eddyburg.it Recuperare, coltivare, ascoltare Il testo è l’intervento al Consiglio del Veneto, la regione più cementificata d’Italia, del 3 settembre 2013, a conclusione del digiuno contro il disinteresse per l’ambiente, le grandi opere in project financing e l’inerzia culturale nella tutela del territorio. Un grazie molto sentito e sincero al presidente Clodovaldo Ruffato e un saluto molto cordiale a tutti voi. In questi giorni ho pensato molto a questo incontro per dare al grido del digiuno non un significato di contrapposizione, ma di coinvolgimento. Lo sapete che il digiuno prolungato mette le persone in uno stato di grande debolezza fisica per cui costituzionalmente si ha bisogno degli altri e qui anche istituzionalmente. Voi forse vi aspettate che venga subito al nocciolo per quanto concerne la nostra Regione, il campo dove lavorate come nostri rappresentanti. Invece sono obbligato da un’altra partenza. Non spetta a me e nemmeno sono competente per suggerire soluzioni tecniche. Ho scelto di esporvi il mio travaglio, senza pretese, ma con grande schiettezza pur nel rispetto e nella riconoscenza per quello che ognuno di voi cerca di realizzare per il bene comune. Tenete presente che da anni la mia attività si muove su due versanti: quello sociale con le situazioni più povere e precarie; nello specifico oggi con le persone che hanno perso il lavoro e il settore dei sinti e rom. Sul versante politico alcuni interventi di interposizione nonviolenta in zone di conflitto armato ed educazione alla nonviolenza e alla pace; anche conoscenza e partecipazione alle attività di molti comitati ambientali grazie al servizio di informazione con Radio Cooperativa. Il mio digiuno è partito alla chetichella la sera di ferragosto, ma è stato come avessi levato il tappo a una bottiglia. Esiste una sofferenza diffusa per quanto concerne le scelte ambientali. Non avrei mai pensato che il digiuno sarebbe stato scelto come modo di impegnarsi per l’ambiente e per sensibilizzare la popolazione. Vengo al mio percorso. Quello che mi ha scioccato da due anni a questa parte sono due dati uno generale e uno locale. 1. Il pianeta Cito: “Ci troviamo di fronte a una svolta nella storia del pianeta, in un momento in cui l’umanità deve scegliere il suo futuro (…) La scelta sta a noi: o creiamo un’alleanza globale per proteggere la Terra e occuparci gli uni degli altri, oppure rischiamo la distruzione, la nostra e quella della diversità della vita”. Ho citato dalla “Carta della Terra”. Le due principali fonti di distruzione: a) la macchina di morte della tecno-scienza: armi nucleari, chimiche e biologiche (25 modi diversi per distruggere l’umanità) b) il caos che abbiamo creato nel sistema Terra e che si manifesta attraverso il riscaldamento globale. Negli ultimi 5 anni si sta registrando, non solo il disgelo delle calotte polari, ma anche lo scioglimento del permafrost, il suolo perennemente ghiacciato del Canada e della Russia, con l’immissione in atmosfera di milioni di tonnellate di metano, che è 23 volte più dannoso dell’anidride carbonica per l’effetto serra. L’ossido nitroso, liberato dai fertilizzanti è 40 volte più distruttivo. Secondo l’ultimo rapporto ONU di valutazione degli Ecosistemi del Millennio, dei 24 elementi che sono fondamentali per la vita, 15 registrano un elevato grado di degenerazione; il pianeta è esausto, la madre Terra ha raggiunto il limite di sopportazione. Il 20 agosto scorso l’umanità ha esaurito le risorse naturali che aveva a disposizione per l’intero 2013; in meno di 8 mesi sono state consumate le riserve di cibo (vegetale e animale), acqua e materia prime che sarebbero dovute bastare fino al 31 dicembre, immettendo nell’ambiente (suolo, fiumi, mari, atmosfera) una quantità di rifiuti e inquinanti superiore alla capacità di smaltimento del pianeta. Questi dati, probabilmente noti a molti di voi, li sentite come una notizia pur importante o come una emergenza reale? E se è vera emergenza va affrontata direttamente e subito, o dobbiamo aspettare che tutti siano d’accordo per partire? Quelli forniti non sono sentimenti, sono dati. Questo mondo in cui siamo cresciuti è finito, la crisi sta imprimendo un velocità imprevedibile. Qualcuno pensa che in qualche modo la crescita sarà una via d’uscita? Questa crisi non è solo economico finanziaria, è