http://www.eilmensile.it
29 maggio 2012

Siria, ore decisive
di Christian Elia

Il cerchio si stringe. Mentre l’inviato delle Nazioni Unite per la crisi siriana, Kofi Annan, è a Damasco per incontrare il presidente siriano Bashar al-Assad, la diplomazia europea si muove, divisa. I governi di Francia, Germania e Italia hanno invitato gli ambasciatori della Siria nei rispettivi paesi a tornare a casa.

Il massacro di Houla, com più di cento vittime, molte delle quali bambini, ha aumentato la pressione sul regime di Assad. La Francia è andata anche oltre, anunciando che a luglio si terrà a Parigi la conferenza del gruppo ‘amici della Siria’, organizzazione ombrello che raccoglie soprattutto l’opposizione della diaspora. ”Il presidente siriano Bashar al-Assad è l’assassino del suo popolo. Deve lasciare il potere”, ha dichiarato il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, in un’intervista pubblicata oggi sul quotidiano Le Monde. Fabius, che tuttavia esclude la fornitura di armi all’opposizione siriana, si muove sulla stessa linea del suo predecessore Juppè.

Mentre anche la Gran Bretagna e l’Australia annunciano la medesima decisione diplomatica, Kofi Annan parla con Assad, al quale – fanno sapere dal suo staff – ha ribadito la necessità di “passi concreti per l’applicazione del piano in sei punti approvato dal Consiglio di sicurezza, che prevede essenzialmente la totale deposizione delle armi”. Annan ha fatto presente ad Assad ”la grave preoccupazione della comunità internazionale per la violenza in Siria ed il massacro”. Annan ha detto al presidente siriano che ”il piano di pace in sei punti non può avere successo senza passi coraggiosi per fermare la violenza e liberare i prigionieri”, ha riferito il portavoce di Annan.

Secondo l’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite le vittime dell’attacco alla città di Hula sono 108: venti sono state uccise da fuoco d’artiglieria e di carri armati, mentre la maggior parte sono stati raggiunti e uccisi nelle proprie case.

Proprio questa dinamica è quella impugnata dal regime siriano per difendersi. Dopo aver annunciato la nascita di una commissione d’inchiesta sul massacro, il governo di Damasco ha smentito che il responsabile sia l’esercito. ”Neghiamo completamente la responsabilità di questo massacro terroristico contro il nostro popolo”, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri siriano, Jihad Makdissi. ”La strage di Houla è opera di gruppi di terroristi, come dimostra il fatto che le vittime sono state uccise a colpi d’arma da fuoco e non da bombardamenti dell’artiglieria come sostiene l’opposizione”.

Houla è un gruppo di villaggi sunniti venti chilometri a nord della città di Homs. Gli attivisti dell’opposizione sostengono che la zona è vicino a una regione abitata da alawiti, la setta di origine sciita alla quale appartiene lo stesso presidente Bashar Assad, da cui sarebbero partiti i miliziani pro-regime entrati a Houla. Il governo siriano, invece, nega e afferma che la strage è stata fatta dai miliziani ribelli dopo i combattimenti contro le forze lealiste.

Una situazione rovente, dove la vittime sono contese come un macabro trofeo da assegnare all’avversario. Amnesty International ha invitato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad ”andare oltre la condanna dell’attacco che, il 25 maggio, ha ucciso più di un centinaio di civili nella città siriana di Houla, passando a deferire immediatamente la situazione della Siria alla Corte penale internazionale”. Philip Luther, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty, propone che la ”missione degli osservatori delle Nazioni Unite aumenti di numero e rafforzi il suo mandato”. Luther chiede infine che il ”governo siriano consenta alla Commissione internazionale indipendente d’inchiesta, istituita dal Consiglio Onu dei diritti umani, di entrare nel Paese e verificare le denunce di violazioni commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto”.

Un elemento, quello delle violenze anche da parte dei ribelli, che divide l’opinione pubblica in Italia. Un gruppo di attivisti, giornalisti, docenti universitari, ricercatori e comuni cittadini ha pubblicato l’AppelloSiria2012, nel quale i firmatari si dissociano e condannano ”la posizione e il tipo di copertura mediatica che molti movimenti e testate giornalistiche italiane – da alcune d’ispirazione pacifista e anti-imperialista a quelle vicine ad alcuni ambienti cattolici o filo-israeliani – dimostrano nei confronti della rivoluzione in Siria. Molti di questi attori continuano a offrire un resoconto distorto degli eventi in corso, sostenendo che la rivolta è guidata dall’esterno, dunque non autentica, mettendone in dubbio il fondamento pacifico e sostenendo di fatto la brutale repressione da parte del regime di Bashar al-Assad”.

top