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03/10/2012 12:42

Islam e blasfemia: il Corano non prescrive violenze per chi offende Maometto
di Maulana Wahiduddin Khan

Il noto intellettuale islamico indiano spiega che il libro sacro per i musulmani non condanna chi insulta il profeta o usa contro di lui un linguaggio offensivo. Ripercorrendo alcuni versetti del Corano, Maulana Wahiduddin Khan ricorda che lo stesso Maometto era apostrofato come “bugiardo”, “posseduto”, “sciocco”, ma in nessuna parte del testo si invitano i credenti a vendicare le offese.

Mumbai (AsiaNews) - Nelle ultime settimane, la diffusione di un film che deride Maometto ha scatenato un'ondata di violenze in diversi Paesi islamici (Libia e Pakistan in particolare), apparentemente per motivi religiosi. In un intervento apparso sul The Times of India, Maulana Wahiduddin Khan, intellettuale islamico indiano noto per il suo attivismo pacifico, spiega come il Corano non preveda fustigazione, morte o altre punizioni fisiche per chi "si macchia" di blasfemia nei confronti del profeta. Al contrario, spiega, il libro sacro dell'islam "comanda al credente di non offendere i suoi avversari", e di affrontare in modo dialogico e pacifico quanti la pensano in modo diverso. Nato nel 1925 ad Azamgarh (Uttar Pradesh), Maulana Wahiduddin Khan ha tradotto il Corano in inglese, scritto diversi libri sull'islam, e dirige il Centre for Peace and Spirituality, di cui è fondatore. Egli ha ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo impegno pacifico, tra cui il Demiurgus Peace International Award, con il patrocinio dell'ex presidente sovietico Mikhail Gorbachev; il Padma Bhushan, terzo riconoscimento civile più importante in India; il National Citizen's Award. Di seguito, pubblichiamo l'articolo apparso sul The Times of India. Traduzione a cura di AsiaNews.

Nell'islam, la blasfemia è oggetto di discussione intellettuale più che di punizione corporale. Nel Corano, questo concetto è espresso con molta chiarezza.

Il Corano racconta che sin dall'antichità, Dio ha mandato i profeti uno dopo l'altro, in ogni città e comunità. Esso dice, inoltre, che i contemporanei di tutti questi profeti avevano un atteggiamento negativo nei loro confronti.

Vi sono più di 200 versetti del Corano, che rivelano come i contemporanei dei profeti abbiano avuto lo stesso comportamento più volte, che oggi è chiamato "blasfemia" o "insulto del Profeta" o "usare un linguaggio offensivo contro il Profeta". Nei secoli, i profeti sono stati derisi e insultati dai loro contemporanei (36:30); alcuni degli epiteti citati nel Corano sono "bugiardo" (40:24), "posseduto" (15:6), "falsificatore" (16:101), "uomo sciocco" (7:66). Il Corano riporta queste offese usate dai contemporanei dei profeti, ma in nessuna sua parte il Corano prescrive la fustigazione, la morte, o qualsiasi altra pena corporale.

Ciò dimostra in modo chiaro che "l'offesa al Profeta" non è oggetto di punizione, quanto piuttosto di un ammonimento pacifico. Ovvero, colui che si rende colpevole di insultare il Profeta, non dovrebbe subire pene corporali, ma ricevere valide argomentazioni per potersi chiarire. In altre parole, per correggere una persona si dovrebbe usare una persuasione pacifica, invece di cercare di punirla.

Coloro i quali assumono un atteggiamento negativo nei confronti del profeta, saranno giudicati da Dio, che conosce i recessi più intimi dei loro cuori. La responsabilità dei credenti è di osservare una politica di prevenzione e, si spera, portare loro il messaggio di Dio, in modo che le loro menti possano affrontare l'argomento in modo appropriato.

Un altro aspetto importante di tale questione, è che in nessun punto nel Corano si afferma che chiunque usa un linguaggio offensivo contro il profeta, deve essere fermato dal farlo, e che nel caso in cui continui, debba meritare una pena severa. Al contrario, il Corano comanda al credente di non offendere i suoi avversari: "Non insultate coloro che essi invocano all'infuori di Allah, per timore che, per ostilità e ignoranza, insultino Allah" (6:108).

Questo versetto del Corano chiarisce che non è compito dei credenti creare organismi di "copertura mediatica" e dare la caccia a quanti sono coinvolti in atti di diffamazione del profeta, e poi pianificare la loro uccisione, a qualunque costo. Al contrario, il Corano impone ai credenti di astenersi in modo diligente dall'indulgere in atti, che potrebbero provocare le persone a vendicarsi, offendendo l'islam e il profeta. Questa intimazione del Corano chiarisce che tale responsabilità ricade sui credenti, più che ritenere altri responsabili e chiedere che siano puniti.

Guardando da questa prospettiva, l'attuale posizione dei musulmani va del tutto contro gli insegnamenti del Corano. Ogni volta che qualcuno - a loro giudizio - commette atto di "offendere il profeta", in discorsi o per iscritto, essi si sentono subito provocati e rispondono con processioni per le strade, che spesso diventano violente. E dopo, essi chiedono che tutti quelli che hanno offeso il profeto siano decapitati.

In genere, gli islamici sostengono la teoria che la libertà d'espressione è un bene, ma che nessuno ha il diritto di ferire i sentimenti religiosi di un altro. Questa teoria è del tutto illogica. La libertà non è un diritto auto-acquisito. È Dio, che nel suo disegno di mettere l'uomo alla prova, ha dato all'uomo totale libertà. Poi, il moderno concetto laico di libertà è che ognuno è libero a condizione che non faccia del male fisico ad altri. In una simile situazione, la suddetta domanda [la decapitazione per chi offende il profeta] equivale ad abolire due cose: anzitutto, abolire il disegno divino; in seconda battuta, abolire la moderna norma laica. Nessuna delle due è percorribile.

Così, il clamore contro la cosiddetta "offesa al profeta" è semplicemente indifendibile. Adottando questa politica, i musulmani possono rendersi ostili in modo permanente, ma non possono cambiare il sistema del mondo.

C'è un importante hadith [detti attribuiti a Maometto] in cui il profeta dell'islam dice: "Min husn Islam al-mar tarkahu ma la yanih" (Un bravo musulmano è chi si astiene dall'indulgere in una pratica che non porta ad alcun risultato positivo). Questo hadith ben si addice all'attuale situazione dei musulmani. Da lungo tempo, essi protestano contro la blasfemia, ma è stato inutile. Gli islamici devono capire che non sono in posizione di poter cambiare il mondo, quindi devono cambiare se stessi. Nell'adottare questa politica, vi saranno due immediati vantaggi: salveranno se stessi dal diventare vittime di sentimenti negativi, e riusciranno a dedicare le loro energie verso qualcosa di costruttivo. 

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