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Siria, ore decisive. Ma il conflitto potrebbe allargarsi.
Gli Stati Uniti chiudono la loro ambasciata a Damasco e richiamano tutto il personale, l'Arabia Saudita chiede decisioni immediate, la Francia fa lo stesso, la Gran Bretagna anche. Bashar risponde facendo bombardare di nuovo la città-martire di Homs, mentre aspetta la visita del ministro degli esteri russo, Lavrov, accompagnato dal capo dei servizi segreti russi. Un viaggio che alcuni presentano come l'ultima spiaggia per Bashar, altri invece paragonano alla famosa missione a Baghdad dell'inviato del Cremlino, Primakov, nel 2003. Perchè? Tutto sommato il regime di Damasco sembra aver ottenuto quel che voleva, la guerra civile tanto agognata è ormai a portata di mano: gruppi armati di ribelli sembrano proliferare e sembrano anche fuori controllo, proprio come voleva il regime per soffiare sul terrore internazionale di una conquista del potere da parte dei fondamentalisti. Questo fomenta molte paure, nella comunità internazionale come tra le numerose minoranze siriane. Tanto che con acume il gesuita Paolo Dall'Oglio, da mesi una delle poche voci del campo cristiano che critica il regime degli Assad suggerisce con la genialità propria dei gesuiti di inviare in Siria migliaia di operatori di pace, che proteggano la popolazione. E invoca un intervento diplomatico del Vaticano. L'idea è suggestiva perchè il gesuita sottolinea che un raccordo con le comunità cristiane ortodosse siriane, in stretto raccordo con il patriarcato ortodosso di Mosca, potrebbe avere più peso di altri. L'idea è certamente accativante. Ma potrebbe essere tardi. Undici mesi di ignavia internazionale, e di rifornimenti militari russi, hanno consentito a un regime spietato di seminare l'odio, mettere l'un contro l'altro, esasperare gli oppositori e spingerne settori sempre più ampi sulla via della lotta armata. A rinfrancare gli uomini di buona volontà come padre Dall'Oglio c'è però una notizia. La "speranza" del regime di una deriva fondamentalista dell'opposizione viene in queste ore contrastata efficacemente dalla scelta di un cristiano, Fayaz Sara, quale nuovo presidente del Consiglio Nazionale Siriano, l'ombrello delle siglie anti-Bashar all'estero. Ma basterà? Il fatto è che la quotidiana razione di morte e disumanità che il regime riversa sulla sua popolazione è tale che potrebbe non essere contenuta nei confini nazionali, notoriamente porosi. E infatti diversi episodi "minori" già indicano che le fiamme stanno lambendo il Libano, che non ha dei veri e propri confini a dividerlo dalla Siria, ma ha molti cittadini con doppio passaporto siro-libanese. Le fiamme siriane poi potrebbero facilmente arrivare anche in Iraq, proprio perchè la popolazione di questi tre paesi è costituita da famiglie, o clan, che si estendono al di là dei confini nazionali. Così c'è un numero con il quale, volenti o nolenti, i capi delle diplomazie mondiali cominciano a fare i conti: è il numero 377, quello che indica la discussa risoluzione dell'Onu, approvata nel novembre del 1950, che autorizza l'Assemblea Generale a votare un intervento, anche se il Consiglio di Sicurezza non conviene, qualora ci sia un evidente stato di necessità. La risoluzione dice che "se il Consiglio di sicurezza, in mancanza di unanimità dei membri permanenti, non dovesse adempiere al suo compito primario di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, qualora si profilasse una qualsiasi minaccia per la pace, violazione della pace o atto di aggressione, l'Assemblea generale dovrà occuparsi immediatamente della questione e indirizzare le opportune raccomandazioni ai Membri per deliberare misure collettive da adottare, incluso, se necessario, nel caso di una violazione della pace o di atti di aggressione, l'uso di forze armate, per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionali." Insomma, il tempo per gli uomini di buona volontà potrebbe essere poco, davanti a una mattanza come quella