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10 settembre 2012

Biram il sovversivo
di Nicola Quatrano

Mauritania, settembre 2012 - Dopo quattro mesi di prigione, Biram Abeid ed altri nove militanti dell'IRA (Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste) sono stati scarcerati e posti in libertà provvisoria. Erano accusati di "violazione dei valori islamici del popolo mauritano", per avere dato fuoco ad alcuni libri di giuristi sunniti malechiti che legittimavano la schiavitù.


Biram Abeid è un militante contro la schiavitù in Mauritania. I lettori di Ossin lo conoscono e sanno anche che è un sovversivo, nel senso migliore del termine. Le sue iniziative non sono mai rituali, agitano le acque e rompono i giochi costringendo tutti a prendere partito, con lui o contro di lui. Personalmente credo che abbia ragione e che il suo modo di agire sia l’unico in grado di produrre veri risultati, in un ambiente chiuso come quello mauritano dove le classi dominanti non amano essere contraddette (come dovunque peraltro) e, quando i rapporti di forza non consentono di ricorrere alla repressione brutale, tentano di praticare la strategia dell’ammorbidimento e della cooptazione,  che finisce inevitabilmente per rendere gli oppositori dei finti oppositori.

Biram non rispetta le convenzioni, soprattutto quelle il cui rispetto rende accettabile un oppositore agli occhi dell’avversario. Le sue iniziative non sono discrete né eleganti: lui irrompe sulla scena come il proverbiale elefante nella cristalleria e spacca tutto. 

Così è stato quando ha fondato l’IRA (Initiative de résurgence du mouvement abolitionniste), che già è stata una provocazione perché l’idea era quella di far “risorgere” il movimento abolizionista dalla palude della pura e semplice testimonianza e della ritualità priva di mordente nella quale si erano impantanate le “storiche” associazioni di lotta alla schiavitù, prima tra tutte SOS Esclave. Biram voleva fare di più, voleva rompere gli schemi e dare davvero fastidio.

E diamine se non lo ha fatto! La nuova organizzazione non si è limitata a denunciare il fenomeno della schiavitù, ma ha denunciato persone reali, i proprietari di schiavi appunto. E quando la polizia non ha dato seguito alle denunce, ha organizzato sit-in davanti ai commissariati o davanti alle case dei denunciati. Il nome di Biram è diventato così famosissimo in tutta la Mauritania, suscitando speranze (tra gli schiavi) e terrore (tra i maitre). 

Per la prima volta vi sono state delle condanne pronunciate da Tribunali mauritani contro i padroni di schiavi, come è stato nel caso dei maitre di Said e Yarg, due ragazzini di 14 e 12 anni, liberati proprio per iniziativa dell’IRA.

La pratica della schiavitù in Mauritania affonda le sue radici nella tradizione. Uno degli strumenti più potenti che ne consente l’attuazione è la religione. Una distorta lettura delle scritture che legittima l’asservimento dei neri ai bianchi arabo-berberi.

E contro la religione, anzi contro queste inaccettabili interpretazioni, si è scagliato Biram. Venerdì 27 aprile 2012, dopo una preghiera organizzata dall’IRA nella sede della municipalità di Riyadh (il quartiere di Nouakchott dove vive Biram), egli ha tenuto una conferenza stampa, nel corso della quale ha denunciato le dichiarazioni rese dall’erudito mauritano Cheikh Mohamed El Hacen Ould Dedew, secondo il quale non vi sarebbe schiavitù in Mauritania. Egli ha inoltre criticato aspramente le autorità mauritane che hanno consentito che, da parte di una emittente che trasmette letture del Corano (Radio du Coran), fosse diffusa la fatwa di un imam saudita della città di Medina, Saleh Ben Awad Ben Saleh Elmaghamsy, che invitava i mussulmani sauditi e degli altri paesi del Golfo ad acquistare schiavi in Mauritania (dove ve ne sono in abbondanza), per poi liberarli e così espiare i propri peccati. Il predicatore aveva anche fornito il listino dei  prezzi: la testa di uno schiavo vale 10.000 Riyals sauditi, vale a dire circa 800.000 ouguiya mauritane e poco più di 2000 euro.

Poi lo scandalo supremo: Biram ha dato alle fiamme alcuni libri di giureconsulti di rito sunnita malechita che hanno disciplinato le relazioni tra schiavo e padrone, con ciò legittimando la schiavitù. Si tratta delle opere di El Khalil, di Ebn Acher, di Risalla, di Alakhdary, la Mudawwana Al Kubra (enciclopedia) di Al Qassimi.


L’insopportabile scandalo
Non suona bene bruciare dei libri, ricorda i roghi nazisti. Ma attenzione! Un gesto non ha sempre lo stesso significato, il suo senso cambia col mutare del contesto. Il rogo di libri da parte delle milizie di un potere formidabile è un gesto osceno nella sua spregevole arroganza: è il potere che non tollera il dissenso neppure soltanto espresso a parole, è il potere che disprezza il “culturame” e pretende di imporsi con la forza anche alle menti e alle coscienze. A questo gesto assomigliano molto di più le leggi che puniscono chi nega lo sterminio degli ebrei o degli armeni piuttosto che la provocazione di Biram. Le prime sono quelle leggi approvate in diverse nazioni europee, Francia in testa, che negano anche solo la possibilità di una ricerca critica nei confronti della storia scritta dal vincitore, quella di Biram è il gesto estremo  dello sfruttato che si ribella ad un potere che usa anche il sapere per opprimerlo e che dice BASTA! all’oppressione e alle teorie che la giustificano.  

E’ inutile dire che questa sottile differenza è sfuggita del tutto ai detrattori di Biram, che si sono scagliati contro di lui chiedendone (letteralmente) la testa, invocandone l’arresto e perfino l’applicazione della pena di morte.

E, solo il giorno successivo, sabato 28 aprile, Biram Ould Dah Ould Abeid è stato arrestato, all’esito di una vera e propria azione di forza, con uso di lacrimogeni e irruzione della polizia nella sua abitazione. Lui e nove altri suoi compagni di lotta sono stati incriminati del reato di “violazione dei valori islamici del popolo mauritano”. Perfino il Presidente della Repubblica islamica della Mauritania, Mohamed Ould Abdel Aziz, è intervenuto per condannare questo atto “contrario ai valori dell’islam”, affermando che la Mauritania è uno “Stato islamico e non laico”.

Quattro mesi Biram e i suoi compagni sono rimasti in galera, prima che la mobilitazione internazionale ottenesse la loro scarcerazione e la concessione della libertà provvisoria. Quattro mesi nel corso dei quali le sue già precarie condizioni di salute si sono aggravate. Stando a quello che ha fatto appena liberato (vedi “Libertà provvisoria per i detenuti dell’IRA”), il carcere non gli ha tolto né il coraggio né il gusto della sfida. Dovremo attenderci altre indigeribili provocazioni… le aspettiamo con ansia.

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