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14 marzo 2012

Il manager accusa Goldman Sachs
"Ambiente tossico e distruttivo"
di Angelo Aquaro

Greg Smith il numero uno degli "equity derivatives business" lascia la banca d'affari: "Gli interessi dei clienti continuano a essere messi da parte dal modo con cui l'istituto opera e pensa per fare soldi". Secca la replica: "Non è il modo in cui lavoriamo". E la lettera diventa virale: letta da tre milioni di persone

NEW YORK - Mi dispiace devo andare, il mio posto non può più essere qua. Non s'era mai vista una così drammatica, violenta, pubblica separazione tra una megamanager e la sua banca. E che banca, che manager. L'istituto è la prestigiosissima Goldman Sachs, la banca d'affari più famosa d'America che nell'ultimo secolo e mezzo ha vissuto sulla propria pelle la clamorosa trasformazione da motrice dello sviluppo a rappresentazione vivente dell'"ingordigia" messa all'indice da Occupy Wall Street e dal "Wall Street" hollywoodiano di Oliver Stone. E lui, Greg Smith, non solo è il direttore esecutivo ma il capo degli "equity derivatives business" per l'Europa, e il Medio Oriente e l'Africa.

Proprio "equity" è la parola che stride con il comportamento della banca odierna. "Oggi è il mio ultimo giorno a Goldman Sachs": comincia così l'atto d'accusa che il supermanager ha affidato in prima persona alle colonne del New York Times, il giornale che più di altri negli ultimi anni è andato a scavare nei segreti della banca d'affari del ceo Lloyd Blankfein. E proprio Lloyd "la Piovra", secondo la celebre definizione di Matt Taibbi, il re dei reporter d'inchiesta di "Rolling Stone", è tra i responsabili del naufragio etico che il supermanager indica per nome e cognome.

"Credo di aver lavorato in quest'azienda abbastanza per capire la traiettoria della sua cultura, della sua gente e della sua identità. E onestamente posso dire che oggi l'ambiente è più tossico e distruttivo che mai. Per dirla più semplicemente, gli interessi dei clienti continuano a essere messi da parte dal modo con cui l'istituto opera e pensa per fare soldi": parole durissime.

Il dottor Smith è stato per anni addirittura il reclutatore di questi signori che lui stesso adesso descrive senza scrupoli. "Ho capito che era il tempo di lasciare quando ho realizzato che non avrei potuto più guardare gli studenti negli occhi e dire che gran bel posto è questo per lavorarci". La colpa? Ha due nomi e due cognomi. "Quando i libri di storia verranno scritti su Goldman Sachs, spiegheranno che l'attuale Ceo, Lloyd Blankfein, e il presidente, Gary D. Coh, non hanno più tenuto conto della cultura di questa azienda. E io credo davvero che il declino nella fibra morale dell'azienda rappresenti la più grave minaccia per la sua sopravvivenza".

La lettera ha creato un vero e proprio putiferio. E in poche ore è stata letta da tre milioni di persone: un vero record. D'altronde il manager è andato giù duro offrendo un dietro le quinte davvero da brivido. "Come si è arrivati a questo? L’azienda ha cambiato la sua interpretazione di leadership. Oggi, se porti abbastanza denaro vieni promosso a posizioni di rilievo (a meno di non essere un assassino)".

E ancora: "Il cinismo con cui le persone parlano di raggirare i clienti mi dà il voltastomaco. Negli ultimi dodici mesi mi è capitato di vedere cinque diversi amministratori delegati che nelle mail interne definivano i propri clienti dei 'pupazzi': dei muppets. Non hanno alcuna umiltà".

"Di questi tempi - scrive ancora Smith - la domanda che gli analisti junior che lavorano con i derivati mi pongono con maggiore frequenza è: 'Quanto abbiamo fatto su quel cliente?'. E ogni volta mi infastidisco, perché è una domanda che riflette chiaramente il comportamento che osservano nei loro superiori. Spero che questo possa essere un campanello d'allarme per il consiglio d'amministrazione. Fate in modo che i clienti tornino a essere al centro del vostro lavoro. Senza clienti non farete soldi. Anzi, smetterete di esistere".

La risposta della banca si è fatta subito sentire a poche ore dalla messa in stampa del New York Times. La campanella di Wall Street era appena suonata quando un portavoce di Goldman ha chiarito che la lettera aperta "non riflette il modo in cui conduciamo gli affari. Nel nostro punto di vista, l'azienda può avere successo soltanto quando ha successo il cliente".

Questione, appunto, di punti di vista. Non è un'opinione scritta sul New York Times, però, ma un'inchiesta messa nero su bianco dalla Sec, la Consob di qui, quella che accusa, per esempio, Goldman Sachs di aver costruito e venduto investimenti-bidone, pensati cioè per far perdere il cliente e vincere la banca: un'accusa di truffa datata aprile 2010 che è costata alla banca mezzo miliardo di dollari di multa come patteggiamento, oltre alla disonorevole sfilata davanti ai membri del congresso.

Come se non bastasse, la truffa era stata confezionata proprio su quegli investimenti legati ai mutui a rischio che hanno costruito il castello di carte che ha portato nel 2008 al crollo di Wall Street e dell'intera economia globale. Ecco perché la denuncia del dottor Smith rischia adesso di avere una risonanza che va ben oltre il mondo comunque dorato delle banche d'affari e dei loro clienti. Adesso che l'economia sta finalmente ripartendo in tanti si chiedono se davvero tutto questo disastro sarebbe stato evitabile. E com'è possibile che mentre milioni di americani - e di poveri cristi di mezzo mondo - finivano sul lastrico, a Wall Street i soliti noti continuavano a macinare profitti su profitti. A partire da una certa Goldman Sachs.

 

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