Fonte: http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=1091
http://www.informarexresistere.fr
8 novembre 2012
Siria, le violazioni dei diritti umani
di Gianmarco Pisa
La notizia del 1 Novembre riferisce di “ribelli anti-governativi” responsabili dell’uccisione di 28 soldati dell’esercito regolare in tre check-point vicino a Saraqeb, in Siria. Stando a quanto si riesce a vedere in un video reso pubblico on-line e che ha suscitato molto dibattito e vasta risonanza, ad alcuni di loro è stato sparato quando già si erano arresi. I ribelli li hanno poi insultati, denigrati ed offesi, chiamandoli “cani di Assad”, bersagliandoli poi con ripetute scariche di arma da fuoco, mentre i loro corpi giacevano a terra.
La dinamica del video è piuttosto scioccante. Un gruppo di ribelli armati conquista il posto di blocco di Hamisho, nei pressi di Saraqeb, località strategica lungo l’autostrada Damasco Aleppo, a est di Idlib, una delle rocche-forti dell’insurrezione armata. Gli insorti circondano un gruppo di sei o sette soldati regolari, uno di loro è ferito. Altri ribelli circondano altri due soldati governativi. I prigionieri alzano le mani, si lamentano, si intuisce invochino clemenza. Dopo averli ammassati a terra e insultati, i ribelli aprono il fuoco: nelle ultime inquadrature si legge solo il crepitare delle armi, infine il video si interrompe sulle immagini di corpi ricoperti dalla polvere sollevata da raffiche di armi automatiche. Violenze e violazioni, dunque, efferate.
Al di là della crudezza delle immagini, il documento video dice molto della degenerazione dello scontro in Siria, dove, dopo un anno e mezzo di guerra e diverse migliaia di morti e feriti, la vera protagonista è la violenza che entrambi gli schieramenti hanno ormai fatta propria, tanto l’esercito regolare, quanto iguerriglieri armati che vogliono rovesciare il governo Assad. Un livello di disumanità tale da rendere impossibile una distinzione netta tra “buoni” e “cattivi” e proprio per questo tale da rendere necessarie alcune considerazioni.
La prima. A differenza di gran parte dei reportage comparsi sulla stampa occidentale, la violenza e le violazioni dei diritti umani in Siria non stanno da una sola parte. È un fatto la violenta repressione da parte dell’esercito regolare delle manifestazioni della primavera del 2011 in Siria, soprattutto a Dera’a, ma non solo. Ed è allo stesso modo un fatto che su quella rivolta popolare si sia innestata poi l’agenda degli Stati Uniti e della Turchia, che i comandi del cosiddetto “Esercito Libero Siriano”, che di quella rivolta pretende di essere al tempo stesso l’interprete e l’esecutore, prendano ordini, armi e soldi da Ankara e da Washington (e non solo da loro), che il livello di efferatezza e di violenza abbia da tempo superato il livello di guardia.
La seconda. Il video che documenta l’esecuzione sommaria di un gruppo di soldati siriani da parte di presunti ribelli ha già suscitato una dura condanna delle Nazioni Unite, mentre dal Consiglio Nazionale Siriano, il braccio politico dell’Esercito Libero Siriano, è arrivata, tra qualche distinguo e molte ambiguità, la richiesta di un chiarimento: “Esortiamo l’Esercito Libero Siriano e i movimenti che animano la “rivoluzione” sul campo a ritenere responsabile chiunque violi i diritti dell’uomo”, ha detto alla “France Presse” Radif Mustafa, responsabile del CNS per i diritti dell’uomo, dopo che l’ONU ha parlato di un possibile “crimine di guerra”. Sono proprio tali ambiguità da parte di vari “pezzi” dell’opposizione nei riguardi del CNS a lasciare di stucco.
Appare molto chiaro, dunque, dopo la documentazione offerta dal video (non da solo), che le prese di posizione della stampa di maggiore impatto e delle diplomazie occidentali sono state e continuano ad essere decisamente a senso unico; che la guerriglia armata diffonde violenza e semina terrore nel Paese, mettendo a rischio la convivenza civile e l’unità nazionale della Siria e minacciando un pericoloso effetto a catena che potrebbe dare luogo a conseguenze inimmaginabili sulla pace, la stabilità e la sicurezza dell’intera regione.
È stata, in questa circostanza, dura la presa di posizione delle Nazioni Unite: “Sembra che questi soldati non stessero più combattendo e quindi, a questo punto, quanto accaduto appare a tutti gli effetti come un crimine di guerra”, ha detto Rupert Colville, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite peri Diritti Umani.
“Purtroppo questa potrebbe essere l’ultima di una serie di esecuzioni sommarie documentate e compiute dalle fazioni dell’opposizione, ma anche da forze governative e gruppi affiliati”, ha aggiunto Colville parlando con i giornalisti. “Le persone che commettono tali crimini - ha concluso - non dovrebbero illudersi di poter fuggire dalle proprie responsabilità, perché ci sono molte prove accumulate finora, tra cui anche questo video”.
Che diventi un monito sul da farsi: bloccare i riconoscimenti internazionali del CNS e dell’ESL, bloccare le forniture di armi e di mezzi alle fazioni in lotta, bloccare le provocazioni militari e i tentativi di destabilizzazione messi in atto da potenze esterne, a partire dagli Stati Uniti d’America e dalla Turchia. E provare a costruire una vera e propria road map intorno al piano di pace cinese in quattro punti, presentato all’ONU lo scorso 31 Ottobre:
1) tregua basata su un cessate il fuoco “elastico”, regione per regione e fase per fase,
2) interlocutori delle parti che assistano mediatori internazionali nel creare un percorso sulla transizione politica,
3) cooperazione dell’intero sistema ONU a sostegno della mediazione internazionale di Brahimi,
4) aiuti umanitari. È tempo che le armi e la violenza cedano il passo alla politica e alla diplomazia.