http://www.linkiesta.it/ Donatella Mulvoni Intervista Padre dall’Oglio: Da quando il regime l’ha espulso il mese scorso dalla Siria, padre Paolo dall’Oglio ha deciso di girare il resto del mondo per incontrare le comunità siriane all’estero. In poche settimane ha visitato Toronto, Montreal in Canada, Texas, Los Angeles, Washington, New York negli Stati Uniti. E a Linkiesta dice: «Serve una presenza armata dell’Onu che divida sul campo i gruppi civili in lotta, i sunniti e gli alawiti». Solo così si può trovare la pace, che a Damasco sembra sempre più lontana. NEW YORK- Da quando il regime l’ha espulso il mese scorso dalla Siria, padre Paolo dall’Oglio ha deciso di girare il resto del mondo per incontrare le comunità siriane all’estero. In poche settimane ha visitato Toronto, Montreal in Canada, Texas, Los Angeles, Washington, New York negli Stati Uniti. «Mi definisco un homeless, un senzatetto, ma non sono solo. Ovunque vada mi trattano come un fratello, un amico. Con loro parlo tanto di dialogo siriano, perché la pace che riusciranno a trovare i siriani all’estero si riverberi poi nella pace della comunità in Siria». È un animale in gabbia, il gesuita romano, 57 anni, di cui 30 passati in Siria a promuovere il dialogo interreligioso. E il fondatore del monastero cattolico siriano Deir Mar Musa Al-Habashi, situato nel deserto, al nord di Damasco, lo stesso che proprio lunedì è stato saccheggiato da uomini armati, mentre Padre Paolo teneva una conferenza a New York. Vuole tornare a “casa” il prima possibile. «Non aspetterò certo la fine degli eventi, ma ci vuole più stabilità», e soprattutto un nuovo visto d’ingresso, che il regime non gli ha voluto rinnovare, a causa della sua voce scomoda e della sua vicinanza ai rivoluzionari, come ama chiamarli il gesuita. In queste settimane ha deciso di parlare tanto, di raccontare «per far capire cosa sta succedendo e per spezzare il velo di indifferenza che si sta creando intorno alla Siria». È arrabbiato e ne ha per tutti. Verso la comunità internazionale, «che non fa abbastanza e anzi utilizza la Siria per punire la Russia e l’Iran», e ce n'è anche per il Vaticano: «Anche se il Papa sta facendo bene, la diplomazia del Vaticano non può o non vuole assumere delle iniziative negoziali per trovare una soluzione. Bisognerebbe ad esempio attivare relazioni con la Chiesa ortodossa russa, ma si sa è difficile, forse c’è proprio una paralisi della diplomazia vaticana». Paralizzato da troppi mesi anche l’Onu: «L’unico organismo internazionale che in realtà potrebbe fare veramente qualcosa per riportare la pace». Nonostante sia fautore del pacifismo, il gesuita riconosce che ora non è più possibile. «Il disastro è già successo. Serve una presenza armata dell’Onu che divida sul campo i gruppi civili in lotta, i sunniti e gli alawiti». Un intervento quindi totalmente diverso da quello messo in atto da Kofi Annan, la cui missione è miseramente fallita, come dimostrano le recenti dimissioni dello stesso inviato dell’Onu e della Lega Araba in Siria. Non ci avrebbe scommesso un euro sui 300 osservatori speciali. «L’ho detto da subito che l’iniziativa di Annan era una zattera a cui tutti ci attaccavamo come dei naufraghi. Ecco che siamo naufragati», dice. «A quei trecento osservatori - spiega - si sarebbe dovuto aggiungere uno zero. Dovevano essere 3 mila armati più altri 30 mila con il ruolo di promuovere la pace e supportare la comunità siriana». La diplomazia e l’intervento delle Nazioni unite rimangono comunque «l’unica buona soluzione. Se l’Onu non riuscirà ad avere un ruolo chiave - dice - si dovrà assumere la responsabilità del massacro». Il Palazzo di vetro deve quindi avere, secondo Padre Dall’Oglio, una presenza armata sul territorio, che riesca anche a gestire la guerra civile, che non terminerà con la caduta di Assad. «L’Onu deve fare in modo che la Siria ridiventi un territorio neutrale, con una agenda politica araba, lontana dagli interessi della Nato e della Russia». Il Brasile, ad esempio, potrebbe essere davvero una pedina importante nella risoluzione del conflitto: «È un grande Paese cristiano, con milioni di siriani al suo interno. Potrebbe assumersi lui, o il Canada, che è sempre in contatto con la Russia, il compito di rinvigorire l’azione diplomatica». Bisogna agire presto però, migliaia di persone sono già morte, altre sono su quella via a causa dei continui bombardamenti da entrambi i fronti. «Anche se sono un prete devo dire che è giusto che anche l’Esercito Libero Siriano usi le armi. Le proteste inizialmente erano pacifiche. Dopo la violenza del regime, è un dovere di ognuno proteggere se stesso e i propri cari». Parla anche dei vari gruppi di ribelli e mostra stupore davanti all’ingenuità di chi afferma di non sapere che «Al Quaeda e gli estremisti ci sono e anzi ci sono sempre stati. Molti di loro sono andati a combattere in Iraq e in Libano in passato. Anche questo capitolo ricade come un macigno sulle spalle della comunità internazionale»
|