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29 Giugno 2012

La rivoluzione passiva che sta emergendo in Egitto
di Cihan Tugal
Traduzione di Maria Chiara Starace

La rivoluzione passiva che sta emergendo in Egitto

Un anno e mezzo dopo la cacciata dell’ex Presidente Hosni Mubarak, i rivoluzionari egiziani sono tornati nelle strade nella prima metà di giugno 2012. Le enormi folle che hanno riempito le piazze pubbliche di tutto l’Egitto sfidano quei resoconti che  inavvertitamente  riducono  l’insurrezione rivoluzionaria a un ingenuo tentativo che sta aprendo la strada all’usurpazione del potere da parte degli “autocrati islamici.” Mentre la polarizzazione della comunità politica dell’Egitto su tutta la divisione Islamisti-laici è evidente, interpretare le dinamiche della politica egiziana per mezzo del prisma di questa divisione, si dimostra molto limitante. Più che un litigio tra islamisti e laici, il nuovo Egitto riflette una divisione triplice tra partigiani della rivoluzione, contro rivoluzionari e “rivoluzionari passivi” –cioè persone che si sono auto dichiarate rivoluzionarie, il cui impegno per far progredire obiettivi rivoluzionari, è tenue. La debolezza della capacità organizzativa nel campo rivoluzionario egiziano ha contribuito al trionfo (ancora traballante) dei rivoluzionari passivi del paese, come è evidenziato dal successo provvisorio della Fratellanza Musulmana nell’elezione presidenziale, sollevando  in tal modo seri dubbi  sul futuro della Rivoluzione del 25 gennaio.

La minaccia della rivoluzione passiva

La comunità politica in Egitto è divisa in tre campi socio-politici e cioè: il vecchio regime (noto anche come la controrivoluzione); i rivoluzionari; le forze della rivoluzione passiva. La divisione dei tre campi è definita dal loro impegno per conseguire gli obiettivi rivoluzionari (o dalla  mancanza di esso) piuttosto che da puri principi  ideologici o religiosi. In altre parole, il ruolo dell’Islam nel nuovo Egitto è senza altro il problema maggiore che determina l’arena politica emergente del paese. Infatti tutti e tre i campi includono individui e gruppi che desiderano un Egitto più islamico.

Tra le due estremità dello spettro – rivoluzionari da una parte e forze del vecchio regime dall’altra – ci sono i rivoluzionari passivi. Una rivoluzione passiva implica domare i quadri oppositivi  il discorso in modo tale che vengano assorbiti nel sistema esistente, rafforzando la sua stabilità e la resistenza al cambiamento.  Una rivoluzione passiva acquista slancio quando c’è una situazione di vecchio regime che si estingue, ma con gli sfidanti che offrono promesse definite soltanto vagamente (per esempio “libertà” o “giustizia sociale”), senza dare un  significato  a queste ampie promesse o senza mobilitare  l’appoggio popolare che sta dietro a domande concrete.

Il protagonista principale della rivoluzione passiva in Egitto è la Fratellanza Musulmana (Muslim Brotherhood –MB), “i Mubarak con la barba,” come un personaggio dell’opposizione (islamica) me li ha descritti. Le percezioni occidentali convenzionali della MB, oscillano tra l’immagine di una forza teocratica pericolosa e, più benevolmente, e quella dell’agente del cambiamento democratico, ma nascondono la caratteristica più straordinaria del gruppo. Specificamente, molto osservatori locali in Egitto vedono la sfida del crescente potere della Fratellanza non come una minaccia alla costruzione di un regime islamico. La sfida, invece, come essi  la considerano, riguarda l’unilateralismo del gruppo e la sua tendenza a monopolizzare il potere. Molti, quindi temono che a Fratellanza Musulmana potrebbe sfruttare lo slancio e i discorsi  democratici per fare avanzare  obiettivi che sono incoerenti con le richieste della rivoluzione: per esempio l’interesse del gruppo ad approfondire il progetto neo-liberale in Egitto.