entropica. Il pianeta così come stanno le cose, oggettivamente non ce la fa più. 2. Il Veneto Vengo al secondo dato: il Veneto. La mia origine è stata segnata dall’appartenenza alla Terra. I miei genitori, che vivevano da fittavoli in una grande famiglia patriarcale, hanno scelto di passare a una condizione di mezzadri pur di crescere una famiglia come sembrava loro giusto. La penultima categoria della società, dopo c’erano i braccianti. Devo confessarvi che i dati riguardanti il consumo di suolo nel Veneto per me sono stati alla base della decisione del digiuno, perché sono direttamente collegati a quanto riferito sopra sulla situazione globale. Il Veneto è una delle Regioni più attive nel mondo nell’affaticare il pianeta. C’è stata una crescita esponenziale delle infrastrutture viarie e delle urbanizzazioni, una crescita indifferente alla storia, alla natura dei luoghi e ai valori del paesaggio veneto, accompagnata dalla polverizzazione delle imprese diffuse ovunque, che hanno comportato la dispersione insediativa e la conseguente congestione delle infrastrutture della mobilità. La cementificazione dei suoli riguarda quindi anche i terreni più fertili della pianura veneta, mentre la costruzione di sempre nuove strade, autostrade e superstrade, svincoli e tangenziali hanno determinato una ulteriore frammentazione degli spazi destinati all’agricoltura. È stato un crescendo dagli anni 80 in poi: dai 72 milioni di mq all’anno di perdita di Suolo Agrario Utilizzato degli anni Ottanta, ai 97 milioni mq/anno negli anni Novanta, ai 182 milioni mq/anno dal 2000 in poi. Un consumo di suolo pari a 38 ettari al giorno. Tra il 2000 e 2010, a fronte di un incremento della popolazione di 429.274 abitanti, sono state costruite 367.354 nuove abitazioni per una popolazione di 1 milione di abitanti. Il Veneto così risulta la regione più cementificata d’Italia. Un modello di sviluppo la cui insostenibilità viene evidenziata anche dai dati relativi all’impronta ecologica dei suoi abitanti . Nel 2009 al Piano Regionale di Coordinamento (PTRC) si riscontra che, a fronte di una media nazionale pari a 4,2 ettari pro capite/anno, l’impronta ecologica degli abitanti del Veneto è pari a 6,43 ettari pro capite/anno . Cioè per sostenere i consumi e assorbire l’inquinamento di ogni abitante veneto sono necessari 6,43 ettari di terreni “biologicamente attivi”. Ma la “bio-capacità” del Veneto è pari a 1,62 ettari/abitante, quindi un “deficit ecologico” di 4,81 ettari pro capite/anno; deficit finora compensato con lo sfruttamento di risorse di altre regioni e continenti, ma che è facile prevedere, con la rapida crescita economica di Paesi emergenti, non sarà più praticabile in un prossimo futuro. Il Veneto già oggi non ha l’autosufficienza alimentare. So che conoscete bene i dati che vi ho esposto. Ma averli tutti davanti rimane comunque indispensabile per guardare a quello che stiamo facendo e cercare di trovare risposte per andare avanti. Sono cifre che basta conoscere o cifre che ci impongono una svolta? È in emergenza reale anche il Veneto o si trova soltanto in una situazione un po’ critica? Al camper durante il digiuno erano appesi i 30 progetti iniziati o in partenza di strade e autostrade, i vari poli ospedalieri e le opere marittime. Non c’erano Veneto city Tessera city Motor city né le cave, le discariche (a parte quella di Vianelle) le centrali idroelettriche, a biogas, a biomasse, né i dati rispetto alla fragilità idrica del territorio e all’inquinamento dell’aria. La pianura padana è una delle zone più inquinate e inquinanti d’Europa. E pensare che a livello comunitario al 2050 dovremo ridurre del 70% il consumo energetico nei trasporti rispetto al 2009 e ridurre del 60% le emissioni di gas climalteranti rispetto al 2008! Un documento della Chiesa italiana del settembre 2012 è intitolato “Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della Terra” e testualmente dice: “Ritessere l’alleanza tra l’uomo e il creato significa anche affrontare con decisione i problemi aperti e i nodi particolarmente delicati, che mostrano quanto ampie e complesse siano le questioni legate all’intreccio tra realtà ambientale e comunità umana”. Accanto all’annuncio infatti, è necessaria anche la denuncia di ciò che viola per avidità la sacralità della vita e il