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Tutto quello che c’è da sapere sulla nave di Greenpeace fermata dalla Russia
La storia della nave Arctic Sunrise dall'assalto alla piattaforma petrolifera di Gazprom all'accusa (folle) di trasportare droghe pesanti a bordo (video e foto) Il braccio di ferro tra Mosca e Greenpeace va avanti. Ieri le autorità russe hanno riferito di aver rinvenuto droghe pesanti a bordo della Arctic Sunrise, la nave battente bandiera olandese a bordo della quale trenta attivisti dell’organizzazione ecologista avevano ingaggiato nei giorni scorsi una protesta contro una piattaforma petrolifera di Gazprom, fissata al fondale del Mar di Barents. Due di loro avevano cercato di scalarla. La guardia costiera russa è intervenuta, frustrando il loro tentativo, prendendo in consegna la Arctic Sunrise e portando l’equipaggio nella città portuale di Murmansk. Lì gli attivisti sono stati sottoposti a provvedimento di custodia cautelare, in attesa che la magistratura indagasse sulla questione. Successivamente i togati hanno formalizzato l’accusa di piraterie nei confronti di oltre venti membri dell’equipaggio. Tra questi un italiano, Cristian D’Alessandro. Il tribunale di Murmansk potrebbe ora accusare gli esponenti di Greenpeace di possesso di stupefacenti. Cosa che, secondo l’organizzazione, non sta né in cielo né in terra. Come l’accusa di pirateria. La scalata Ma questa storia è complessa, e per capirla bisogna partire dall’inizio. Dal 18 settembre. Il giorno della protesta e dell’intervento della guardia costiera. Questo che segue è il video della tentata scalata alla piattaforma, effettuata da due attivisti, recativi in prossimità del bestione a bordo di un gommone. Il motivo dell’iniziativa? Greenpeace contesta lo sfruttamento dei fondali del Mar di Barents, resi accessibili dal progressivo scioglimento dei ghiacci. L’obiettivo di Mosca è compensare, con le trivellazioni offshore, il calo di produttività registrato nei giacimenti della Siberia, abbondantemente sfruttati. Con Gazprom è attivo anche l’altro colosso russo dell’energia, Rosneft. Nel marzo scorso è divenuta la più grande compagnia al mondo, dopo l’acquisizione del consorzio russo-britannico Tnk-Bp, più volte tentata, non senza pressioni, negli ultimi anni. A capo di Rosneft c’è Igor Sechin, uno degli uomini più vicini a Vladimir Putin, esponente di spicco della corrente conservatrice dell’establishment russo. È proprio Sechin che nel 2012 ha concesso nel bacino di Barents licenze esplorative a diverse compagnie internazionali, determinando la prima, grande apertura di Mosca sul fronte dell’energia (all’epoca riportata da Europa). Assieme all’american Exxon e alla norvegese Statoil, anche l’Eni fu tra le beneficiarie. Il patto alla base di questa svolta? Dare alle compagnie straniere un pezzo della torta, in cambio di tecnologia e partecipazioni in alcuni dei loro progetti internazionali, come precisa anche un recente comunicato del cane a sei zampe. In ogni caso, tornando alla protesta del 18 settembre, la scalata alla piattaforma fu disincentivata dai getti d’acqua lanciati dall’alto della struttura sugli attivisti recativisi a ridosso con dei gommoni e dall’arrivo della guardia costiera russa, che intervenne senza troppi complimenti, come si può vedere dal video qui sotto, sparando anche dei colpi d’avvertimento. Attivisti o pirati? Il giorno dopo la guardia costiera russa ha abbordato la Arctic Sunrise, prendendola in consegna e trasferendone l’equipaggio a Murmansk. Un’azione illegale, secondo Greenpeace, dal momento che la nave sostava in acque internazionali. A Murmansk più di venti dei trenta attivisti sedici le nazionalità in tutto rappresentate sono stati sottoposti a un provvedimento di custodia cautelare della durata di due mesi, emesso nell’attesa che i giudici verificassero la sussistenza dell’accusa di pirateria, da subito tirata in ballo. Il riferimento a questo reato, secondo molti giuristi, non ha senso. È che secondo lo stesso ordinamento russo prevede che la fattispecie emerga nel momento in cui si compie un’azione finalizzata a prendere il possesso di un’imbarcazione, come spiegato dal sito di Russia Oggi, l’inserto mensile allegato a Repubblica. E la piattaforma di Gazprom, essendo fissata al fondale marino, non lo è. Lo stesso Putin ha manifestato dubbi sull’accusa, che se confermata a processo può portare a una condanna fino a quindici anni. Gli attivisti di Greenpeace non sono pirati, ma questo sì hanno violato la sovranità della Russia e le leggi marittime internazionali. Greenpeace ha sempre respinto anche questa lettura, spiegando che la Arctic Sunrise, nel momento in cui i due attivisti hanno tentato di salire sulla piattaforma di Gazprom, sostava a tre miglia nautiche dalla struttura, rispettando dunque il limite tra acque territoriali e acque internazionali. Ma questo poco conta, visto che il 2 ottobre il tribunale di Murmansk, a sorpresa, visto che Putin stesso s’era pronunciato sulla faccenda, ha formalizzato l’accusa di pirateria nei confronti degli attivisti. Tra questi c’è Denis Sinyakov. Fotografo. Greenpeace dice che stava lì a fare il suo mestiere: raccontare le cose dietro l’obiettivo. Dunque i russi hanno violato la libertà di stampa. A favore di Sinyakov è partita una mobilitazione da parte dei media liberali di Mosca, che in segno di protesta contro la sua detenzione non hanno pubblicato foto nella homepage (gallery tratta da dvaphoto.com).
Tra le altre persone formalmente incriminate figura anche l’italiano Cristian D’Alessandro. L’Huffington Post ha dato risalto alla sua storia, sentendo i genitori. Per la sua liberazione, come riferito da Europa, ci si è iniziati a mobilitare. Farnesina e Parlamento si stanno muovendo in questa direzione. Quella volta in Nuova Zelanda Anche il capitano della Arctic Sunrise, Peter Henry Wilcox, è in cella con l’accusa di pirateria. Wilcox è un veterano di Greenpeace e comandava nel 1985 la Rainbow Warrior, la nave dell’organizzazione che all’epoca protestava contro i test nucleari francesi nell’atollo di Mururoa, nel Pacifico. Successe che l’imbarcazione, ormeggiata nel porto di Auckland, in Nuova Zelanda, fu fatta saltare in aria dall’intelligence di Parigi, in quello che secondo Greenpeace è stato, assieme alla vicenda della Arctic Sunrise, il peggiore affronto mai subito nella storia dell’associazione. Dal passato alla cronaca più recente. Che dice che a bordo della Arctic Sunrise sono state ritrovate droghe pesanti. Oppio, morfina. Da qui la nuova, possibile accusa da scagliare contro i membri dell’equipaggio: possesso di stupefacenti. Greenpeace, logicamente, nega. A bordo c’erano solo medicinali base. Gli stessi di cui ogni nave, prima di salpare, fa scorta.
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