http://www.unita.it Basta con la domanda: ma tu da dove vieni?
«Ma tu da dove vieni?». Se c’è una cosa che la fa arrabbiare, è sentirsi ripetere quella domanda: «Come da dove vengo? Vengo da qui, sono di Reggio Emilia». Lamiaa Zilaf ha 13 anni, è nata e sempre vissuta nella città del Tricolore, ove frequenta la terza media presso la scuola statale Alessandro Manzoni. Il suo fratellino Nabil di anni ne ha 7 e va alla scuola elementare. Ma i genitori, Mohamed e Nadia, sono di origine marocchina e i due ragazzi non si chiamano Paolo e Francesca. Tanto basta perché, magari senza malizia, semplicemente per coazione a ripetere schemi mentali duri da estinguere, ci sia sempre qualcuno che continua a chiedere «Tu da dove vieni?». «È capitato anche con qualche insegnante - racconta Lamiaa - Con i miei compagni di classe e con gli amici no, questo problema non esiste. Però mi sono accorta che molte persone faticano ancora a comprendere che la nazionalità non dipende dal nome, o dalla religione, o dal colore della pelle. Allora ho deciso di darmi da fare per cambiare questo modo di pensare». Lamiaa, personalmente, non ha più il problema della cittadinanza italiana, perché il padre l’ha finalmente acquisita, per sé e per tutta la famiglia, dopo aver vissuto e aver lavorato come operaio a Reggio già dal 1987. Però, Lamiaa conosce molti coetanei - figli di genitori immigrati come i suoi, ma tuttora privi di cittadinanza italiana - che continuano a essere «stranieri» nel Paese in cui sono nati. Oltre che dalla esperienza personale, la sua sensibilità deriva anche dal fatto che la madre Nadia, venuta a Reggio nel 1998 per ricongiungersi al marito, è una volontaria della Filef reggiana, la federazione dei lavoratori emigrati e famiglie fondata da Dante Bigliardi, ora scomparso, che fu tra i primissimi a impegnarsi su questo fronte. Un paio d’anni fa, partecipando insieme alla Filef a una iniziativa del centro interculturale Mondinsieme, l’allora undicenne Lamiaa lesse due paginette scritte di proprio pugno. Punto di partenza, un episodio che le era capitato a scuola: «Un giorno ricevetti un 10 in grammatica. Ero molto felice, ma il commento dell’insegnante mi lasciò un po’ perplessa, mi disse: sei stata bravissima, hai superato gli italiani. Che cosa? Dicevo fra me e me: ma io sono italiana!». Ne parla in casa: «Mia mamma mi disse: non c’è niente di male se ti chiamano straniera, non è un insulto. Io replicai: ma io non mi sento straniera, non nego le mie origini, ma casa mia è in Italia e mi sento italiana. Il Marocco lo adoro, però io lo sento più il Paese dei miei genitori». Così, Lamiaa tira le sue conclusioni: «Adesso per favore chiariamo la faccenda. Non chiamatemi straniera o immigrata. I miei genitori tanti anni fa hanno scelto di emigrare, ma io non ho mai emigrato, sono nata in Italia. Da qua vorrei lanciare un messaggio: concedete la cittadinanza italiana a tutti i nativi, risparmiateci tutti i problemi inutili che non finiscono mai. Lasciateci studiare e costruire il nostro futuro con serenità e ricordatevi che italiani lo sentiamo dentro davvero». Quanto parte, proprio da Reggio Emilia, la campagna per i diritti di cittadinanza L’Italia sono anch’io, Lamiaa ne diventa testimonial. Insieme ad altri ragazzi, nel giugno dell’anno scorso, va a Roma e legge la sua lettera alla Camera dei deputati davanti a Gianfranco Fini. A scuola, gli insegnanti la invitano a parlarne nelle in alcune classi. Lei è contenta che adesso il nuovo ministro Cecile Kyenge abbia rimesso la questione all’ordine del giorno. Ma non è ottimista: «Ho paura che non ce la faccia, vedo che ci sono ancora molte resistenze». Anche la madre Nadia è scettica: «La buona volontà del ministro è lodevole, ma non ho molta fiducia che trovi ascolto in questo governo. Eppure si tratta di un diritto, non di un favore». Bisogna rassegnarsi, allora? Comunque vada, Lamiaa non ha intenzione di mollare: «Io continuerò a sostenere questo obiettivo, perché è una cosa giusta». Idee chiare, come quelle sul suo futuro scolastico: «Alle superiori andrò al liceo di scienze umane, nel corso economico-sociale. All’università vorrei fare giurisprudenza». Nella speranza che, per allora, della giurisprudenza sia entrato a far parte anche un nuovo diritto di cittadinanza
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