Le Grand Soir, 28 ottobre 2012 La crisi siriana spiegata da uno specialista Parla un ex attaché militare in Siria e in Giordania. Dal marzo 2011, in Siria vi è una sedizione la cui violenza è crescente e che spinge il paese verso una grave guerra civile, con conseguenze per il suo futuro
Un tempo questo paese faceva parte integrante di un vasto territorio chiamato Bilad-Echam, composto, all’epoca, da un insieme omogeneo culturalmente ed economicamente. Comprendeva gli attuali territori della Siria, del Libano, della Giordania, della Palestina, di certe parti dell’Iraq, del Sinai e della provincia di Hatay in Turchia. A causa della sua importante posizione geostrategica, questo territorio venne smembrato dalle potenze coloniali con gli accordi (Sykes-Picot), firmati il 16 maggio 1916. L’intento di tale smembramento era quello, rivelato dalla creazione dello Stato di Israele (1), di consolidare l’egemonia delle potenze coloniali sulla regione. Il braccio di ferro ingaggiato oggi dai due blocchi, i paesi del BAO (Blocco nordamericano-occidentalista) e i paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Africa del Sud) immobilizza il Consiglio di Sicurezza, rendendo fragili tutti i tentativi di uscita dalla crisi, e paralizza ogni sforzo che tenda a fermare il bagno di sangue del popolo siriano. Infatti, dopo più di un anno e mezzo di violenze senza tregua, questa crisi persiste confusa e inestricabile. I paesi del BAO e gli Stati vassalli della regione propagandano la tesi che questa crisi si iscriva nel quadro della “primavera araba”, che i Siriani aspiravano a vivere nella dignità, nella libertà e nella democrazia e che si sarebbero sollevati per rovesciare il regime che avrebbe represso le manifestazioni pacifiche abusando dell’uso della forza. Al contrario, altri paesi come quelli del BRICS, soprattutto la Russia e la Cina, per ragioni di interesse strategico, offrono il tempo necessario al regime siriano per far cessare l’insurrezione, opponendosi a ogni forma di ingerenza straniera, utilizzando il diritto di veto. Favorevole all’Iran, questa posizione fino ad oggi intransigente, è asseritamente giustificata dalla flagrante violazione del mandato del Consiglio di Sicurezza da parte della NATO in Libia (risoluzione 1973 del 17 marzo 2011), che non si vorrebbe in alcun modo vedere ripetuta, impedendo alla NATO di intervenire contro l’esercito siriano. L’analisi dei fatti salienti, accaduti negli ultimi anni nella regione, suggerisce che la sedizione siriana, deliberatamente collocata dai media occidentali nella sfera della “primavera araba”, si iscrive invece nettamente nella scia di una serie di crisi a catena, orchestrate da un po’ di tempo in modo scomposto e alimentate in crescendo dai paesi del BAO e da certi altri paesi della regione, allo scopo di realizzare degli obiettivi pianificati, di ordine essenzialmente strategico, politico ed energetico. Su scala regionale, questa catena di crisi latenti si localizza in uno stesso spazio geografico, si tratta nel caso di specie degli Hezbollah in Libano (considerati come una minaccia per Israele), della Siria (campo di opposizione ad ogni forma di accordo con Israele), dell’Iran (dossier nucleare), del Golfo Persico (la crisi dello stretto di Ormuz), senza omettere la posizione politica dubitativa dell’Iraq, allora più vicina all’Iran che agli USA. In seno al mondo arabo e mussulmano, la crisi è aggravata da un concetto politico perverso. Esso infatti descrive peggiorativamente i conflitti endogeni del mondo arabo-mussulmano ed esacerba le contraddizioni e i rancori tra le comunità sunnite e sciite. Questo concetto si presenta sotto forma di due campi che si affrontano instancabilmente per la leadership sulla regione, con il ricorrente pretesto del conflitto israelo-arabo e della oramai anemica causa palestinese. Si tratta del campo dei moderati-sunniti, guidati dall’Arabia Saudita e dai paesi del Golfo e del campo dell’opposizione-sciita, o la “mezzaluna sciita” che comprende gli Hezbollah del Libano e la Siria, con la guida