http://www.agenparl.it Libia: Dossier Habeshia, nelle Carceri si Continua a Morire (AGENPARL) - Roma, 06 set - "Nelle carceri libiche migranti, profughi e richiedenti asilo continuano a morire. Soprusi, maltrattamenti, stupri, repressione feroce di ogni tentativo di protesta. Uccisioni anche a freddo". Lo denuncia un dossier dell’agenzia di assistenza Habeshia. La situazione è pressoché identica in tutte e tre le prigioni: un inferno di privazioni e soprusi, violenze continue, negazione di ogni diritto. “Già aver messo in carcere giovani, donne e bambini ‘colpevoli’ solo di essere fuggiti in cerca di libertà e di una vita migliore, è un abuso enorme denuncia don Mussie Zerai, presidente di Habeshia Ma addirittura non si rispetta nemmeno la loro dignità umana: non sono detenuti, sono schiavi in balia di aguzzini che ne dispongono come vogliono”. Gli episodi riferiti carcere per carcere sono eloquenti. Homs. Circa 200 detenuti. “In questi giorni rivela Habeshia i militari libici stanno costringendo i profughi a farsi registrare presso le ambasciate dei paesi d’origine. E’ il preludio all’espulsione: la riconsegna allo Stato che li perseguitava al punto da costringerli a scappare. Si tratta di un atto molto grave, a cui i profughi sono costretti a furia di violenze e in contrasto con ogni diritto internazionale umanitario. La Libia sta violando apertamente, in particolare, la convenzione dell’Unione Africana che tutela i diritti dei profughi e dei richiedenti asilo politico. Tra 150 e 200 uomini e donne vedono violentata ogni giorno la loro dignità umana. Subiscono discriminazioni per motivi religiosi e soprattutto gli uomini vengono picchiati continuamente. Alle donne malate o in stato di gravidanza, bisognose di controlli medici, viene negato qualsiasi tipo di assistenza. Ogni accenno di protesta viene punito. Nelle settimane scorse sono stati uccisi quattro giovani: tre eritrei e un somalo. Un ragazzo eritreo è stato colpito a freddo con un coltello dai militari mentre dormiva, forse per ‘punizione’. Contro questa serie di soprusi le donne, alle quali viene impedito anche di lavarsi, hanno organizzato uno sciopero della fame. La protesta è stata repressa selvaggiamente. I militari se la sono presa con un ragazzo come capro espiatorio: prima lo hanno pestato di botte e poi gli hanno sparato, senza alcuna ragione. Vedendo quella scena orribile, molte donne hanno iniziato a urlare e i militari, per ridurle al silenzio, hanno picchiato anche loro e sparato numerosi colpi d’arma da fuoco”. Tuewsha. Oltre 600 profughi. “E’ uno dei centri di detenzione più affollati rileva Habeshia Vi sono rinchiusi 550 uomini (500 somali e una cinquantina di eritrei) e sessanta donne: 50 somale e dieci eritree. Tre delle giovani eritree sono in stato di gravidanza: una ha già superato l’ottavo mese. Tutti, incluse le donne incinte, soffrono per la mancanza di cibo e di acqua. Acqua per l’igiene personale ma persino quella potabile, per potersi almeno dissetare. Molti sono lì da oltre sei mesi: sei mesi di continui maltrattamenti. Chi ha tentato la fuga ed è stato ripreso, ha subito pesanti sevizie da parte dei militari di guardia: uno ha perso un occhio per le percosse, altri lamentano invalidità fisiche permanenti”. Bengasi. Quattrocento prigionieri. “Questo centro si legge nel dossier è gestito teoricamente dalla ‘Mezzaluna Rossa’, ma in realtà comandano i miliziani armati della rivoluzione, che entrano quando vogliono e dispongono dei detenuti a loro piacimento. Diverse donne sono state violentate e almeno 140 uomini sono stati portati via per farli lavorare come schiavi. Anche i più giovani, ragazzini minorenni, non sfuggono alle botte e alle torture. Secondo alcuni testimoni, anzi, i miliziani avrebbero inventato un gioco orribile proprio usando questi ragazzini: una sorta di tiro a segno con bersagli umani. Eviterebbero di colpirli ma anche così, se è vero, resta una forma di tortura orrenda. Per puro, sadico divertimento”. Di fronte a tutto questo, don Mussie Zerai lancia un ennesimo appello alla comunità internazionale. All’Unione Europea perché intervenga sul governo libico. All’Italia perché faccia sentire la propria voce, sospendendo intanto l’efficacia dei trattati appena firmati. Alle agenzie delle Nazioni Unite perché tutti i profughi detenuti vengano liberati al più presto e trasferiti in centri di accoglienza gestiti dalla Commissione Onu per i rifugiati". “Da una Libia ‘democratica’ protesta don Zerai ci aspettavamo maggiore rispetto dei diritti umani e una seria lotta contro il razzismo nei confronti degli Africani: una lotta serrata contro ogni forma di discriminazione per motivi religiosi, etnici, razziali. Non è in alcun modo comprensibile questo accanimento contro i profughi. Ed appare assurdo, assordante il silenzio della comunità internazionale”.
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