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09/1/13

Custodi dell’Appennino: l’importanza di essere piccoli

L’importanza di essere piccoli, nelle periferie della montagna italiana: fino a trasformare gli abitanti in spettatori partecipi, e poi addirittura in “custodi” dei loro spazi ricolonizzati e della loro cultura. Territorio e comunità, ovvero: l’ultima vera frontiera civile che ci resta, nel supermarket-mondo assediato dalla crisi globale, tra le macerie di istituzioni politiche in via di smantellamento, sotto il ricatto della crisi finanziaria. Sovranità democratica dei territori: è l’obiettivo di SassiScritti”, coraggiosa associazione culturale attiva sull’Appenino tosco-emiliano, impegnata in una missione fondata sulla devozione civica, il recupero di borghi montani da far rivivere attraverso la cultura popolare. “Custodi” è in titolo del progetto, in lizza al concorso nazionale “Che Fare”, che mette in palio centomila euro per realizzare un sogno: è una vera e propria gara basata sull’eccellenza e fondata sulla democrazia del tele-voto, via web.

«Siamo in gara contro grandi realtà e città, per questo ogni singolo voto fa la differenza», avverte Azzurra D’Agostino, presidente di “SassiScritti”, nel suo appello “elettorale”: «Se volete aiutare l’Appennino e farlo conoscere in tutta Italia, andate sul web a controllare il nostro progetto, il numero 11, e poi premete il pulsante “vota”». Basata a Porretta Terme, osserva Megachip”, l’associazione di Azzurra D’Agostino è impegnata nella promozione delle arti contemporanee – in particolare teatro, musica e scrittura – ed è attiva su progetti nati per creare e rafforzare le comunità culturali sul territorio. Da anni, tra i villaggi della montagna, “SassiScritti” anima il mini-festival “L’importanza di essere piccoli”, con la partecipazione di artisti e scrittori come Francesco Guccini, Paolo Benvegnù, Bobo Rondelli, Franco Loi, i Perturbazione, Vivian Lamarque, Paolo Nori.

Diventare “custodi” del proprio territorio: «Il progetto parte da un risultato positivo: un pubblico nuovo e numeroso per le rassegne di poesia e musica sull’Appennino tosco-emiliano, in cui alcuni borghi di montagna abbandonati che in questo modo tornano a essere abitati». Il dato interessante, aggiungono gli attivisti di “SassiScritti”, è che gli abitanti dei villaggi si prendono la responsabilità della riuscita degli eventi allestendo spazi, cucinando, ospitando artisti. «Un’occasione di condivisione che si trasforma in un progetto a lungo termine: abitare e animare i margini di un territorio che si spopola, con festival, rassegne, incontri nelle case, per la creazione e il rafforzamento di comunità culturali». Per “rimettere a cultura” quelle periferie, non solo geografiche, ci vuole tempo, servono spazi da condividere in coworking. E poi una comunicazione speciale, «che non faccia leva solo sul web e su eventi spot, ma che sappia fare innamorare».

Il bando “Che Fare” è una piattaforma culturale innovativa, che permette alle imprese sociali di realizzare il proprio progetto, inducendo a fare rete e attivare network territoriali. L’operazione, sostenuta da importanti promotori culturali indipendenti, premia soprattutto l’impatto sociale delle proposte, incoraggiando nuovi modi di fare cultura oggi in Italia. Sono oltre 500 le idee-progetto raccolte, e una trentina quelle selezionate e sottoposte al televoto via Internet. Rispondono tutte a precise caratteristiche: collaborazione e co-produzione, innovazione, riproducibilità, sostenibilità economica nel tempo, equità economica, impatto sociale positivo, capacità di comunicazione, tecnologie “open source” e impiego di licenze “creative commons”. Per votare i progetti c’è tempo fino al 13 gennaio: i primi 5 classificati saranno infine valutati da una giuria che decreterà il vincitore. Tra i giurati lo scrittore Andrea Bajani, il filosofo Roberto Casati, l’economista Paola Dubini, il semiologo Gianfranco Marrone e il giornalista Armando Massarenti, responsabile di “Domenica”, inserto del “Sole 24 Ore”.

Nuove forme di condivisione della cultura? Il problema, avverte il sociologo Manuel Castells, è quello dell’accesso alla sterminata mole di informazioni che abbiamo a disposizione, dalle biblioteche tradizionali a quelle digitali, dalle pagine web ai social network. «Con i suoi 140 caratteri, Twitter ci ha rimesso a forza nel regno del commento, quando la civiltà delle immagini sembrava aver già divorato ogni altra forma comunicativa», scrive su “Doppiozero” Marco Belpoliti, direttore culturale di “Che Fare”, in un intervento firmato insieme a Bertram Niessen, project manager del bando. Per evitare la “sindrome di Stendhal” in versione digitale, «la vertigine prodotta dalla lettura spiraliforme dell’universo Internet», la parola chiave è: piattaforma. «E’ interessante notare come le iniziative culturali che emergono dalla rete pensino la cultura sempre più in termini di “piattaforma” piuttosto che di prodotto».
 
All’appello di “Che Fare”, bando di innovazione culturale e sociale, hanno risposto un notevole numero di piattaforme culturali, intese come ambienti relazionali pensati per mettere in contatto tra loro individui, collettività e processi. «Sono, infatti, piattaforme sia i connettori digitali, come i social network, sia gli spazi fisici, come hub locali o centri artistici interdisciplinari». Nella mappatura degli oltre 500 progetti arrivati – da cui ne sono stati scelti 32, votati online nella sola prima settimana da oltre 10.000 persone – emerge la propensione alla costruzione di sistemi collaborativi, fisici e virtuali, che cercano nuove forme di collaborazione per la produzione e la fruizione di cultura, dall’editoria fino ai beni culturali, passando per il cinema e le arti visive. Se la nostra è l’epoca della comunicazione di massa di tipo orizzontale e non più piramidale, «c’è bisogno di nuove forme sociali che organizzino l’accesso alla sterminata  produzione culturale», e anche di «strutture che siano in grado di coagulare il vissuto intorno a saperi, esperienze e valori».

Oggi, concludono Belpoliti e Niessen, l’industria culturale tradizionale basata sul consumo di massa standardizzato è ormai perdente: «È in atto un cambiamento epocale di paradigma». Occhio quindi alle nuove piattaforme, come quella – rurale e montana, periferica e coraggiosa – che “SassiScritti” va costruendo sull’Appennino, ben conoscendo “l’importanza di essere piccoli”, ma – d’ora in poi – perfettamente collegati e pronti a “fare rete”, per restituire importanza, dignità e valore ai territori dimenticati. Quelli che – nell’era della Grande Decrescita in arrivo – torneranno a parlare una lingua universale, comprensibile a tutti, fatta di quiete e bellezza, ma anche di agricoltura biologica e sovranità alimentare.

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