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Che succede in Siria?
Parla il capo dei ribelli Nessun dialogo è possibile con un dittatore che ha dichiarato guerra al suo popolo. Nessun dialogo è praticabile con chi si è macchiato di crimini contro l’umanità. Ogni ritardo nell’isolamento di un regime sanguinario significa esserne complici». A parlare è Burhan Ghalioun, presidente del Consiglio nazionale siriano, il più importante gruppo dell’opposizione al regime di Bashar al-Assad. «La sua uscita di scena afferma Ghalioun in questa intervista esclusiva a l’Unità è un passaggio ineliminabile per voltare pagina e avviare un processo democratico e di dialogo nazionale. Una cosa è certa: non parteciperemo ad alcun negoziato con il regime prima che Assad abbandoni il potere». Ghalioun segue in prima persona, da New York, l’estenuante maratona diplomatica in atto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu per giungere ad una risoluzione sulla Siria che non si infranga sul diritto di veto minacciato dalla Russia: «Il punto cruciale spiega il leader del Cns non è l’intervento militare esterno. Non invochiamo un intervento “modello Libia”. Ciò che c’interessa è l’isolamento politico, diplomatico, economico del regime. Una pressione che convinca Assad a lasciare il campo». Il leader del Cns esalta il sacrificio dei soldati disertori e lancia un appello ai militari che servono nelle file dell’esercito fedele a Bashar al -Assad a unirsi ai “liberi” e a proteggere i civili. «Non basterà giustificarvi dicendo che eseguivate gli ordini (sparando sui civili ndr)», dice Ghalioun riferendosi ai lealisti. Tutti abbiamo una scelta: stare dalla parte del popolo siriano e della regione oppure diventare complici delle violenze, ha detto Hillary Clinton all’Onu mentre si discuteva la risoluzione basata sul piano di pace stilato dalla Lega Araba. «Sono affermazioni importanti che corrispondono alla verità dei fatti. La Comunità internazionale è chiamata a una scelta non piùrinviabile: o con il popolo siriano o con un Presidente che al suo popolo ha dichiarato guerra».
Mosca ha ribadito il suo Niet ad una risoluzione che contempli l’intervento armato, modello Libia. «Non è questo il punto cruciale per noi. Siamo i primi ad affermare che non vogliamo che si ripeta in Siria lo scenario libico. Il punto è un altro e questo sì dirimente: operare con tutti i mezzi, politici, diplomatici, economici, a disposizione per isolare il regime e far sì che Assad accetti di farsi da parte. È ciò che ci aspettiamo dal Consiglio di Sicurezza. Una presa di posizione politica, non militare, ma una posizione inequivocabile». Lei non si schiera per un intervento militare, ma in una recente intervista alla Bbc ha chiesto l'intervento della comunità internazionale per imporre nel Paese una parziale No-fly zone, con l'obiettivo di creare una zona sicura per rifugiati e disertori. Non è in contraddizione con quanto affermato in precedenza? «No, perché il riferimento alla No-fly zone serviva per segnalare la necessità di agire fattivamente per evitare che migliaia di civili in fuga da città trasformate in campi di battaglia dalle armate del regime, restassero senza protezione. Questa necessità permane. Escludere uno scenario libico non significa chiudere gli occhi o alzare le mani di fronte alla guerra che il regime di Bashar al-Assad ha scatenato contro il popolo siriano. Non dobbiamo dimenticare neanche per un attimo che mentre all’Onu si discute, mentre io sto parlando con lei, nel mio Paese la gente continua a morire, ad essere arrestata, torturata, ogni giorno da dieci mesi…Le vittime sono oltre 6mila, la maggioranza civili, e tra questi centinaia di donne e bambini». Il governo russo si è detto pronto a ospitare un negoziato tra l’opposizione e il regime di Damasco. Qual è la vostra risposta? «Un negoziato è possibile solo dopo l’uscita di scena di Bashar al-Assad. Chiediamo a Mosca, visti i legami storici con il popolo siriano, di non permettere che il regime di Assad sfrutti il suo sostegno per continuare ad opprimere il popolo siriano. Minacciare in continuazione il diritto di veto è una licenza di uccidere concessa ai carnefici. L’ho ribadito anche in queste ore cruciali negli incontri avuti al Palazzo di Vetro: le dimissioni di Assad sono una condizione per qualsiasi negoziato sulla transizione verso un governo democratico in Siria». Un esponente dell’opposizione ha affermato pubblicamente che Assad farà la fine di Gheddafi. «Non è questo il nostro obiettivo. Vogliamo giustizia, non vendetta». Lei ha manifestato sin dal primo momento un forte scetticismo sulla missione degli osservatori della Lega Araba. «I fatti mi hanno dato ragione. Abbiamo accettato il monitoraggio solo perché credevamo che avrebbe smascherato il regime, ma non ci siamo mai illusi che sarebbe finito lo spargimento di sangue. Se avessero potuto trasmettere solo un piccolo brandello di ciò che sta accadendo, sarebbe stato più che sufficiente per condannare il regime, e dimostrare che sono state dette bugie fin dall'inizio». Gli scontri armati investono da giorni anche la capitale siriana. Anche oggi (ieri, ndr) si registrano morti e feriti nei sobborghi di Damasco. Cosa significa? «Significa che anche Damasco è perduta per il regime. Gli uomini d'affari cominciano a dissociarsi. Anche le minoranze che a volte si preoccupano per i cambiamenti di regime, come gli alauiti, i drusi e i cristiani, capiscono che non è più loro interesse allinearsi sulle posizioni di Bashar. Mi creda: il regime non ha più un seguito tra popolazione, resta in piedi con la forza delle armi e del terrore. Quello di Bashar è terrorismo di Stato». C’è chi sostiene che l’obiettivo dell’opposizione sia quello di passare da un regime ad un altro, altri sostengono che siete etero diretti… «È la propaganda del regime, cattiva propaganda. Nel Cns esistono e convivono componenti islamiche con quelle laiche e progressiste. A unirci non è solo la determinazione a lottare contro il regime di Bashar al-Assad ma anche la volontà di dar vita a una Siria democratica, secolare e aperta a tutte le componenti della società».
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