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8 maggio 2012

Israele/Palestina: chi crede ancora ai due Stati?
di Stefano Nanni

Il processo di pace ristagna ormai da tempo. Da Oslo in poi nulla è cambiato, ma tra israeliani e palestinesi da qualche tempo si fa largo un’idea fino a qualche anno fa impensabile: la soluzione “ad uno Stato”. Un unico paese quindi, dove israeliani e palestinesi dovrebbero avere pari diritti e dignità.

C’era una volta il processo di pace: per decenni la soluzione “a due Stati” al conflitto israelo-palestinese è sfuggita di mano anche ai migliori peace-makers.

I diplomatici e i politici che si sono incontrati in questi anni hanno parlato e si sono stretti la mano, immortalati dalle tante foto-ricordo che però non hanno cambiato la vita di quei palestinesi e quegli israeliani desiderosi di pace.

Nel frattempo l’occupazione dei Territori Palestinesi ha fatto passi da gigante.

Gli insediamenti israeliani sono passati da rudimentali accampamenti a vere e proprie cittadine mentre i palestinesi sono stati gradualmente rilegati in spazi sempre più ridotti.

Da Madrid ad Oslo passando per Wye River, Camp David,  Taba ed infine ad Annapolis – per nominare solo gli incontri ufficiali – le porte per la nascita di uno Stato palestinese accanto a quello israeliano si sono chiuse lentamente.

“Anche coloro che hanno sempre sostenuto la soluzione a due Stati la considerano ora poco realistica” – afferma Ilan Pappé, uno dei più noti e controversi ‘nuovi storici israeliani’, a margine di una conferenza tenutasi mercoledì scorso alla University of Toronto.

“Per avere conferme è sufficiente passare solo cinque minuti nei Territori Occupati. Di qualunque soluzione si discuta essa dovrà includere israeliani e palestinesi nella stessa struttura. La questione ora è: sarà uno Stato binazionale od un unico Stato democratico?”

Lo storico israeliano non è il solo a pensarla così.

Lo scorso mese due degli architetti degli Accordi di Oslo hanno agitato le acque degli ambienti diplomatici, attaccando duramente il processo di pace che contribuirono a creare nel 1993.

Gli allora ministro della Giustizia israeliano Yossi Beilin ed il primo ministro palestinese Ahmed Qurei, che lavorarono insieme ad Oslo per la storica stretta di mano tra Rabin ed Arafat a Washington nel settembre di 19 anni fa, hanno dichiarato che gli accordi sono ormai defunti.

Beilin lascia però un piccolo spiraglio alla soluzione a due Stati, in una lettera aperta pubblicata il mese scorso dal Foreign Policy, al presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Il contenuto della medesima è illuminante, dal momento che contiene la richiesta di smantellare l’Autorità palestinese, che nello spirito di Oslo fu intesa come un’amministrazione ad interim fino a che i palestinesi non avrebbero guadagnato una piena indipendenza attraverso i negoziati di pace.

Ma la storia, da Oslo in poi, ci ha dimostrato che in realtà questa istituzione è 'servita' per legittimare ed intensificare l’occupazione.

Lo scenario che si verrebbe a creare, nei termini della lettera, vedrebbe Israele in un controllo formale e totale della Palestina. 

Per contro, Ahmed Qurei ha invece affermato che “la soluzione a due Stati è stata uccisa dalle politiche espansionistiche israeliane in Cisgiordania e Gerusalemme Est” e che “la one-state solution, nonostante le innumerevoli difficoltà che comporta, è una delle soluzioni che dovremmo contemplare seriamente".

Così come Pappé, anche Qurei e Beilin, seppur in forme diverse, non sono i soli a condividere questa visione.

Due mesi fa ha infatti raggiunto le 'alture dell’accademia', per la precisione alla John F. Kennedy School of Government di Harvard, dove si è tenuta una conferenza dal titolo, per l’appunto, 'One State Conference'.

Organizzata da un gruppo di studenti, all'incontro hanno partecipato personalità accademiche provenienti dalle più importanti università americane, israeliane ed europee, tra i quali oltre ad Ilan Pappé, Susan Akrahm, che da anni si occupa di rifugiati e della questione del diritto al ritorno dei palestinesi.

C'erano anche Ali Abunimah, co-fondatore dell'Electronic Intifada e autore del libro "One Country: A bold proposal to end the Israeli-Palestinian impasse", Diana Buttu, ex-consigliere legale presso l’Olp e diverse organizzazioni palestinesi ed israeliane, il professore Stephen Walt dell'International Affairs ad Harvard, e co-autore del celebre libro "The Israel lobby and US foreign policy".

Partendo dal presupposto che israeliani e palestinesi sono destinati a vivere insieme, lo scopo della conferenza era quello di esaminare i modi in cui questa convivenza potrebbe avere luogo nell’ottica di un’equa divisione di poteri e diritti tra le due comunità.

Tuttavia, nonostante la partecipazione e l’entusiasmo degli studenti, c’è chi ha storto il naso e si è addirittura indignato che una università di tale prestigio “si prestasse a discutere di questi eufemismi che mirano all'eliminazione di Israele in quanto Stato ebraico.”

Il senatore americano repubblicano Scott Brown ha condannato l’iniziativa affermando che "l’élite accademica deve capire che le loro idee hanno delle conseguenze nel mondo reale che è diverso dalla loro torre d’avorio, e l’ultima cosa di cui Israele ha bisogno è che Harvard legittimi una terribile e fuorviante idea".

"L’ostacolo principale non è affatto il carattere ebraico dello Stato israeliano – l’ebraismo ha diverse facce e molte di loro offrono solide basi per la pace e la coabitazione. Il problema, per contro, è il suo carattere sionista. Il sionismo non ha gli stessi margini di pluralismo che l’ebraismo offre, specialmente nei confronti dei palestinesi. Quindi Israele non ha scelta: trasformarsi un giorno in un vero stato civile e democratico".*

Purtroppo però parlare di one state solution significa spesso essere dei nemici di Israele o degli utopisti, in particolar modo negli Stati Uniti in pieno fermento per la corsa alla Casa Bianca.

Questo è un periodo in cui il conflitto israelo-palestinese è usato per prendere voti, reiterando il sostegno incondizionato ad Israele, oppure è messo a tacere, opzione scelta questa volta dall’amministrazione Obama.

Tuttavia, se nelle alte stanze della politica l’argomento non viene fatto entrare, israeliani e palestinesi ne parlano da diverso tempo, ed Harvard, Qurei e Beilin sono alcuni esempi, tra i tanti, di come la pace possa rimanere un argomento vivo e dinamico nonostante la politica contribuisca ad addormentarlo.

 

*Citazione di Ilan Pappé nel libro The Ethnic Cleansing of Palestine.