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30 Ottobre 2012

Siria, boia-carnefice-boia

Un giornalista arrestato da un gruppo di sedicenti ribelli siriani a nord di Aleppo perché il suo lavoro “non è compatibile con la rivoluzione”. Un miliziano curdo siriano, membro di un gruppo armato ostile ai ribelli arabi, morto dopo esser stato torturato dai ribelli con gli stessi metodi inflitti per anni dal regime di Damasco.

Casi isolati ma estremamente preoccupanti e indicativi di come in certe zone della Siria la rivolta anti-regime rischi di degenerare in un confronto armato tra criminali.

Fino ad oggi, nessun giornalista straniero entrato dai valichi turco-siriani era stato arrestato da “ribelli” perché il suo lavoro è giudicato “non compatibile con la rivoluzione”. Si chiama Fidaa Itani e lavora per al Akhbar libanese, quotidiano notoriamente vicino a Hezbollah e, in generale, all’asse siro-iraniano in Libano.

Arrestandolo, questi sedicenti ribelli non fanno che mettersi allo stesso livello del regime di Damasco che per anni e ancora oggi decide a quali giornalisti dare l’accredito e a chi no e riservandosi il diritto, implicito, di “trattenere” giornalisti stranieri indesiderati.

Chi invece ha torturato a morte Khaled Hamdo, 37 anni, ha usato cavi elettrici, copiando fedelmente le torture subite, magari da lui stesso, nelle carceri della polizia segreta siriana.

Così facendo non si offrono solo argomenti a tutti i sostenitori del regime (pronti a dire, ora, dopo più di un anno e mezzo che loro avevano ragione: “Vedete? Sono tutti criminali. Non sono meglio del regime!”), ma si minano le fondamenta morali ed etiche di una rivolta cominciata e proseguita a lungo tempo in modo non violento.

E non v’è dubbio che la degenerazione in senso criminale e violento della rivolta fosse il primo obiettivo da raggiungere agli occhi di chi ordinò la repressione militare e poliziesca a Daraa dal 18 marzo 2011 e di chi ha ordinato, più di recente, il lancio di barili bomba e di bombe a grappolo dal cielo.  Ma non v’è altrettanto dubbio che a lungo migliaia di siriani hanno messo in guardia i loro fratelli e concittadini dal cadere nella trappola tesa dal regime.

Nell’aprile 2011, dopo un mese dalle prime proteste non violente, i comitati di coordinamento diffondevano un comunicato che rimarrà nella storia della Siria:

“La libertà e la dignità del nostro esser cittadini si possono raggiungere solo questo nostro percorso pacifico di proteste (…). Questo governo si basa sulle menzogne e viola la sacralità e la sicurezza di ogni siriano. Mettono a rischio la nostra unità nazionale sollecitando le divisioni confessionali, etniche e religiose. (…) Cessino le torture, le uccisioni, gli arresti, la violenza contro i manifestanti pacifici.

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