Firma la petizione: http://www.avaaz.org/it/oil_in_the_amazon_global/?bRwiHdb&v=21342 http://www.lafrecciaverde.it La tribù Kichwa dell’Isola di Sani ed i signori del petrolio In Ecuador, al confine tra Colombia e Perù, si trova uno dei luoghi con maggior biodiversità del pianeta, la foresta di Yasuni, 982 mila ettari che corrono il rischio di essere travolti dalle compagnie petrolifere interessate ai grandi giacimenti presenti nel sottosuolo. Un ettaro del Parco di Yasuni contiene più specie di piante native di quante ne contengano gli Stati Uniti e il Canada insieme. Conta almeno150 specie di anfibi, 600 di uccelli, 120 di rettili, 4 mila di piante. Dal 1989 è tra le riserve mondiali della biosfera stabilite dall’Unesco. Inoltre confina con la riserva degli Waorani, una popolazione che si è ritirata in un angolo della foresta e chiederebbe solo di poter continuare a vivere come ha fatto per migliaia di anni. Una popolazione, che in virtù dello storico isolamento possiede caratteri unici nel Dna, che gli scienziati, in uno studio appena pubblicato sulla rivista “Heredity”, definiscono eccezionali. La foresta, tanto verde sopra quanto nera sotto, per via degli antichi sedimenti continentali, sotto le radici degli alberi, sotto le palafitte dei pueblos, giace sopra tre potenziali campi di estrazione: Ishpingo-Tambococha-Tiputini. Il presidente Rafael Correa, con la sua iniziativa denominata Yasuni-ITT , sembra seriamente interessato a fare divenire l’intera area come quella di Lago Agrio, nella non lontana regione di Sucumbios. Qui l’intrico delle liane e quello degli oleodotti sono un tutt’uno. Ci sono pozzi di petrolio a cielo aperto circondate dal tanfo di catrame. In alcuni punti basta scavare pochi centimetri e si immerge la mano in un pantano bitumoso, dove l’industria petrolifera sistematicamente si traduce in segregazione e povertà per la popolazione indigena. E a dire che proprio l’inquinamento in tutto il Paese provocato dalla compagnie petrolifere, devastando irreversibilmente preziosi ecosistemi, avevano spinto proprio Rafael Correa a far divenire il suo Paese la prima Nazione al mondo a riconoscere i diritti della “Madre Terra” nella sua Costituzione. Affermando che l’Ecuador non è in vendita, nel Parco Nazionale di Yasuni aveva anche promosso un’iniziativa innovativa che prevede che altri governi diano un contributo monetario all’Ecuador per mantenere il petrolio nel sottosuolo e garantire così la sopravvivenza della foresta pluviale. Ma in questo momento il governo sta per cambiare completamente direzione svendendo i terreni del Parco. Tra pochi giorni alcuni membri del governo cominceranno un tour mondiale per offrire agli investitori stranieri il diritto di trivellare su 4 milioni di ettari di foresta (una superficie più vasta dei Paesi Bassi!). Dei 3,6 miliardi di dollari (la metà del valore del greggio estraibile con l’operazione Yasuni-ITT) in dieci anni chiesti dal presidente Correa al mondo industrializzato, sino ad ora sono arrivati appena 116 milioni di dollari anche se ancora non interamente versati. Appena sufficienti a tenere i pozzi chiusi. Il Presidente aspetta ancora le quote annuali. Attesa che potrebbe fare saltare la sua tentata rivoluzione verde, il patto proposto ai Paesi industrializzati e che, per certi versi, giustifica il cambio di rotta del governo. In tutto questo gli indigeni che da millenni vivono nella foresta sono solo delle comparse. Eclatante è il caso della tribù Kichwa dell’Isola di Sani che si sta coraggiosamente battendo contro la potente compagnia petrolifera Petroamazonas. Una popolazione di 400 anime che si dice pronta a “combattere fino alla morte” per proteggere il proprio territorio: 70.000 ettari di foresta vergine a ridosso del Parco Nazionale Yasuni. Nessun passo indietro tuttavia della Petroamazonas: la compagnia petrolifera ha dichiarato che i lavori di prospezione, sostenuti dall’Esercito, inizieranno e continueranno regolarmente. Il segretario della comunità, Klider Gualinga, ha confermato ancora una volta la propria ferma opposizione all’azione petrolifera; stessa posizione sostenuta da oltre l’80% della popolazione. ”Non vi è alcun accordo; la gente non vuole la compagnia petrolifera, ha commentato Gualinga. Abbiamo deciso di combattere fino alla fine. Ogni proprietario terriero difenderà il proprio territorio anche se è certo che in caso di scontri fisici, la fine sarà tragica”. Lo sciamano del villaggio, Patricio Jipa, ha infine ammesso la gravità della situazione spiegando come, se l’esercito arriverà, come probabile, armato, il conflitto finirà tragicamente. Ma i piccoli proprietari, ribadisce il leader, non si piegheranno al volere delle compagnia e, uniti nella battaglia, non cederanno le proprie terre. Il caso è rimbalzato sui media di tutto il mondo e la piccola tribù ha chiesto aiuto alla comunità Avaaz che si è fatta promotrice di una raccolta di firme per chiedere al presidente Rafael Correa di fermare lo scempio che le potenti imprese petrolifere stanno effettuando nel suo Paese. Ma soprattutto per chiedergli di difendere la Costituzione dell’Ecuador. La prima al mondo che riconosce i diritti dell “Madre Terra”.
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