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Sperimentare nuove forme di mutualismo Uscire dalla crisi insieme. Sperimentare nuovi meccanismi di mutualismo, senza rassegnarsi allo smontaggio del welfare che la politica sta attuando a colpi di forbici. Costruire insieme una regia politica diversa, a partire dalle cose che avevamo già capito ai tempi del primo Forum sociale europeo di Firenze, arricchendole con le lezioni del fare che abbiamo imparato in questi anni, anche costruendo laboratori misti di riflessione e azione come Terra Futura. Ugo Biggeri, fiorentino, classe ’66, tre figli e abitazione condivisa al Mugello (Firenze) in una comunità di famiglie con progetti di accoglienza dell’associazione Le Case onlus, Terra Futura se l’è inventata insieme ad altri, e oggi, da presidente di Banca Etica di cui è stato socio fondatore, vede avverarsi tutte le profezie di sciagura e crisi ventura che, come ricercatore e attivista, aveva pure contribuito a prefigurare fin dai tempi di Seattle. Oggi, Ugo, non si può nemmeno godere della tranquillità di chi ormai sa di avere avuto ragione, quando si additavano le probabili derive del neoliberismo. La politica, infatti, sembra ancora miope, arroccata in letture e posizioni di retroguardia. Dall’osservatorio privilegiato di Banca etica, che dimensione ha la crisi? E che faccia ha la politica che dovrebbe affrontarla? E’ evidente che stanno saltando dei meccanismi di welfare che si erano consolidati, e dei meccanismi positivi di interazione tra pubblico e privato. Paradossalmente stanno quasi saltando per primi questi ultimi, piuttosto che le forme più desuete e assistenziali. Questo è un problema generale che come Banca etica tocchiamo con mano. Tutto sommato il mondo del Terzo settore e della cooperazione sociale si confermano ancora resilienti alla crisi, ma banalmente le sofferenze sui nostri crediti sono passate dallo 0,9 per cento lordo all’1,2 per cento. Siamo ben al di sotto dei tassi medi delle altre banche che si aggirano intorno al 6 per cento, siamo una delle banche in Italia più efficienti e sicure ma non possiamo negare che un cambiamento ci sia stato. Questo indica che il Terzo settore e la cooperazione, i nostri principali clienti, fanno fatica, e una delle ragioni di questa fatica va cercata proprio nel fatto che non solo c’è meno welfare, ma c’è meno welfare partecipato che era, paradossalmente, quello che costava meno allo Stato e agli Enti pubblici. Possiamo guardare all’Europa con qualche speranza? Non credo. A livello europeo c’è molta disattenzione non tanto sulle politiche da mettere in atto per arginare la crisi, quanto a quelle che ci aiuterebbero a controllare e rimuovere le cause della crisi stessa. Sulle questioni, ad esempio, della regolamentazione finanziaria non si è fatto niente di accettabile nonostante ci siano posizioni e rapporti scientifici che ci indicano alcuni meccanismi risolutivi che, a partire ad esempio dalla Tobin Tax, non siamo poi riusciti a mettere in campo se non in modo del tutto parziale e insoddisfacente. Figuriamoci la povera Italia in questo contesto! La discussione politica anche in Italia ragiona su dove mettere in atto i tagli e recuperare risorse, ma è chiaro che non c’è una discussione profonda su come evitare che la crisi si ripeta nel futuro. Sembra che parliamo di una sciagura della natura, non di un fallimento di un modello di funzionamento della finanza e dei mercati. Banca etica ha sofferto meno la crisi perché ha messo in atto politiche più trasparenti e sicure di investimento. E’ possibile che questo modello non riesca a fare scuola neppure davanti all’evidenza del fallimento delle altre ricette, come mai? Banca etica ha avuto dei tassi di crescita brillanti in questo ultimo quinquennio di crisi. Quasi tutti gli indicatori sono aumentati intorno al 20 per cento, cosa interessante è che tutte le banche più piccole e quelle che hanno prestato attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale hanno avuto risultati comparabili. In tutti i Paesi in cui questo fenomeno è diffuso, queste banche stanno meglio delle altre. Però questo è un dato di cui non si tiene minimamente conto, nemmeno facendo la tara sugli impatti considerate le loro dimensioni più ridotte. E’ un fatto indicativo di quello che sta già succedendo. L’Italia sta affrontando una fase politica nuova e molto difficile. Avete come Banca etica delle indicazioni, delle aspettative rispetto al nuovo governo, o almeno un’agenda