dell’Iran. La sicurezza di Israele L’obiettivo perseguito da questo concetto, patrocinato dagli USA e dai paesi occidentali, è di meglio parcellizzare il mondo arabo-mussulmano, indebolire la causa palestinese e consolidare la sicurezza di Israele. In effetti la Turchia, governata dall’AKP, “Partito per la giustizia e lo sviluppo” di tendenza islamista, allettato dall’illusione “dell’Impero ottomano” si è unita al “campo dei paesi moderati” per mettere insieme una coalizione singolarmente settaria. Quest’ultima approfitta delle circostanze opportune delle contestazioni sociopolitiche scoppiate in alcune “Repubbliche” del mondo arabo, per aggredire militarmente il “campo dell’opposizione”. La Siria costituisce allora il terreno prescelto per un conflitto armato per “procura”, in quanto essa rappresenta l’anello centrale della suddetta catena di crisi e un teatro di operazioni che incarna la pietra angolare della opposizione ai disegni machiavellici del BAO. Questa coalizione ha realizzato sul piano geografico un ambiente geopolitico regionale ostile che assedia la Siria e esaspera drammaticamente questo “conflitto armato non internazionale”, anche se per procura. Potenza regionale e membro della NATO, la Turchia allettata dal ruolo di egemonia geostrategica ed economica sulla regione, manifesta un’avversione intensa nei confronti del regime siriano. Essa intensifica le sue ingerenze dirette attraverso il reclutamento di mercenari da affiliare alla “legione islamica” stipendiati dalle petromonarchie e i paesi del BAO, reclutati e inviati da tutte le regioni del mondo. Sul piano operativo, essa aiuta i ribelli fornendo loro materiale di collegamento e di comunicazione criptata tra i comandi militari insediati in Turchia e i gruppi armati attivi nel territorio siriano, oltre al sostegno logistico con armamenti sofisticati e con denaro. Il Libano che vive sotto la minaccia dei conflitti settari onnipresenti da anni, diventa un luogo in cui succedono molte cose, che talvolta sfiorano lo scontro comunitario. Questi incidenti settari denunciano il rischio di una metastasi latente della crisi che potrebbe incendiare la regione del Medio oriente. Le correnti politiche ostili al regime dispotico siriano, dal canto loro, sono impegnate a facilitare l’invio di armi, equipaggiamento e combattenti takfiristi verso la Siria attraverso le frontiere terrestri, sommariamente controllate grazie ad un contrabbando organizzato. Lo Stato di Israele, ottemperando alle raccomandazioni dei suoi protettori, si trova in un contesto geostrategico favorevole alle sue aspirazioni. Resta tuttavia attento alla evoluzione degli avvenimenti della “primavera araba”. Tenta di esasperare il regime siriano in difficoltà, con minacce che prendono a pretesto l’uso di armi biologiche o chimiche. La Giordania, il Regno Hascemita, non avendo i mezzi per la sua politica, si rassegna ad adottare un atteggiamento politico ostile al regime siriano, dettatogli dalle monarchie del Golfo e dal BAO che assicurano graziosamente la sua sopravvivenza. L’Iraq, strangolato da una instabilità politica e securitaria interna che persiste e da una sovranità incompiuta, è ancora geopoliticamente inoperante sul piano regionale. Su scala internazionale gli USA lavorano per un rimodellamento strategico degli equilibri mondiali allo scopo di rendere concreta la nuova strategia militare annunciata dal presidente Barak Obama il 5.1.2012. Il “Grande Medio oriente” (2), chiamata anche “dottrina USA di rimodellamento del Grande Medio oriente” (dottrina Bush) (3) è un progetto architettato dagli Stati Uniti che consiste nel ristrutturare il mondo arabo-mussulmano in uno spazio geograficamente continuo, includendovi paesi etnicamente eterogenei, la cui confessione predominante sia l’islam. Questo spazio si estende dall’Oceano Atlantico fino ai limiti dell’Asia Minore. L’aspirazione è quella di imporre la propria egemonia in questa regione rimodellata conformemente ai propri interessi strategici. Dopo molte discussioni relative ai modelli esecutivi del progetto (Grande Medio oriente), gli avversari della politica bellicista ritengono che esso sia realizzabile a costo minore appoggiando dall’esterno la sedizione dei movimenti delle frange sociali precipitate nella precarietà e nella disoccupazione. La strategia del BAO Non è un caso che tutti i paesi arabi (repubblicani?) che hanno subito gli sconquassi della “Primavera araba” figurino nel programma di questo famoso progetto, si tratta piuttosto della realizzazione di una strategia effettiva del BAO, minuziosamente programmata… Sul piano energetico l’obiettivo strategico, che consiste nel ridurre l’influenza russa negli approvvigionamenti della Unione Europea, non può essere raggiunto se la presenza militare russa nel Mediterraneo, soprattutto nel porto siriano di “Tartus”, non viene eliminata. Questa presenza permanente viene considerata ostile al progetto della nuova “Strada terrestre dell’oro nero” medio-orientale a beneficio della Turchia, dell’Europa e degli USA/NATO, un “mega oleodotto che trasporti l’oro nero medio-orientale attraverso la Siria e la Turchia”. L’obiettivo è molto caro alla Turchia che mira alla egemonia geostrategica ed economica nella regione, in contrapposizione alla crescente potenza dell’Iran. I Paesi del BRICS, RICS, principalmente la Russia e la Cina, per motivi geostrategici, si impegnano con forza e interesse a riposizionarsi nello scacchiere internazionale futuro come grandi potenze ed a proteggere i loro interessi geopolitici ed energetici. Per la Russia, che subodora nelle convulsioni del mondo arabo l’applicazione di un piano perfido di ricomposizione geopolitica della regione realizzato a danno dei suoi interessi di grande potenza, vi sono diverse ragioni strategiche che giustificano i suoi comportamenti nei confronti delle proposte avanzate dal BAO e dalla Lega Araba all’ONU: la salita al potere di un regime islamista, conformemente alle aspirazioni delle monarchie del Golfo, potrebbe provocare gravi tensioni interne nelle Repubbliche di confessione mussulmana del Caucaso affiliate alla Federazione Russa o poste alle sue frontiere (l’utilizzazione da parte degli USA della legione islamica in Afghanistan è ancora fresca nella memoria collettiva di Russi). Anche dal punto di vista politico, gli interessi in gioco sono molto grandi per il Cremlino. Una caduta del regime siriano comporterebbe sicuramente la sostituzione con un regime vassallo del BAO. Gli interessi economici e geostrategici della Russia sarebbero gravemente compromessi, soprattutto quelli legati al complesso militare-industriale. Per la Cina, i cui interessi strategici ed economici si incrociano con quelli del BAO in Africa e nel mare della Cina, altre ragioni strategiche giustificano il suo inflessibile comportamento, soprattutto l’esasperazione per la nuova strategia militare USA ricentrata sull’Asia-Pacifico, che considera ostile nei suoi confronti. Campo di scontro di grandi potenze, il conflitto siriano sarà certamente rude, difficile e forse di lunga durata, perché si tratta di un progetto egemonico primordiale per il BAO. D’altra parte la posizione dei BRICS resterà irremovibile contro ogni cambiamento ostile ai suoi interessi. Qualsiasi sia l’esito di questo scontro, la lettura politica sarà senz’altro la fine di un’era di unilateralismo USA sul mondo e una ridefinizione dei principi che hanno retto fino ad oggi le relazioni internazionali nel quadro di un rimodellamento consensuale degli equilibri mondiali. Peraltro, a sicuro detrimento del mondo arabo-mussulmano, che sarà ancora più frammentato da questo scontro pernicioso sunniti/sciiti, che si intravvede chiaramente in questa crisi. (1) Risoluzione 181 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, adottata il 29 /11/ 1947. (2) El Watan del 25 luglio 2012 - L’idée du « Grand Moyen-Orient ». (3) www.diploweb.com Géopoli-tique. La doctrine Bush de remodelage du Grand Moyen-Orient : entre idéalisme et pragmatisme, di Catherine Croisier, ricercatrice associata all’IRIS
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