DE GROENE AMSTERDAMMER
Il deficit democratico, minore di quanto si creda
Burocratica, spendacciona, sottomessa alle lobbies, l’Ue è al centro di numerose critiche che non vengono solo dagli euroscettici. Alcune di esse sono giustificate, altre meno. Il settimanale olandese Groene Amsterdammmer ha voluto studiare a fondo la questione analizzando dieci “miti”. Il primo è il deficit democratico. Il famigerato “deficit democratico” europeo: un Parlamento europeo debole senza legittimità, un consiglio dei ministri che manca di trasparenza e che non deve rendere conto delle sue decisioni, dei commissari europei nominati che non possono essere sostituiti se non si dimostrano all’altezza. Per gli euroscettici sono tutti argomenti sufficienti per opporsi all’Unione; gli europeisti ribattono invece che si tratta di altrettante ragioni per andare in direzione di una maggiore integrazione. Ma si può parlare veramente di deficit democratico? E in caso positivo, quale sarebbe la portata di questo deficit? La democrazia europea può essere definita indiretta, non corrisponde alle nostre abitudini, è “diversa”. Ma questo non vuol dire che è peggiore o meno democratica. “Certo l’Ue in quanto entità non forma uno stato unico, dotato di un parlamento unico che controlla un governo unico. Si tratta di un gioco di squadra in cui intervengono 27 democrazie nazionali e un frammento di democrazia europea”, scrive Luuk van Middelaar, autore del libro Il passaggio all’Europa e membro del gabinetto di Herman van Rompuy, il presidente dell’Ue. Questa situazione provoca numerose critiche. Il Parlamento europeo ha sempre più poteri e decide su quasi tutte le leggi, eppure non funziona come un’assemblea nazionale in grado di sanzionare il lavoro dei ministri. Così come la Commissione europea non è un governo ma un insieme apolitico di tecnocrati diretto da commissari nominati. Ma vogliamo veramente un altro sistema? Siamo pronti a un governo europeo? La risposta è no. L’Ue continua quindi a essere diretta in modo indiretto. Il consiglio dei ministri, dove sono prese le principali decisioni, deve rendere conto ai parlamenti nazionali; non è direttamente responsabile a livello europeo ma dipende da un controllo nazionale che, quanto meno in teoria, ha delle basi solide. Questo sistema suscita ovviamente delle obiezioni. Il parlamento eletto deve trovare un compromesso con un consiglio dei ministri i cui membri provengono da 27 paesi, di conseguenza ogni decisione è un processo lungo e fastidioso. “Di fatto le decisioni non vengono prese ma accadono”, osserva Sebastiaan Princen, professore di amministrazione europea. Questo rende il controllo più difficile. In questo modo l’influenza degli elettori è molto diminuita. Il legame fra il risultato delle elezioni nazionali e le decisioni prese a Bruxelles era finora quasi inesistente; e comincia a funzionare solo adesso che l’Europa è diventata ovunque un argomento di campagna elettorale. In ultima analisi non sono le vecchie obiezioni che hanno alimentato il mito del deficit democratico in Europa. La debolezza del Parlamento europeo e la mancanza di trasparenza sono dei problemi ai quali si è in gran parte trovato un rimedio. “Oggi il vero deficit democratico si concentra a livello dei parlamenti nazionali”, sottolinea Rinus van Schendelen, professore di scienze politiche. “Queste istituzioni sono rimaste in ritardo nel processo di europeizzazione”. In altre parole, il deficit democratico si ridurrebbe se i parlamenti nazionali esercitassero correttamente la loro funzione di controllo.
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