dono della Terra”. E continua: “L’ambiente naturale non è una materia di cui disporre a piacimento, ma un’opera mirabile del Creatore, recanti in sé una grammatica che indica finalità e criteri per un uso sapiente, non strumentale e arbitrario.” Veniamo tutti da un pensiero unico e cioè che lo sviluppo e la modernità ruotano attorno alla centralità dell’economia e della finanza, per cui anche il futuro si apre se saremo capaci ancora di crescita quantitativa. Direi che siamo prigionieri, chi più chi meno, di questa concezione. A chi di noi è mai venuto in mente di prendere sul serio il punto di vista della Terra e dei suoi diritti, l’organismo vivo che fornisce gli elementi della vita a tutti gli altri esseri, viventi, noi compresi? Mettiamoci con sincerità davanti a tutte le opere pubbliche e private, Mose compreso. Quante appartengono alla programmazione politica per un servizio alla popolazione e alla cura del paesaggio, quante invece rispondono allo sviluppo e al consolidamento di interessi di grandi gruppi della finanza e dell’economia? Vedete come i conti non tornano per gli enti pubblici, né a livello nazionale né a livello degli Enti locali. Sono sempre meno le risorse a disposizione. Eppure tanti privati si offrono a investire; per chi? Per il bene comune? Si fa sempre più ricorso al project financing pensando a benefici pubblici: un assunto del tutto falso. I privati realizzeranno le opere solo se l’Amministrazione pubblica si impegna a coprire i costi, anche qualora gli investimenti fossero maggiori del previsto o il traffico (nel caso delle opere viarie) minore del previsto. Dunque per i privati proponenti, rischio zero e guadagno certo. Per la collettività, utilità incerta e altissimo rischio di costruzione di un debito differito di ingenti proporzioni, addossato alle future generazioni. Questo è il nodo centrale, questo è il futuro. Progetti partiti in tempi ormai lontani e che non rispondono né ai servizi veri per la popolazione, né al restauro e alla bellezza del territorio e del paesaggio. Andando di questo passo non vi pare che di usufruibile gratuitamente da tutta la popolazione non rimarrà più niente neanche spostarsi da una località all’altra? Sono in programma anche campi da golf, naturalmente con villette attorno e solo per ricchi… Sto pensando al recupero fatto nelle città medioevali dell’Umbria, della Toscana, delle Marche. A tutti noi si allarga il cuore per questi scrigni recuperati e conservati di città e borghi. Perché deprezziamo il Veneto così ricco di arte, di gioielli disseminati ovunque e spesso ormai abbandonati, con bellezze naturali ineguagliabili e produzioni agricole di pregio? Nostalgia rivolta al passato o valore aggiunto per il futuro? Perché il territorio e il paesaggio in quanto tali non diventano il centro di interesse collettivo, capace di attirare gli investimenti necessari per mettere in sicurezza il sistema acqua bene comune, invece di fare le scelte più impattanti, mettendo a rischio le falde e le ricariche e rubando suolo alle coltivazioni? Perché non è possibile un piano trasporti integrato ferrovia-strade a partire dai bisogni della popolazione, che si sposta sempre più con i mezzi pubblici per necessità, invece di privilegiare solo la fetta ricca della società, con Tav e fantomatici corridoi, che esistono solo nella testa di alcuni politici, ma certamente non nella realtà né all’est né all’ovest dell’Italia? Eppure una pioggia di miliardi. Perché non consolidare e rendere più efficiente e meglio coordinato l’esistente con un’occupazione costante? Sappiamo tutti che ci sono molte falle di trasparenza e di legalità, conflitti di interessi in atto, non solo per il Mose. È una questione morale ineludibile, anche per il rischio ormai documentato di infiltrazioni mafiose. Quanto avvenuto con gli ingegneri Baita e Mazzacurati non è un incidente di percorso; è la creazione e il funzionamento di un sistema di corruzione ramificato e stabilizzato. Ho domandato ormai a tutti; nessuno mi ha fornito una risposta. Perché né ai parlamentari, né ai senatori, né ai consiglieri regionali è stato finora possibile accedere ai dati riguardanti il piano economico di un’opera pubblica della portata dell’autostrada pedemontana veneta? È un’opera pubblica; dovrebbe essere un diritto poter accedere agli atti. Ci