Originale: Haaretz
Come inizierà la terza intifada La terza intifada sarà scatenata dal soldato che ucciderà un altro bambino, dal procuratore militare che ancora una volta deciderà che l’assassinio era legale, dal burocrate che firmerà l’ordine di demolire una casa, dal comandante di brigata che se ne sta a guardare mentre i coloni picchiano pastori, dal giudice che proroga la custodia preventiva di un altro dimostrante, dal colono che prende a calci una giovane donna. Uno di questi leali rappresentanti della società israeliana e del suo governo sarà ancora una volta la goccia che farà traboccare il vaso. Una di queste azioni violente che loro e decine di migliaia di altri israeliani commettono ogni giorno come una faccenda di routine, tra la preparazione del panino per il figlio, il post su Facebook o la preghiera nella sinagoga, appiccherà l’incendio. I bambini del campo profughi di Jalazun non hanno detto la verità quando hanno detto inizialmente ai giornalisti e ai ricercatori di B’Tselem e della Croce Rossa che non c’erano stati lanci di sassi prima che i soldati sparassero al loro amico Wajih al-Ramahi. E’ così che si proteggono dalla diffusa, dominante e vendicativa menzogna che sono loro i violenti. Gli adulti si chiedono, nel profondo del cuore, se i loro bambini dovrebbero giocarsi la vita per ricordare all’invasore armato che non è un ospite; se sia compito dei bambini ricordare a quelli che si muovono in auto ufficiali a Ramallah che non sono i governanti di paese indipendente. Ramahi, che nel gennaio del 2014 avrebbe compiuto sedici anni, può aver preso parte al lancio di sassi sabato pomeriggio o può essere stato a guardare. I bambini che tiravano sassi erano ad almeno 150 metri da un osservatorio e posizione di tiro militare e da soldati a piedi e forse a 200 metri dalle case più vicine di Beit-El. I soldati non erano in pericolo a quella distanza, né lo erano i coloni. La pallottola mortale sparata da un soldato dell’esercito israeliano ha colpito Wajih alla schiena. Il nome del soldato sarà tenuto celato dal sistema della giustizia militare e dalle convenzioni giornalistiche israeliane, che impongono che il nome di qualsiasi palestinese sia rapidamente rivelato, mentre l’identità dei soldati deve restare protetta. Il soldato ha sparato mentre il ragazzo (definito in Israele un “giovane” perché palestinese) stava scappando, perché i soldati avevano già cominciato a sparare. Non si sono neppure presi il disturbo di usare il gas lacrimogeno. La cosa più importante che sappiamo è che il lancio di sassi è iniziato dopo la comparsa dei soldati e ciò secondo fonti militari. Esse hanno affermato che “una squadra del battaglione Tzabar della brigata Givati era impiegato per cogliere di sorpresa e arrestare chi tirava i sassi. Nel corso dell’attività [i palestinesi] hanno cominciato a tirare sassi contro la squadra e contro israeliani nell’area. Secondo il rapporto il comandante della squadra ha avviato la procedura per arrestare un sospetto e gli spari sono stati soltanto in aria.” Assolutamente tipico. E’ quello che i soldati israeliani fanno da 47 anni e ancora non ne hanno avuto abbastanza: sparano in aria e uccidono bambini e per sottrarsi alla noia si danno a provocazioni, comparendo presso un quartiere civile in uniforme con le loro arroganti armi e jeep, definendo questo ‘sicurezza’. Poi tornano in seno ai prosperi e accoglienti insediamenti. La madre di tutte le provocazioni. Il soldato che ha sparato poteva non sapere che la famiglia Wajih combatte da anni la violenza israeliana. I figli sono attivisti di Fatah che prima di “Oslo” hanno trascorso anni nelle carceri israeliane e per punizione due delle loro case sono state demolite e due sono state sigillate. Nello scorso decennio due dei figli (di 14 e 21 anni) sono stati uccisi dal fuoco dell’esercito israeliano. Tre dei figli, tra cui uno dei fratelli di Wajih, sono ora in carcere in Israele. Il soldato poteva non sapere, nemmeno, e ovviamente non era interessato a sapere, che la famiglia Al-Ramahi è originaria del villaggio di Muzayri’ah, presso Lydd, uno dei 36 villaggi distrutti da Israele dopo la guerra del 1948 i cui profughi oggi vivono a Jalazun. Nel 1994 la famiglia di Wajih aveva appoggiato gli Accordi di Oslo e la “pace” ed era divenuta parte della spina dorsale dell’Autorità Palestinese. I volti spenti, privi di lacrime della famiglia Al-Ramahi dicono che sanno benissimo che con soldati simili e con un simile governo che li domina, altre tragedie, oppressioni e lotte sono in attesa. Da Z Net Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://www.zcommunications.org/how-the-third-intifada-will-start-by-amira-hass.html
|
|