Il processo di stesura della Costituzione e la ritirata delle battaglie rivoluzionarie

Le linee tra questi tre campi non dovrebbero essere considerate come una realtà statica, ma con un insieme di confini politici dinamici che possono essere modificati o indeboliti da altre dimensioni di conflitto politico.   Per esempio, mentre i tre campi erano  palesi  durante la vigilia dell’elezione presidenziale, quando i candidati  si ponevano di fronte alla rivoluzione e ai suoi obiettivi, queste stesse divisioni erano in gran parte inappropriate alle battaglie politiche riguardanti il processo di scrittura della costituzione.  Durante questo processo, il conflitto verteva sui battibecchi riguardo al ruolo dei principi islamici nel nuovo sistema politico, escludendo quindi i conflitti tra i partigiani della rivoluzione e i loro avversari.

Non sorprende quindi che i movimenti rivoluzionari non siano riusciti  ad avere qualsiasi  impatto visibile sul processo di stesura della costituzione. Mancando di organizzazione politica, di dirigenza e di esperienza, i rivoluzionari potevano soltanto attaccare da lontano la transizione gestita dalla SCAF. (Supreme Council of the Armed Forces – Consiglio Supremo delle forze armate). Nel frattempo gli Islamisti e le “forze civili” (madaniyin) hanno litigato all’ombra dei militari, lottando sull’equilibrio di rappresentatività tra Islamisti e laici all’interno dell’assemblea costituente, invece che sulla  misura in cui coloro scelti per scrivere la prossima costituzione del paese, hanno sostenuto le richieste di libertà, dignità, e giustizia sociale.

 

Rivolte senza leader o leader disorganizzati?

Questo ci porta al punto cruciale del problema che deve affrontare  la rivoluzione dell’Egitto, cioè l’incapacità dei rivoluzionari di partecipare in modo significativo ai processi di costruzione delle istituzioni a causa della loro mancanza di organizzazione, di esperienza e di visione programmatica. Questo difetto lascia il campo in gran parte aperto ai rivoluzionari passivi e a coloro che voglio appropriarsi dei discorsi e degli obiettivi rivoluzionari  allo scopo di realizzare dei programmi ristretti.  Con questo non voglio dire che i rivoluzionari non considerino il valore delle battaglie che mirano a formare le nuove istituzioni politiche dell’Egitto. I movimenti rivoluzionari spesso hanno emesso dichiarazioni che discutono le pecche del processo di scrittura  della costituzione, e hanno criticato i politici perché litigano  riguardo ai seggi nell’assemblea costituente invece che sostenere gli scopi della rivoluzione. Queste affermazioni, tuttavia, non hanno avuto un impatto duraturo. Il problema non è che gli attivisti rivoluzionari stiano trascurando le battaglie per costruire le istituzioni, ma piuttosto che nessuno tra i protagonisti impegnati in questi conflitti guidati dall’elite, presterà loro ascolto. In altre parole, l’assenza di una organizzazione politica rivoluzionaria in effetti protegge il processo della costruzione delle istituzioni politiche dalle richieste della rivoluzione.

Questo è precisamente il malessere della “rivoluzione senza capi”. Forse è possibile abbattere un dittatore anche se mancano un leader, l’esperienza e un programma. Invece, costruire delle istituzioni, e formulare e mettere in pratica delle politiche e delle piattaforme è impossibile senza dei capi che si sobbarchino questi pesi.

La disorganizzazione dei militanti in Egitto non è una scelta consapevole, come avviene in molti movimenti attivi in Occidente, ma piuttosto una limitazione imposta dall’eredità del vecchio regime. Il defunto presidente Anwar al-Sadat e il suo successore Mubarak, hanno distrutto tutta l’organizzazione politica dell’Egitto, tranne gli islamisti e pochi partiti leali dell’opposizione. I resti del vecchio regime, compresi gli attuali governanti militari del paese, continuano a  perseguitare,   torturare, ferire e uccidere i militanti rivoluzionari. Collaborano anche con i “rivoluzionari passivi” per limitare il loro ruolo nella formazione  delle nascenti istituzioni politiche dell’Egitto compresa la sua nuova costituzione.