sono due sentenze del Tar consolidate rispetto al mantenimento del commissario Silvano Vernizzi, che personalmente non conosco e che può essere la persona più straordinaria di questo mondo, ma che di fatto ricopre ruoli (presidente Veneto Strade e responsabile delle valutazioni del Via) che comportano evidente conflitto di interessi. Sapete che dopo le sentenze del Tar e il decreto del governo Monti di riconferma del commissario si è aperta una eccezione di costituzionalità che finirà alla Corte Costituzionale. Penso sarebbe più onorevole per tutti, prima di tutto per l’istituzione regionale, mantenere il controllo e la vigilanza in corso d’opera invece che dover affrontare amare sorprese con perdita secca di credibilità a opera compiuta! Sarebbe veramente triste pensare che il palinsesto e il calendario della politica debbano dipendere dalle sentenze dei tribunali. C’è un altro problema cruciale: il lavoro. Da sempre viene riproposto solo con le grandi opere pubbliche o private, con i grandi investimenti ad alto impatto ambientale e con ricavi esclusivamente a vantaggio dei privati. Sapete che c’è molta propaganda per giustificare scelte, che non sono per il bene della collettività. Ci sono esempi ormai eclatanti di modalità di lavoro diffuso, che concilia maggior risparmio e maggiore occupazione. Faccio un semplice esempio. Con un miliardo di euro di investimento in raccolta differenziata spinta (porta a porta) e riciclo, si creano 200 mila posti di lavoro permanente. Per gestire la stessa quantità di rifiuti con l’incenerimento il costo si aggira sui 15 miliardi di euro con 3000 occupati. Per l’occupazione, con la stessa spesa, c’è un rapporto di 1 a 1000 senza ricorrere a grandi opere. È quanto avvenuto a Ponte nelle Alpi: riciclo oltre il 90%; costo smaltimento rifiuti da 475.000 euro/anno a 40.000; occupazione da 5 operai a 13; con soddisfazione dei cittadini. Oltre al Presidente di questo Consiglio regionale al camper del digiuno sono venuti altri rappresentanti politici di vari partiti. Mi sembra di capire che la linea sia quella di portare a termine quanto approvato e poi, un po’ alla volta rivedere programmi e progetti. Siamo di fronte a un impoverimento della popolazione sempre più veloce e diffuso. Partiamo dalle opere o partiamo dalle persone per affrontare la crisi? Non è problema di poco conto, sia per riorganizzare i servizi sociali nei singoli Comuni, che quelli sanitari e ambientali. Una volta detto alle persone che sono esauriti i fondi per l’assistenza, non sono risolti i problemi, anzi. Rischiamo a breve di trovarci con una società a due velocità e con il rischio di conflitti sempre più forti per le necessità dei più poveri. Per questo vi supplico di esercitare la vostra responsabilità umana e istituzionale verso tutti i cittadini: a partire dal riconoscimento dell’emergenza sociale e ambientale del Veneto (siamo in una crisi entropica e non solo strutturale) diamo un segnale di grande discontinuità con una moratoria su tutte le opere pubbliche e private che comportano un’ulteriore sottrazione di suolo coltivabile e una devastante colata di cemento e asfalto, snaturando ancora di più la realtà e la vocazione agricola del Veneto. I saperi dei comitati Infine una parola sui comitati. Da anni con Radio Cooperativa ho avuto modo di seguirne le vicende. Generalmente si tenta di liquidarli tacciandoli di negatività fine a se stessa. Devo confessare che, mai come in questi anni, i comitati hanno sviluppato competenze tecniche e giuridiche e soprattutto sono stati aperti al dialogo, se viene accettato, per offrire alternative. Tante volte mi sono domandato perché non venga preso in considerazione la ragionevolezza delle loro proposte, sapendo che nessuno di loro lavora per interessi privati o particolari. Per me sono le sentinelle e i parafulmini della società e della Terra. Veramente la passione per il bene comune ha guidato in questi anni la loro attività e la loro dedizione. Se la vitalità della democrazia si misura dalla partecipazione attiva alle scelte importanti per tutti, dobbiamo ai comitati grande riconoscenza. Vi prego di accogliere quanto esposto non come una pretesa, ma come una preghiera pressante. Di nuovo grazie per avermi accolto e ascoltato. . . .
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