paese. Le comunità sono state così consumate dal conflitto, che non sono state in grado di piantare le coltivazioni per avere il cibo. I mercati dove il commercio di recente prosperava, sono state lasciate andare in rovina. Le Nazioni Unite descrivono la situazione come la peggiore crisi alimentare del mondo. E’ una crisi che può essere dichiarata carestia a meno che sia intrapresa un’azione immediata da parte di Kiir e Machar per trovare un modo di lavorare insieme per tutta la gente del Sudan meridionale. Se pensano che lavorare insieme sia impossibile, hanno soltanto bisogno di considerare la storia recente del mio paese, il Sudafrica, dove nemici una volta hanno stabilito un governo di unità nazionale e insieme hanno distrutto l’apartheid. E’ stato possibile, in Sudafrica, grazie al calibro di un insieme straordinario di leader, impersonato da Nelson Mandela. Mandela ha compreso che la magnanimità, il garbo e il comando erano intrecciati in modo inestricabile. Nell’ex presidente FW de Klerk ha trovato un partner disponibile a negoziare. Avevano poco in comune, non sempre erano d’accordo e non lo erano neanche i loro sostenitori ma hanno superato i loro ego e le limitate posizioni politiche dei partiti. Insieme, hanno ricevuto il premi Nobel per la pace. Il Sudafrica ha svolto in pace la sua prima elezione democratica, qualcuno l’ha chiamata prodigiosa. Se è stato possibile in Sudafrica, è possibile nel Sudan meridionale. Se è stato possibile per Mandela e de Klerk, e per i soldati al loro comando, è possibile per Kiir e Machar. Naturalmente, il Sudafrica non ha raggiunto la sua transizione pacifica da solo. La pressione politica, morale ed economica esercitata dalla comunità internazionale, ha contribuito enormemente a far andare avanti i negoziati. La situazione nel Sudan meridionale sta chiedendo a gran voce aiuto alla comunità internazionale, sostegno per i colloqui, assistenza nell’allontanare una crisi umanitaria crescente, una guida nell’assicurare che il processo di pace abbia i giusti risultati per la gente del Sudan meridionale. I governi regionali possono prevedere l’accoglienza di numeri sempre maggiori di profughi. Dovrebbero mettere da parte le loro differenze per appoggiare una prospettiva più ampia: un patto di pace. Mi ricordo bene la gioia che è arrivata con l’indipendenza del Sudan meridionale appena pochi anni fa: un momento potente che era colmo delle speranze e dei sogni di una nazione prospera e pacifica. Ho visitato il Sudan meridionale quando ha festeggiato il suo primo anno di indipendenza. La gente che ho incontrato sperava che la lunga strada verso la pace raggiunta con tanta fatica avrebbe portato scuole, strade, ospedali e un futuro di salute e prosperità. Quel sogno è ancora alla loro portata, ma entrambe le parti devono di avvicinarsi a questi colloqui con l’onestà e la serietà che sono essenziali a porre le basi per il successo. Un impegno nella discussione può sempre superare il conflitto e la lotta, indipendentemente da quanto sia grande. La riconciliazione è frutto del dialogo e del perdono, e porterà alla guarigione e ad allontanarsi dal passato. E’ una conversazione che inizia con Kiir e Machar e dovrebbe continuare per includere tutta la gente del Sudan meridionale. Dio sta piangendo perché le persone sono state create per essere in relazione reciproca e per l’amore. L’odio non è una condizione naturale: è prodotto e propagato dalla gente. E’ una condizione che può essere capovolta da buoni leader politici. Le necessità umanitarie sono quasi inarrestabili. Del milione e mezzo di persone costrette a lasciare le loro case, 100.000 cercano ancora protezione nelle basi dell’ONU, molte altre mancano dell’adeguata protezione contro la violenza e dell’accesso al cibo, ai servizi sanitari e all’acqua. Se i capi politici del Sudan Meridionale non riusciranno ad aprire un dialogo tra di loro e a ristabilire la pace, se non riusciranno a capire che la nostra comune umanità è il nostro dono più grande, porteranno per sempre il peso di questo crescente disastro umano. L’Arcivescovo Desmond Tutu è ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace ed è un sostenitore della Campagna Internazionale per abolire le armi nucleari. E’ anche Membro onorario dell’organizzazione denominata the Elders
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