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19 Marzo 2012

Syria
di Johan Galtung
Traduzione di Miky Lanza

Siamo tutti disperati nell’assistere alle orribili uccisioni, alla sofferenza di chi è privato di tutto, dell’intero popolo. Ma che fare?

Potrebbe essere che l’ONU, e i governi in generale, abbiano la tendenza a ripetere sempre lo stesso errore di mettere il carro davanti ai buoi? La formula che usano generalmente è:

[1] Liberarsi del n° 1 come responsabile chiave, usando sanzioni; quindi

[2] Cessate-il-fuoco, appellandosi alle parti, o intervenendo, imponendo;

[3] Negoziato fra tutte le parti legittime; e quindi

[4] Una soluzione politica quale compromesso fra le varie posizioni.

Sembra così logico. C’è un responsabile chiave, il presidente Assad, che ordina l’uccisione; liberarsi di lui con ogni mezzo. Quindi la tregua; poi negoziati, e infine emerge la soluzione. Logico, sì; ma forse non molto saggio.

Il n° 1, come identificato dall’interessato stesso, dall’esterno, e dai media in una cultura occidentale orientata al n° 1, è certamente importante. Ma essendo importante, egli può anche possedere qualche chiave per le soluzioni. Può anche dimettersi o essere rimosso in seguito, ma prima lo si ascolti.

Cessate-il-fuoco – perché non c’è in vista una soluzione accettabile? Non sarebbe una capitolazione, addirittura verso degli estranei? Utile come pausa nei combattimenti, riposo per i combattenti, dando tempo per schierarsi e riarmarsi; ma condizione né necessaria né sufficiente per una soluzione.

Negoziato, con una parte essenziale eliminata, e una capitolazione di fatto monitorata? Quale agenda risulterà favorita?

Una soluzione politica? Certo, ma con quelle tre condizioni il risultato è dato in anticipo.

Guardiamo la sequenza contraria: [4]-[3]-[2]-[1]. Cominciamo da una soluzione, poi un negoziato per i dettagli, se ha successo o addirittura è trascinante, può emergere un armistizio. E allora, forse, il n° 1 si dimette, avendo fatto la sua parte nel lavoro.

Ma come è possibile, per chiunque, trovare una soluzione, quando la carneficina è in pieno svolgimento? Beh, la motivazione è alta. Stipulando una tregua, scema la motivazione, come si è visto in Sri Lanka. Il turismo ha ripreso, ma la ricerca di soluzioni è crollata a zero, e la tregua è stata usata da entrambe le parti per lo scopo citato più sopra.

Ma come può esserci una soluzione quando attori chiave hanno le braccia piene di armi? Chi ha detto che dovessero farlo? Hanno dei sostituti; inoltre, il paese è pieno di gente che ha riflettuto sui problemi, non solo su chi è cattivo e chi è buono. E che non è solo orientata alla vittoria, ma anche alla soluzione.

La ricerca potrebbe essere rivolta alle soluzioni, non alla soluzione. Si facciano fiorire 1.000 dialoghi in ogni quartiere, ogni villaggio, arricchendo il prodotto ideale nazionale lordo, PINL. E facilitatori sostenuti dall’ONU, con conoscenza della mediazione, anziché muniti di armi e binocoli.

Per far questo si facciano parlare le parti, fuori e dentro la Siria. Le si lascino affermare i propri obiettivi, la Siria che vorrebbero vedere.

In primo luogo, un’immagine degli obiettivi di alcuni contendenti esterni:

Israele: vuole una Siria divisa in parti più piccole, distaccate dall’Iran, lo status quo per le alture del Golan, e una nuova mappa per il Medio Oriente;

USA: vogliono quel che vuole Israele e il controllo su gas, petrolio, oleodotti;

Regno Unito: vuole quel che vogliono gli USA;

Francia: corresponsabile con il Regno Unito della colonizzazione post-Ottomana nella regione, vuole un’amicizia confermata Francia-Siria;

Russia: vuole una base navale nel Mediterraneo, e un “alleato”;

Cina: vuole quel che vuole la Russia;

UE: vuole sia quel che vogliono Israele e gli USA, sia quel che vuole la Francia;

Iran: vuole il potere sciita;

Iraq: a maggioranza sciita, vuole quel che vuole l’Iran;

Libano: vuol sapere cosa vuole;

Arabia saudita: vuole il potere sunnita;

Egitto: vuole emergere come gestore di conflitti;

Qatar: vuole lo stesso che l’Arabia saudita e l’Egitto;

Stati del Golfo: vogliono quel che vogliono USA e Regno Unito;

Lega Araba: vuole nessuna ripetizione della Libia, si cimenta con i diritti umani;

Turchia: vuole affermarsi rispetto ai successori (Israele-USA) dei successori (Francia-Regno Unito-Italia) dell’Impero Ottomano, e una zona cuscinetto in Siria.

ONU: vuole emergere come gestore di conflitti.

Al di sopra di ciò incombe una nube fosca: la Siria è nella zona fra Israele-USA-NATO e la Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO), entrambe in espansione.

Poi, un’immagine degli obiettivi di alcuni contendenti interni:

Alawiti (15%): vogliono rimanere al potere, “per il bene di tutti”;

Sciiti in generale: vogliono lo stesso;

Sunniti: vogliono il governo della maggioranza, il loro governo, la democrazia;

Ebrei, Cristiani, minoranze: vogliono sicurezza, temendo il governo sunnita;

Curdi: vogliono un alto livello d’autonomia, qualche comunità con altri Curdi.

Ciascuna di queste affermazioni può essere messa in discussione. Ma supponiamo come esperimento mentale che questa configurazione con 16 contendenti esterni e 5 interni, sia più giusta che sbagliata. La terribile violenza del “terrorismo” esterno, o di quello interno “di stato”, sono contro coloro che vogliono la democrazia? Entrambe, ma non serve chiedersi chi sia più responsabile in una polveriera: il nitrato, lo zolfo, il carbonio, o l’esplosione, o chi ha costruito la polveriera (Francia). Piuttosto, c’è qualche soluzione in vista? 

Non con la violenza. Chiunque vinca sarà profondamente inviso agli altri, in una casa e una regione così profondamente divisa contro se stessa.

Non con sanzioni, indipendentemente da quanto profonde e ampie, con la partecipazione di Russia e Cina. È come punire una persona con microbi e il suo sistema immunitario che sta lottando all’interno perché ha la febbre. Più il paziente è debole, più è contagioso.

Quel che viene in mente è una soluzione svizzera. Una Siria, federale, con autonomie locali, addirittura a livello di villaggio, con sunniti, sciiti e curdi che intrattengano rapporti con i propri affini attraverso i confini. Un peacekeeping internazionale, anche per proteggere le minoranze. E non-allineata, il che esclude basi straniere e flussi di armi, ma non esclude affatto un arbitraggio obbligatorio per le Alture del Golan (e l’assetto post-giugno 1967 in generale), con lo status di membro ONU in gioco per Israele.

Napoleone invase la Svizzera per controllarla nel 1798-1806, ma rinunciò. Faranno lo stesso gli attuali Napoleoni, Netanyahu-Obama?

Le alternative sono altre due catastrofi: guerra aperta con Arabia saudita-Giordania-Qatar; or R2P (Responsabilità di Proteggere) alla libica, con 7.700 bombe e missili. Il vincitore non sarà sopportato; e senza alcuna soluzione sostenibile in vista.

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