Pubblicato da La Jornada L’opposto dello zapatismo Cento anni fa i campesinos di Emiliano Zapata distribuirono le terre che i governi nati dalla Rivoluzione esitavano a ripartire. Venti anni fa gli indigeni col passamontagna hanno risposto alla controriforma agraria del 1992 e al Trattato neoliberista di libero commercio. Oggi il nuovo governo del vecchio Pri sferra quella che Gustavo Esteva considera la più grave offensiva contro i contadini e il paese intero: la minaccia Ogm sul mais e la sua gente. Ne riparleremo anche in aprile, quando lo scrittore messicano sarà in Italia per un breve periodo. Sabato 13 aprile sarà alla biblioteca Giovenale al centro di un incontro promosso da Comune-info, Casale Podere Rosa, Centro di Cultura Ecologica/Biblioteca «Fabrizio Giovenale», laboratorio urbano Reset, Desinformemonos, Universidad de la Tierra È’ difficile concepire qualcosa di più insensato e irresponsabile, o che abbia più gravi conseguenze, dell’autorizzare la coltivazione commerciale di mais transgenico. Su queste pagine ne ha già mostrato bene l’insensatezza Antonio Turrent (La Jornada, 11/1/13). Nelle zone in cui si propone di impiegarla, tre milioni di ettari delle migliori terre coltivate a mais del Messico, la coltivazione transgenica non farebbe crescere la produzione. La contaminazione Ogm distruggerebbe le capacità produttive su 5 milioni di ettari, nei quali possono prosperare solo varietà native specializzate, createsi nel corso dei millenni, dalle quali dipendono milioni di famiglie contadine e buona parte dell’alimentazione messicana. La decisione del governo continua una tradizione irresponsabile che cerca di eliminare la base contadina del paese. La Costituzione del 1917 fu l’espressione di un impegno. Le tendenze antiagricole si fecero sentire immediatamente e culminarono nel 1928. Poco dopo aver fondato la prima formulazione del Partido Revolucionario Institucional (Pri), Calles annunciò la fine della ripartizione delle terre. Si sarebbe fissato un breve periodo nel quale i popoli potevano chiederle. Dopo questo termine, “nemmeno una parola in più sul privato. Quindi dare garanzie a tutti, piccoli e grandi agricoltori, affinché sorgano l’iniziativa e il credito pubblico”. Secondo Calles, la ripartizione conduceva i contadini al disastro, perché (così facendo, ndt) «creiamo pretese e fomentiamo la loro pigrizia». «Se vogliamo essere sinceri con noi stessi, dobbiamo confessare, noi figli della Rivoluzione, che il ruralismo, così come lo abbiamo inteso e praticato fino ad ora, è un fallimento (…). Abbiamo concesso terre a destra e sinistra, senza che esse producessero nulla se non la creazione di un impegno terribile per la nazione». Quella ripartizione «a destra e sinistra», tra il 1917 e il 1930, consegnò soltanto la decima parte delle terre possedute dalle haciendas e spesso si ridusse a riconoscere la ripartizione effettuata dagli stessi contadini, principalmente dagli zapatisti. Il messaggio di Calles non rimase senza risposta. La Lega nazionale contadina, che lottava per gli obiettivi agricoli della Rivoluzione e sosteneva lo scontro radicale con il latifondo, si pose alla testa di un movimento che si proponeva di serrare le file contadine. Nel 1934, quel movimento produsse una svolta nelle politiche ufficiali nel riprendere, con Cárdenas, il respiro ruralista e il sostegno ai contadini. La “rivoluzione verde” non riuscì a ostacolarlo e il cambiamento perdurò con alti e bassi per vari decenni. Quel che si prepara adesso è ancora più grave dell’offensiva neoliberista scatenata nel 1982. De la Madrid cominciò a smantellare l’apparato di sostegno ai contadini. Nel 1991, Hank dichiarò cinicamente che il suo dovere come ministro dell’agricoltura era di scacciare dalle campagne 10 milioni di contadini. Non appena assunse l’incarico come ministro dell’agricoltura di Fox, Usabiaga aumentò l’obiettivo degli sgomberi portandolo a 20 milioni, La decisione (di autorizzare la coltivazione commercial del mais Ogm, ndt) sarebbe ancor più grave della controriforma costituzionale del 1992, perché i contadini hanno sempre mantenuto la possibilità di conservare le loro terre. Con gli Ogm questa opzione non esisterebbe. Il nostro mais, in tutta la sua ricchezza, cesserebbe di esistere; e con il mais cesserebbero letteralmente di esistere anche i contadini e il paese. Il detto «Sin maíz no hay país», (senza mais non c’è paese, ndt), coniato da Marco Díaz León, è stato adottato nel 2003 da una campagna nazionale che è in piedi ancora oggi. Non è una semplice affermazione formale. Definisce una storia e due progetti politici contrapposti. Malgrado l’impegno a disfarsi dei contadini, il loro numero è più grande che mai. Malgrado l’impegno a distruggerla per sostituirla con gli scarti del grano, la tortilla di mais continua da essere una componente centrale della dieta messicana. Chiamarci “gente di mais” non è soltanto una bella metafora. Qui abbiamo inventato il mais e qui il mais ci ha inventati. Quanto più riusciamo saperne, più riusciremo a conoscerci. Disfarsi adesso dei contadini non serve soltanto, come è stato sempre, al regno dell’agricoltura industriale nazionale e straniera. Ora è una condizione dell’espropriazione che fa parte dell’ondata mondiale di occupazione delle terre per sfruttamenti selvaggi che cercano di far uscire il capitale dalla difficile situazione in cui si trova. Cento anni fa gli zapatisti realizzarono direttamente la ripartizione che i governi nati dalla Rivoluzione volevano rinviare. Nel 1994 i nuovi zapatisti fecero in modo che la ripartizione agricola arrivasse finalmente in Chiapas in quella che fu una degna risposta alla controriforma del 1992 e all’entrata in vigore del Trattato nordamericano di libero commercio. Con il 1994 zapatista è cominciata la prima tappa mondiale delle lotte contro la globalizzazione neoliberista. Quello che il governo tenta di fare oggi non è solo il contrario di quelle tradizioni zapatiste. Sarebbe spararsi sui piedi, perché la base contadina che vuole eliminare è sempre stata un sostegno del Pri. Sarebbe anche scegliere il cammino della distruzione nazionale: usare le fondamenta per fare un tetto falso. E sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso: l’aggressione che il popolo messicano non potrebbe sopportare.
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