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15/9/12

L’Independent: gli Usa sapevano dell’attentato di Bengasi

L’ambasciatore statunitense Chris Stevens sarebbe stato ucciso l’11 settembre nell’assalto al consolato Bengasi, condotto con armi pesanti, per vendicare il “tradimento” degli americani, che in Pakistan hanno assassinato il guerrigliero Mohammed Hassan Qaed, un agente libico di Al-Qaeda. “Abu Yahya al-Libi”, questo il suo nome di battaglia, sarebbe stato “sacrificato” da Washington dopo la fine della guerra contro Gheddafi, nella quale la Nato non ha esitato a impiegare terroristi islamici. Il film contro Maometto che ha incendiato le capitali musulmane sarebbe stato solo un pretesto per scatenare il caos, all’interno del quale è maturato l’attentato, dei cui preparativi – scrive il quotidiano inglese “The Independent” – si sospetta che l’America fosse al corrente. Dettagli inquietanti, sottolinea “Megachip” in una nota, che rivelano «l’imbarazzante alleanza occidentale, nella sporca guerra di Libia, con i peggiori tagliagole».

«Alti funzionari – scrive Kim Sengupta sul prestigioso giornale britannico – sono sempre più convinti che la feroce natura dell’attentato di Bengasi, in cui sono state utilizzate granate, indica che non era l’effetto di una rabbia spontanea dovuta al film, intitolato “Innocence of Muslims”». Patrick Kennedy, sottosegretario al Dipartimento di Stato, si è detto convinto che l’assalto fosse pianificato per via della natura vasta e diffusa delle armi. C’è stata come minimo una falla grave nella sicurezza dei diplomatici americani in Libia: l’ambasciatore Chris Stevens era tornato nel paese solo da poco, mentre i dettagli della sua visita a Bengasi dovevano rimanere riservati. Dal consolato sono anche scomparsi molti documenti sensibili, mentre la posizione presumibilmente segreta del “rifugio” in città, dove il personale si era ritirato, è stata intensamente attaccata con i mortai.

«Secondo fonti diplomatiche ad alto livello – continua Sengupta – il Dipartimento di Stato Usa aveva informazioni credibili già 48 ore prima che i tumulti si svolgessero al consolato di Bengasi e all’ambasciata al Cairo, sul fatto che le missioni americane potevano essere prese di mira, ma nessun avvertimento è stato indirizzato ai diplomatici affinché si mettessero in allerta e in “serrata”, attenendosi a regole che limitano fortemente i movimenti». Il senatore Bill Nelson, membro della Commissione sull’Intelligence del Senato, ha chiesto di «indagare immediatamente su quale ruolo potrebbero aver giocato nell’attacco Al-Qaeda o sue affiliate e di prendere gli opportuni provvedimenti». Secondo fonti dell’intelligence Usa, il consolato di Bengasi aveva superato una “visita di controllo” per prevenire qualsiasi violenza che fosse collegata all’anniversario dell’11 Settembre.

Nonostante i controlli, il consolato di Bengasi non era affatto al sicuro: il muro perimetrale è stato sfondato dalla folla. Un testimone, Ali Fetori, rivela che «gli uomini della sicurezza semplicemente sono tutti scappati e le persone passate al comando erano i giovani con pistole e bombe». Si ritiene che l’ambasciatore Stevens sia stato abbandonato nell’edificio e ritrovato troppo tardi, già in agonia per l’inalazione del fumo dell’incendio. Poi sull’edificio si è scatenato un bombardamento di armi pesanti, come racconta il capitano Fathi al-Obeidi, a capo della Brigata 17 Febbraio, inviata sul posto per ripristinare l’ordine: «Non so come abbiano trovato il posto per compiere l’attacco. È stato pianificato, la precisione con cui i mortai ci colpivano era troppo precisa per dei rivoluzionari qualsiasi: ha cominciato a piovere su di noi, circa sei colpi di mortaio sono caduti direttamente sul sentiero verso la villa». Una vendetta, dunque, per la morte dell’ex alleato di Al-Qaeda ucciso in Pakistan sotto il fuoco missilistico dei droni?

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