Fonte: Osservatorio Iraq Medio Oriente e Nordafrica.
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17 novembre 2013

Porte chiuse per i profughi siriani
di Sara Creta

Un viaggio di settemila chilometri attraverso l’Egitto, l’Algeria e il Marocco. Ed ecco finalmente avvicinarsi l’Europa, con l’enclave spagnola di Melilla. Duemila dollari la tariffa da pagare ai trafficanti per un passaporto marocchino, la via più breve e sicura per il transito frontaliero sul suolo europeo, in cerca di una nuova strada per andare a nord

Il numero dei profughi siriani cresce ogni giorno di più. In arrivo sulle coste del Mediterraneo, stipati nei centri di accoglienza, cercano una strada per arrivare al nord, dove ad attenderli ci sono familiari e politiche di accoglienza più favorevoli.

Ci troviamo in Spagna, a Melilla, davanti al CETI (Centro temporaneo di accoglienza) dove sono radunate alcune famiglie siriane in protesta. Un centinaio le persone presenti nel centro, la maggior parte minori. Sono i nuovi ospiti, compagni di camera dei sub-sahariani che “saltano la frontiera”, in attesa come tutti del lasciapassare per raggiungere la penisola iberica.

Le famiglie siriane hanno cominciato ad arrivare a Melilla alla fine dell’estate, ma nelle ultime settimane il numero è aumentato in modo sensibile.

I siriani entrati nell’enclave sono originari della città di Hamah. Un viaggio di 7 mila chilometri li ha portati a percorrere l’Egitto, fare scalo in Algeria, e ad entrare in Marocco attraverso la frontiera terrestre, ufficialmente chiusa dal 1994. Alcuni di loro raccontano di essere rimasti in Marocco per qualche mese in attesa di una soluzione, altri – stanchi di aspettare – hanno deciso di partire, ma hanno lasciato i membri più anziani delle famiglie nei grandi centri del regno, a Casablanca o Rabat.

Una volta arrivati a Nador, città situata nella costa settentrionale al confine con Melilla, i profughi siriani diventano le nuove vittime di un business criminale. Qui esiste un vero e proprio tariffario per chi decide di rivolgersi ai trafficanti. Il passaggio all’enclave spagnola – esclusi i salti del muro di frontiera o i tentativi via mare – si aggira intorno ai 2.000 dollari a persona, tariffa da pagare in contanti.

Le famiglie numerose contrattano, non sempre si applicano riduzioni per avere in mano un passaporto marocchino, di quelli autorizzati al passaggio frontaliero. Unica arma vincente per chi vuole passare il valico tra Beni Enzar e Melilla. Il tutto senza troppi controlli. La copertura: i transiti giornalieri di chi abita nella provincia di Nador, possibili senza bisogno del visto.

Sono circa 30 mila le persone che ogni giorno attraversano la frontiera terrestre tra Marocco e Spagna. È a Beni Enzar che prima di entrare, la massa umana, rumorosa, spinge per superare il varco il più velocemente possibile. Protagonisti i tornelli, gli asini, le vetture in coda, merci di ogni tipo che si spostano da una parte all’altra dei cancelli.

In tutto questo i siriani sono volti arabi, anonimi, che si mescolano tra la folla e passano inosservati assieme agli altri. L’unica differenza i 7.000 dollari sborsati, il prezzo da pagare per marito, moglie e tre figli.

Mohammed è entrato così a Melilla, quasi due mesi fa.

L’attesa, per lui e la sua famiglia, è lunga. La città autonoma gode di una legge speciale in materia di asilo datata 2010, ma nessuno vuole domandare protezione in questo posto dalla fredda accoglienza e dalle scarse prospettive. Tutti chiedono di essere trasferiti immediatamente nel continente europeo, magari per raggiungere i parenti emigrati qualche anno prima.

Per molte delle famiglie siriane attualmente accampate al CETI, l’attesa dura da più di tre mesi. I profughi denunciano: “Abbiamo perso tutto, siamo in cerca di un posto sicuro dove vivere. Dove poter ricominciare”.

Scappano da una guerra, quella che Antonio Guterres dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ha definito “la grande tragedia di questo secolo. Un disastro umanitario miserabile che provoca spostamento e sofferenza, qualcosa senza precedenti nella storia recente”.

Dai dati diffusi di recente, sono più di tre milioni le persone costrette alla fuga dalle loro case per cercare la sopravvivenza. Secondo l’UNHCR, oltre due milioni sono i profughi siriani installati nei paesi vicini. Stando alle cifre fornite della Commissione europea, in ottobre il numero dei siriani richiedenti asilo nel Vecchio continente si aggirava intorno ai 36.000.

Quella di passare attraverso i paesi del Maghreb è una scelta spesso dettata dalla condizione economica, dalla possibilità di pagare le reti dei trafficanti. Le nuove agenzie di viaggio attive alle frontiere.

I siriani che abbandonano il paese, e i campi profughi giordani o i rifugi libanesi, sono di frequente i più istruititi: dottori, insegnanti, commercianti, uomini e donne appartenenti alla classe medio-alta, viaggiatori che fino a qualche anno fa si recavano in Europa con un normale visto Schengen, proprio come quelli incontrati a Melilla.

“Ho perso la mia casa e il mio negozio – riferisce Mohammed -. Come posso far crescere i miei figli in questa situazione? Chiediamo solo di entrare in Europa e raggiungere i nostri familiari. Altro che accoglienza. Prima della crisi era molto più facile spostarsi!”.

  


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