voluta da Bashar al-Assad.Gli Stati Uniti chiudono la loro ambasciata a Damasco e richiamano tutto il personale, l'Arabia Saudita chiede decisioni immediate, la Francia fa lo stesso, la Gran Bretagna anche. Bashar risponde facendo bombardare di nuovo la città-martire di Homs, mentre aspetta la visita del ministro degli esteri russo, Lavrov, accompagnato dal capo dei servizi segreti russi. Un viaggio che alcuni presentano come l'ultima spiaggia per Bashar, altri invece paragonano alla famosa missione a Baghdad dell'inviato del Cremlino, Primakov, nel 2003. Perchè? Tutto sommato il regime di Damasco sembra aver ottenuto quel che voleva, la guerra civile tanto agognata è ormai a portata di mano: gruppi armati di ribelli sembrano proliferare e sembrano anche fuori controllo, proprio come voleva il regime per soffiare sul terrore internazionale di una conquista del potere da parte dei fondamentalisti. Questo fomenta molte paure, nella comunità internazionale come tra le numerose minoranze siriane. Tanto che con acume il gesuita Paolo Dall'Oglio, da mesi una delle poche voci del campo cristiano che critica il regime degli Assad suggerisce con la genialità propria dei gesuiti di inviare in Siria migliaia di operatori di pace, che proteggano la popolazione. E invoca un intervento diplomatico del Vaticano. L'idea è suggestiva perchè il gesuita sottolinea che un raccordo con le comunità cristiane ortodosse siriane, in stretto raccordo con il patriarcato ortodosso di Mosca, potrebbe avere più peso di altri. L'idea è certamente accativante. Ma potrebbe essere tardi. Undici mesi di ignavia internazionale, e di rifornimenti militari russi, hanno consentito a un regime spietato di seminare l'odio, mettere l'un contro l'altro, esasperare gli oppositori e spingerne settori sempre più ampi sulla via della lotta armata. A rinfrancare gli uomini di buona volontà come padre Dall'Oglio c'è però una notizia. La "speranza" del regime di una deriva fondamentalista dell'opposizione viene in queste ore contrastata efficacemente dalla scelta di un cristiano, Fayaz Sara, quale nuovo presidente del Consiglio Nazionale Siriano, l'ombrello delle siglie anti-Bashar all'estero. Ma basterà? Il fatto è che la quotidiana razione di morte e disumanità che il regime riversa sulla sua popolazione è tale che potrebbe non essere contenuta nei confini nazionali, notoriamente porosi. E infatti diversi episodi "minori" già indicano che le fiamme stanno lambendo il Libano, che non ha dei veri e propri confini a dividerlo dalla Siria, ma ha molti cittadini con doppio passaporto siro-libanese. Le fiamme siriane poi potrebbero facilmente arrivare anche in Iraq, proprio perchè la popolazione di questi tre paesi è costituita da famiglie, o clan, che si estendono al di là dei confini nazionali. Così c'è un numero con il quale, volenti o nolenti, i capi delle diplomazie mondiali cominciano a fare i conti: è il numero 377, quello che indica la discussa risoluzione dell'Onu, approvata nel novembre del 1950, che autorizza l'Assemblea Generale a votare un intervento, anche se il Consiglio di Sicurezza non conviene, qualora ci sia un evidente stato di necessità. La risoluzione dice che "se il Consiglio di sicurezza, in mancanza di unanimità dei membri permanenti, non dovesse adempiere al suo compito primario di mantenere la pace e la sicurezza internazionali, qualora si profilasse una qualsiasi minaccia per la pace, violazione della pace o atto di aggressione, l'Assemblea generale dovrà occuparsi immediatamente della questione e indirizzare le opportune raccomandazioni ai Membri per deliberare misure collettive da adottare, incluso, se necessario, nel caso di una violazione della pace o di atti di aggressione, l'uso di forze armate, per mantenere o ripristinare la pace e la sicurezza internazionali." Insomma, il tempo per gli uomini di buona volontà potrebbe essere poco, davanti a una mattanza come quella voluta da Bashar al-Assad.
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