http://www.unita.it/ Abraham e gli altri prigionieri
di Lampedusa, al via lo sgombero Tame, 23 anni. Marhawi, 22 anni, Abraham, 20 anni. Fanus, 18. Tasfit, 31. Natu, 27. Marhawi, 24. Sono loro i sette sopravvissuti alla tragedia di Lampedusa e ancora qui rinchiusi. Giovanissimi, stanchi. Sui loro volti intravedo un cenno di rabbia, ma è soprattutto la disperazione a prevalere. Parlano pochissimo. Fanus, l'unica ragazza del gruppo, piange in continuazione. È disperata e i ragazzi della compagnia cercano di sostenerla. Ma anche loro non ce la fanno più. Uno di loro è sotto osservazione da parte di Paola, la psicologa del centro. Mi confessa la sua preoccupazione: «Continua a ripetermi fino a quando deve rimanere chiuso qui dentro. Dice che vuole suicidarsi». I loro occhi raccontano del dramma che hanno vissuto in quel tragico 3 ottobre... Hanno visto morire i loro fratelli e le loro sorelle. Hanno assistito alla cerimonia di commemorazione all'aeroporto, in cui ero presente, insieme a loro con la delegazione parlamentare presieduta dalla presidente della Camera Laura Boldrini. Per loro oggi, stare qui a Lampedusa, è peggio di una tortura. Continuare a sentire il profumo di quel mare, che per loro ha significato solo morte, è un incubo permanente. Me lo hanno raccontato loro tramite il mediatore eritreo che è presente qui da anni. Sono stanchi di parlare e di raccontare. Ma di fronte al nostro impegno nel mobilitare il governo italiano e la procura di Agrigento, al fine di accelerare la procedura giuridica per agevolare il loro trasferimento, si mostrano disponibili a crederci ancora. L'ennesima volta in cui con pazienza mi ricordano i loro nomi, la loro età, la loro nazionalità e i loro sogni. Sogni che si sono ridotti a chiedere semplicemente l'uscita da questo Centro di prima accoglienza. Un centro dove volontari e operatori si alternano per dare il massimo, vittime anch'essi di un sistema che non funziona. Sono disperati il medico e la psicologa, la giovanissima ricercatrice che si occupa di assistere i minori non accompagnati. Sono disperati anche loro, dopo le vergognose immagini trasmesse nei giorni scorsi. Loro giurano che non vi era alcun intento di umiliazione o offesa. Semplicemente, non avevano alternative in una struttura totalmente inadeguata alla situazione, con la responsabilità di autorità molto al di sopra dei ragazzi che ho imparato a conoscere qui a Lampedusa. Insieme ai profughi e ai sette sopravvissuti alla tragedia del 3 ottobre continuo a pregare per una soluzione di questa triste vicenda. Loro sembrano più entusiasti di me, chiedono aggiornamenti in continuazione e iniziano a capire la differenza tra Bubbico e la Cancellieri, la presidente della Camera e il presidente del Consiglio. Roberto Speranza, Gianni Cuperlo e Matteo Renzi. Solo alcuni dei protagonisti della battaglia di queste ore. Speriamo un giorno, il più presto possibile, possano tutti loro poter abbracciare i nostri sette eroi che noi teniamo rinchiusi qui a Lampedusa. Questo significherebbe che questa fatica sarà servita almeno a ridare una speranza a chi sogna un futuro nella nostra Europa. Domani sarà un nuovo giorno.
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