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lunedì 11 giugno 2012 18:31

Londra e Tel Aviv spingono per attaccare la Siria
di Emma Mancini

Scontri a Damasco, ribelli occupano base militare a Homs. Gran Bretagna e Israele spingono per intervento armato, mentre l'opposizione opta per un leader laico



Mentre Damasco diventa teatro di battaglia tra ribelli e forze governative e le milizie di opposizione prendono il controllo di una base militare, qualcosa sembra muoversi nella comunità internazionale: a muovere nuovi passi verso un intervento armato che ponga fine alla crisi del regime di Bashar al-Assad ci pensano Gran Bretagna e Israele.



Non si fermano gli scontri armati. Secondo quanto riportato dall'Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, ieri milizie armate dell'opposizione hanno occupato una base militare dell'aviazione siriana a Homs. Durante gli scontri, le forze governative avrebbero abbandonato la base lasciandola in mano ai ribelli.

Nella giornata di ieri Homs è stata anche target dell'esercito di Stato che avrebbe ucciso, secondo gruppi di attivisti presenti sul posto, 17 persone. Sedici i soldati rimasti vittime delle milizie di ribelli. Scontri anche a Qusair (bilancio di sei morti), a Dera'a e Latakia.

Durante il fine settimana era stata la capitale a diventare il principale teatro di guerra. Venerdì seicento oppositori armati dell'Esercito Libero Siriano hanno sferrato cinque attacchi combinati a Damasco. Tra i target un autobus con a bordo lavoratori russi, centrato da alcune granate, e un edificio dove vivevano altri impiegati nel settore petrolifero provenienti dalla Russia: non è stato reso noto il numero di vittime, né dai media siriani né da quelli russi.

Gli scontri sono cominciati alle 13 per terminare intorno a mezzanotte. Colpita anche una stazione elettrica, in quello che il governo ha definito un attacco combinato senza precedenti contro la capitale siriana.



I passi dei poteri occidentali e le mosse dell'opposizione. Dopo essersi garantite copiose entrate finanziarie per portare avanti la guerra contro il regime di Assad, l'opposizione siriana gioca la carta del cambiamento al vertice. Ieri il Consiglio Nazionale Siriano, principale forza di opposizione insieme all'Esercito Libero Siriano, ha annunciato che a guidare il gruppo sarà da oggi un nuovo leader: si tratta di Abdulbaset Sieda, laico curdo, 56 anni, in esilio in Svezia. Sieda sostituirà Burhan Ghalioun, spesso accusato di eccessivo autoritarismo nella gestione del gruppo d'opposizione.

Una scelta dovuta alle critiche piovute sul gruppo, accusato di essere quasi totalmente controllato dalle forze religiose e islamiste, in particolare dai Fratelli Musulmani. Ma sono diversi gli obiettivi che il Consiglio Nazionale Siriano intende ottenere con la nuova leadership: tra questi, il tentativo di incamerare la minoranza curda all'interno del movimento di ribellione a Damasco, riconoscendogli un ruolo più attivo e togliendola dall'ombra in cui era stata relegata.

Si muove anche la comunità internazionale. Mercoledì il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, volerà a Teheran in visita ufficiale, per parlare sia del programma nucleare iraniano che della crisi siriana. Da tempo la Russia, solida alleata del presidente Bashar Al-Assad, preme perché l'Iran sia coinvolto dalle Nazioni Unite nella soluzione della crisi, data la vicinanza politica e religiosa e le relazioni economiche che da tempo lo legano a Damasco.

Diversa la strategia britannica. Ieri William Hague, ministro degli Esteri britannico, ha detto che potrebbe essere difficile evitare un intervento militare esterno se le violenze continuassero ad intensificarsi. Paragonando la Siria alla Bosnia dei primi anni Novanta e immaginando un bombardamento aereo, Hague ha parlato alla stampa delle difficoltà di implementazione del piano dell'inviato speciale di ONU e Lega Araba, Kofi Annan. Nessun cessate il fuoco è stato raggiunto, "la Siria è ad un passo dal collasso e dalla guerra civile, per cui non possiamo escludere nulla", ha sottolineato Hague.



Le minacce israeliane. Ad infiammare una situazione già calda ci si mette anche Israele che accusa Damasco di possedere il più vasto assortimento di armi chimiche al mondo, oltre a missili che potrebbero colpire l'intero Paese. A gettare benzina sul fuoco è stato l'ex vice capo militare israeliano, il maggiore Yair Neveh: "Se la Siria ne avesse la possibilità, ci tratterebbe come tratta la sua stessa popolazione".

Il maggior timore israeliano è il possibile passaggio di armi dalla Siria al Libano, in mano al gruppo armato di Hezbollah, nemico storico di Tel Aviv. E così si intensificano le pressioni israeliane sui poteri occidentali perché intervengano per porre fine al regime di Assad, optando per un attacco armato sulla falsa riga di quello sferrato contro la Libia e il regime del colonnello Gheddafi.

Una posizione dura che finora Israele non aveva ancora preso: se da una parte la caduta di Bashar indebolirebbe l'Iran, alleato siriano, dall'altra la prospettiva che l'attuale regime laico venga sostituito dall'ennesimo governo islamista preoccupa Israele. Nena News

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