Inoltre, la disorganizzazione tra le forze rivoluzionarie si riflette nell’ambiguità che circonda le loro richieste di giustizia sociale e il loro fallimento di definire questo obiettivo in termini concreti. La “capacità” necessaria per costruire questa visione richiede di più che gli sforzi in buona fede di individui intelligenti e di militanti carismatici. Richiede lo sforzo coordinato di dirigenti, quadri, intellettuali ed esperti nel corso di anni, se non  di decenni, non nell’impeto del momento rivoluzionario. Anche a causa della disorganizzazione delle forze rivoluzionarie, i sostenitori della rivoluzione hanno dovuto accontentarsi di candidati alla presidenza provenienti      dalla tradizionale classe delle elite politiche dell’Egitto che non sono riusciti a offrire una visione coerente dei modi di  promuovere le richieste della rivoluzione di libertà e giustizia sociale. Tra questi candidati ci sono Abdel Moneim Abul Futouh e Hamdeen Sabbahi. Nel secondo round elettorale, la scelta che avevano davanti gli elettori filo-rivoluzionari, era anche peggiore: precisamente era la scelta tra la controrivoluzione e la rivoluzione passiva, cioè tra l’ultimo primo ministro di Mubarak, Ahmaed Shafik e il candidato della Fratellanza Musulmana Mohammed Mursi. In questo contesto, i sostenitori della rivoluzione non potrebbero trovare un’alternativa elettorale che li rappresenti veramente. Invece essi potrebbero votare per Mursi, considerato il male minore rispetto a Shafik, il candidato del vecchio regime, oppure boicottare  completamente l’elezione presidenziale.

Il futuro della mancanza di dirigenza

Il secondo turno dell’elezione presidenziale e la recente offesa della SCAF contro la libertà politica, hanno solidificato la triplice divisione tra rivoluzione, contro rivoluzione e rivoluzione passiva. Hanno anche rafforzato i difetti di organizzazione dei rivoluzionari. Contemporaneamente, mentre la campagna per boicottare l’elezione presidenziale non ha avuto successo, ha dato alle forze rivoluzionarie un’occasione di valutare il loro potere e di identificare i loro limiti. Il campo rivoluzionario sta diventando più consapevole della sua incapacità  di presentare alternative, come è evidenziato dalle scelte limitate offerte dall’elezione presidenziale. Gli osservatori locali hanno di recente cominciato a sostenere che l’incapacità di sviluppare una sfida credibile alla manipolazione fatta dai militari di questa transizione, è il risultato della mancanza di esperienza e di organizzazione dei rivoluzionari.  Ammettendo questo problema, alcuni rivoluzionari sostengono che hanno bisogno di sviluppare la capacità di costruire un governo completamente rivoluzionario.

L’esperienza egiziana fornisce lezioni per i militanti politici di tutto il mondo. I rivoluzionari passivi è molto probabile che alla fine prevalgano se emergeranno situazioni rivoluzionarie in assenza di un programma di transizione e di una organizzazione con legami di massa per mobilitare il sostegno a sostegno di una visione rivoluzionaria.  Come è dimostrato dall’Egitto del dopo Mubarak, in un tale scenario, è probabile che i rivoluzionari passivi emergeranno come l’unica alternativa fattibile ai controrivoluzionari.

Detto questo, la attuali realtà in Egitto non sono  immutabili e c’è relativamente più spazio oggi per rafforzare il campo rivoluzionario e superare i suoi difetti       organizzative di fronte a forze contro-rivoluzionarie e rivoluzionarie passive.  Mentre il futuro della rivoluzione nel nuovo Egitto ha di fronte delle sfide difficili, è modificabile. La battaglia cruciale che darà forma al futuro dell’Egitto, tuttavia, implica non soltanto uno scontro tra i difensori del cambiamento di tipo rivoluzionario e i controrivoluzionari, ma anche un conflitto tra i rivoluzionari e la rivoluzione passiva emergente in Egitto.

 


[1] La Fratellanza Musulmana  ha fatto molte promesse relative all’economia, alcune delle quali si contraddicono. Per esempio, mentre promette ai circoli locali e internazionali di affari che aderirà alle riforme del libero mercato, promette ai lavoratori e alla gioventù egiziana che interverrà in campo economico per far avanzare politiche a favore del lavoro.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.zcommunications.org/egypt-s-emergent-passive-revolution-by-cihan-tugal

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