di cose da fare subito, almeno per buon senso? La prima priorità è proprio non smontare i meccanismi del welfare partecipato, perché diversamente non si daranno risposte che non siano di puro mercato, nonostante la profonda tradizione mutualistica che pure l’Italia ha. Dovremmo provare a vedere se con una regia pubblica e con risorse pubbliche, magari anche più limitate del passato, si possano favorire dei meccanismi mutualistici che ci permettano di sperimentare nuove forme di welfare. Mutualità è una parola da riscoprire, o da reinventare, comunque da riconsiderare se non vogliamo che i diritti e i bisogni delle persone siano soddisfatti solo dalle multinazionali. Esiste uno spazio intermedio, ne abbiamo la certezza, l’Italia è forte in questo, potrebbe fare la differenza soprattutto in ambito istituzionale. Nella cooperazione e nel Terzo settore, che pure sappiamo quanto resistano al cambiamento, anche solo per disperazione si stanno facendo dei tentativi che trovano anche in Europa riscontro e interesse. Speriamo che arrivino anche in Italia. Lo scivolamento di ampie fasce di tessuto economico locale verso l’economia informale, nel peggiore scenario verso quella illegale, ma anche tutta l’autorganizzazione che si moltiplica all’ombra della crisi, è ineluttabile oppure è possibile trovare dei nuovi meccanismi di organizzazione, di tutela? Occorre avere il coraggio di distinguere tra i diversi attori del mercato. E agire anche normativamente di conseguenza. L’ipocrisia che vuole che tutte le imprese e le partite iva siano uguali è la stessa che impone le stesse regole per tutti indipendentemente da dimensioni, capitali, potenza. Il risultato lo vediamo in tantissimi settori, compreso quelle delle banche in cui piccoli istituti, come pure Banca etica, sono chiamati a rispondere alle stesse regole e allo stesso modo in cui rispondono grandi gruppi, magari multinazionali, con attività di speculazione intense. Eppure a valutare la realtà sono state le banche cooperative che in Europa hanno sostenuto il tessuto economico reale, la piccola e media impresa. La stessa cosa succede per le nuove forme di economia. E’ vero che lo scivolamento verso l’informalità è di per se’ un indicatore negativo, ma potrebbe fornire anche l’occasione per sperimentare un approccio a meccanismi mutualistici che partendo dal basso ottenga alcune semplificazioni normative che mettano un freno all’immersione totale, al nero. Favorire piccole realtà che si autorganizzano, varare, dopo due anni che giacciono, i decreti attuativi che regolano il microcredito, per ottenerne una versione più moderna, agile anche in Italia, sarebbe importante e c’è disattenzione. Per noi, ad esempio, l’imposta sul deposito titoli che tasssa le azioni di Banca etica come un investimento in un edge fund di una qualsiasi altra banca, non è un esempio di come favorire l’economia reale. E questa è una battaglia che ci vede vicino a Banca di Sondrio e Federcasse, in un ragionamento di buon senso in un momento di generale difficoltà. Terra Futura, che hai ideato insieme ad altri, apre quest’anno una fase importante che guarda all’Europa. E’ stata una vetrina ma anche un laboratorio in cui un futuro più sostenibile per tutti ha preso concretezza di pratiche e di politiche. Nel cuore della crisi può essere uno spazio visionario nel quale immaginare ancora un futuro, oltre la crisi, oppure deve ridimensionare le proprie aspettative? Terra Futura ha giocato un ruolo di apripista: oggi in Italia ci sono decine di iniziative, di diverse dimensione, dove territori, amministratori locali, imprese e cittadini mostrano le potenzialità dell’altra economia. Credo questo si debba a quella intuizione iniziale che ci portò a dire, dopo il primo Forum sociale europeo celebrato a Firenze, che bisognava mostrare le realizzazioni pratiche dei modelli anche teorici che i movimenti condividevano. Credo che quella fase sia esaurita, ma non perché non ci siano più progetti da mettere in campo, visto che molte delle cose che dicevamo si sono avverate. Credo che il messaggio di uscire dalla crisi insieme, del fare insieme, di ragionare rompendo il meccanismo della pura scelta individuale a partire dalla nostra vita, e concordando una regia politica comune, sia ciò di cui abbiamo gran bisogno. Non tanto da parte di Terra Futura, ma come messaggio di fondo da far partire da tutti i luoghi che ci vedono insieme, a partire da lì.
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